Cofanetti, pettini, porta specchi in avorio. Le donne e la cura del corpo tra Tre e Quattrocento

di Selene CAVALLINI

 Storica dell’arte, collaboratrice di About Art

In occasione di questo numero speciale di AboutArt non poteva mancare un articolo su alcuni degli oggetti più di pregio, fin troppo poco noti, usati dalle donne nella cura del corpo durante il Tre-Quattrocento: cofanetti, pettini, porta specchi in avorio.

Questi oggetti di uso quotidiano affascinano tutt’oggi i visitatori dei musei all’interno dei quali sono conservati, tra questi il Museo del Bargello di Firenze, la Galleria Nazionale di Ravenna, il Museo di Arte Medievale di Bologna e il Museo Poldi Pezzoli di Milano. I soggetti che venivano intagliati erano sia sacri che profani, questi ultimi sui quali ci soffermeremo, raffiguranti scene più in voga in quel periodo ispirate al Perceval di Chrétien de Troyes, il mondo di Re Artù e dei suoi cavalieri, le storie della Castellana Vergi, che hanno come protagonisti dame di corte, castelli e il corteggiamento. Sono presenti anche la storia di Tristano e Isotta, il Lai di Aristotele e Piramo e Tisbe (Fig. 1) scolpite sul cofanetto conservato al Museo del Bargello, i racconti del cavaliere Enyas, Susanna e i vecchioni.

fig 1

La valva di specchio con il Dio Amore assediato nel suo castello conservata nel Museo del Bargello (Fig. 2) è un soggetto molto rappresentato su questo tipo di oggetto ed è una scena che si sviluppa intorno al castello, traendo spunto da alcune descrizioni presenti nel Roman de la Rose. Sulla sommità il Dio Amore, munito di ali scaglia frecce al di sotto del quale quattro donne lo aiutano a proteggere il castello scagliando fiori sui nemici.

fig 2
fig 3

Un’altra valva di specchio con scena del convegno d’amore immortala l’incontro tra due amanti durante una cavalcata nel bosco (Fig. 3), dove un giovane, appena sceso da cavallo, accarezza con la mano destra il mento della damigella che gli sta di fronte, mentre posa l’altra mano sulla sua spalla segno di reciprocità. Questo gesto, che ai nostri occhi risulta un innocuo segno di affetto, all’epoca implicava una forte valenza erotica e un’esplicita manifestazione di attrazione fisica e di desiderio carnale.

Il pettine viene menzionato come oggetto nel trattato francese Miroir de mariage, testo francese della fine del Trecento, ritenuto, insieme agli specchi, utile per la cura del corpo per le donne abbienti del tempo. Un esempio di pregio è il pettine con scene galanti (Fig. 4), che ha un decoro nella fascia centrale, da un lato sono scolpite la dichiarazione d’amore di un cavaliere verso la sua dama, il dio Amore che incorona la dama seduta con un cagnolino in grembo, segno di fedeltà coniugale,  mentre il cavaliere le sfiora il mento, il concerto con il suonatore di viella in piedi fra la coppia seduta che si stringe le mani, la dama che intreccia una corona mentre il giovane le porge un fiore.

fig 4

Dall’altra parte ci sono altre quattro scene: l’incontro dei due amanti, la coppia mentre gioca a scacchi con un giovane che alle loro spalle suona il salterio, il dio Amore seduto su un albero munito di frecce che ammira la coppia sottostante, il cavaliere inginocchiato incoronato dalla damigella. Il pettine nel suo complesso narra le modalità con cui l’uomo corteggiava la dama o dimostrare interesse.

Non conosciamo i nomi degli intagliatori che li hanno realizzati, erano tuttavia artisti a pieno titolo e i loro legami con la scultura, in particolare in epoca gotica, sono evidenti. Nel Livre des Mètiers vengono documentate, in maniera non del tutto completa, numerose corporazioni autorizzate alla lavorazione dell’avorio, citando alcuni nomi come Jean Le Scelleur o Jehan de Taverni, i quali non sono però riconducibili a nessuna opera.

Il fascino di questi capolavori e la loro particolarità attraversano i secoli, arrivando davanti ai nostri occhi, regalandoci un tesoro di rara bellezza. I manufatti appena citati sono solo alcuni di quelli arrivati fino ai giorni nostri, i minuti intagli parlano però anche di personaggi biblici e letterari, oltre che di cavalieri, animali e storie d’amore. Alcuni rappresentano le scene della vita di Sant’Eustachio, che funge da protettore per chi possiede l’oggetto sul quale è scolpito, e paradigma del buon cavaliere cristiano.

L’argomento si presta a molti altri approfondimenti, segnalo, per chi volesse approfondire, un testo uscito nel 2019 a cura di Ilaria CiseriGli avori del Museo Nazionale del Bargello”.

Le valve di specchio, come i pettini, i cofanetti sono stati probabilmente preziosi doni di nozze, che giovani donne ricevevano prima del giorno più atteso, oggetti che adornavano le camere da letto, ma come si percepisce nella società del XIV-XV secolo il concetto di dono come pegno d’amore? E quando entra in uso questo scambio di oggetti?

Non sappiamo esattamente in quale momento inizia a istaurarsi questa pratica, gli esseri umani sono tenuti insieme dalla reciprocità, come disse Aristotele, e la reciprocità si costruisce mediante i doni, i benefici, ma anche attraverso la produzione e il commercio. È attraverso questi elementi che si sviluppa l’usanza di scambiarsi doni d’amore, il dono porta benefici a chi lo riceve e a chi lo fa, fa aumentare la produzione degli oggetti conseguentemente il commercio, poi l’economia e anche la società. Il sentimento di reciprocità era certamente presente nella Francia del Tre-Quattrocento, dove il dono costituisce un bisogno sociale e un movimento di beni e favori tra gli uomini. Il dono assume varie sfaccettature: nella maggior parte dei casi era concepito in senso evocativo nei confronti di Dio, talvolta anche in senso sociale, entrambi erano rafforzati da valori compatibili come la gratitudine.

Selene CAVALLINI   Firenze 10 gennaio 2021