“Pace alle vostre ceneri e gloria al vostro genio”; un giusto epitaffio per Jean-Pierre Péquignot, un grande artista da rivalutare

di Arabella CIFANI

Storica dell’arte

Piramo e Tisbe: un inedito di Jean-Pierre Péquignot (1765-1804) * **

Il pittore Jean-Pierre Péquignot (1765-1804) è oggetto da poco tempo di studi organici, che nel 2005 sono confluiti in una monografia che ne ha chiarito il percorso umano e ha presentato un cospicuo nucleo di sue opere (1).

Di lui si ricordavano, oltre ad alcuni dipinti, molte corrispondenze e ricordi nella biografia e nelle opere di Girodet – Trioson   con cui collaborò e si legò in profonda amicizia (2).

1) Jean-Pierre PéŽquignot, nel presunto ritratto di Costanzo Angelini

Péquignot nacque a Baume Les Dames nel 1765. Dopo gli studi all’Accademia di Besançon fra 1775 e 1778, si trasferì a Parigi dove entrò nell’atelier di Vernet e poi in quello di David. Nel 1789 si recò a Roma ma nel 1793 dovette fuggire dall’Urbe con l’amico Girordet-Trioson a causa dei disordini rivoluzionari. A Napoli dipinse ancora i paesaggi e i temi classici, che sempre lo avevano incantato. Costretto a produrre per le richieste del mercato, condusse una vita di stenti: la tisi e la vita sregolata lo condussero a morire poverissimo nel 1804. Girodet gli dedicò un elogio funebre nel poema “Le peintre”. Péquignot, bello e romantico,  dal viso delicato illuminato  grandi occhi azzurri, come  appare nel  suo presunto ritratto  dipinto da Costanzo Angelini ( foto 1),  fu anche letterato e fine musicista; uomo coltissimo, realizzò paesaggi di matrice classica che la critica definì di “soave ellenismo partenopeo” (3).

Il catalogo delle opere note di Péquignot è attualmente ristretto; le opere note non sono più di una ventina e denunciano l’influsso del Poussin e di Claude Lorrain. I suoi quadri hanno luci dorate o rosate e primi piani di grande definizione, sia che raffigurino episodi storici e mitologici, sia semplici personaggi. Spesso  l’artista dipinge  tele che hanno alla base  soggetti di origine letteraria da fonti rare come i poemi di Ossian o Fénelon, sempre comunque carichi di una malinconia   protoromantica. La malinconia è anzi una delle cifre della pittura di Péquignot e si riflette nella precisa simbologia delle sue opere: tombe, salici piangenti, cime misteriose.

2.1)

L’inedito dipinto Paesaggio con Piramo e Tisbe  che qui presentiamo ( foto 2, foto 2.1) è  opera di splendida qualità. Rappresenta un paesaggio roccioso e tormentato, che ricorda quello di Pozzuoli e dell’area della sua celebre grotta; sulla destra, in primo piano, una scena tragica con la morte di Piramo e Tisbe narrata anche dalle “Metamorfosi” di Ovidio e molto amata da pittori francesi come Poussin (4).

I due giovani, il cui amore era contrastato dalle famiglie, avevano deciso di fuggire insieme e si erano dati appuntamento vicino ad una pianta di gelso che Péquignot trasforma in un salice piangente.

Tisbe, giunta prima, è assalita da una leonessa da cui riesce appena a sfuggire, lasciando però a terra il suo velo lacerato ed insanguinato; Piramo, sopraggiunto poco dopo, scorge il velo dell’amata, pensa che Tisbe sia morta e per il dolore si uccide. Tisbe lo trova in fin di vita e ne raccoglie l’ultimo respiro, poi disperata si uccide anche lei.

2)

Nel dipinto, di classica castigatezza, Tisbe, vestita di un peplo bianco, esprime con gesto eloquente il suo dolore e la sua grande disperazione; Piramo è a terra morto, con la spada accanto. Una pianta di salice pare condividere le lacrime e  la disperazione di Tisbe. Un Eros volteggia nell’aria e scocca una freccia verso i due amanti: non è  però un  benigno Amore ma un cupo testimone di una storia di passione, sangue e morte. Il paesaggio aspro e scosceso, contribuisce alla resa drammatica della scena: i due sventurati sono come risucchiati in un imbuto oscuro e sotterraneo, dalla grotta che pare collegarsi direttamente  con gli inferi,  la luce e il pallido  e irraggiungibile  cielo sono molto alti e lontani.

3) Jean-Pierre Péquignot, Paesaggio con Diana e Endimione, Capodimonte

Il quadro denuncia precisi, ineludibili punti di riferimento con una tela raffigurante un Paesaggio con Diana ed Endimione, firmato e datato 1796, che si trova al Museo di Capodimonte a Napoli ( foto 3) e che fa in realtà parte di un pendant comprendente anche una seconda tela che rappresenta un paesaggio con una piramide e un tempio.

Le due tele furono comprate da Gioacchino Murat e sono già menzionate in un inventario del 1808. Il Paesaggio con Diana ed Endimione è ritenuto uno dei capolavori del pittore e Emile Beck Saiello (4) ne sottolinea il disegno preciso del primo piano con la descrizione minuziosa delle piante, la luminosità sapientemente dosata, i volumi armoniosamente scanditi, la gamma cromatica sottile con toni bruni e rossastri in primo piano e un cielo azzurro, appena riscaldato da qualche tocco più luminoso con dei gialli chiarissimi: tutti elementi che si ritrovano anche nel Paesaggio con Piramo e Tisbe, suggerendone pertanto una datazione molto prossima.

Ulteriori confronti, sempre tutti convincenti, sono possibili con altre opere pubblicate da Saiello, in particolare, con il Paesaggio ideale con il sarcofago dell’Arianna addormentata (foto4)

4) Jean-Pierre Péquignot, Pesaggio idelae con il sarcofago dell’Arianna addormentata

ove compare un identico salice piangente, e con la Veduta della tomba di Rousseau a Ermenonville  ( foto5) (5).

5) Jean-Pierre Péquignot, Veduta della tomba di Jean Jacques Rousseau ad Ermenonville

La sofisticata qualità di questa tempera giustifica il successo ottenuto dall’artista in Napoli presso un circolo di raffinati intenditori, i quali in lui vedevano una sorta di moderno Claude Lorrain che sapeva sottilmente cogliere ed evocare il gusto dei soggetti “all’antica” immersi in una natura lussureggiante,  sempre grandiosa, misteriosa e incombente.

Alla fine del terzo canto del poema “Le peintre”, Girodet formula un voto per lo scomparso amatissimo amico Péquignot, affermando che “malgrado tutto” egli un giorno diverrà celebre e il tempo gli renderà merito;  e conclude: sia “paix à ta cendre et glorie à ton génie”; un augurio che oggi incomincia ad avverarsi a mano a mano che il sofisticato e sfortunato pittore francese viene riscoperto e studiato (6).

Arabella CIFANI   Torino 10 gennaio 2021

NOTE

(1) Per il pittore si veda:  Emilie Beck Saiello, Jean-Pierre Péquignot, Torino 2005, ivi bibliografia precedente. Pagnano, Giuseppe ,Una veduta di Catania di Jean-Pierre Péquignot ,in “Ikhnos”, Siracusa 2006, pp. 107-12.
(2) Anne Lafont, Péquignot et Girodet: une amitié artistique, Catalogo della mostra: Dijon, Musée Magnin, 27.09 2005 – 31.12 2005, Parigi 2005.
3) Sergio Ortolani, Giacinto Gigante e la pittura di paesaggio a Napoli e in Italia dal ‘600 all’800, introduzione e note di R. Causa, Napoli 1970.
(4) Ovidio, Metamorfosi, Libro IV (55 – 127).
(5) E. Saiello, cit., pp. 76-78.
(5) Cfr. Ibidem, passim.
(6) Cfr. Oeuvres posthumes de GirodetTrioson, peintre d’histoire, Tome premier, Suivies de sa correspondance, précédées d’une notice historique, et mises en ordre par P. A. Coupin, Paris 1829 précédées d’une notice historique, et mises en ordre par P. A. Coupin, Paris 1829

*L’articolo è cofirmato da Franco MONETTI  

**Un ringraziamento al prof. Stefano CAUSA