La potenza di una casata nel barocco degli arazzi. A Palazzo Barberini le “glorie di carta”, fino al 22 aprile”

di Massimo FRANCUCCI

Glorie di carta. Il disegno degli arazzi Barberini

A cura di Maurizia Cicconi e Michele di Monte

Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, Palazzo Barberini (Fino al 22 aprile 2018)

Nell’ambito delle numerose iniziative che con respiro ampio o breve puntano a rivitalizzare le belle sale di Palazzo Barberini, si segnala un’esposizione dedicata ad alcuni cartoni, dipinti in vista della realizzazione di arazzi nella manifattura di famiglia, istituita nel 1627 per volere di Francesco, cardinal nepote di Urbano VIII, ed attiva per circa cinquant’anni, con risultati di assoluto rilievo soprattutto se confrontati con le altre opere realizzate in Italia in questo settore artistico. Difficile per noi, dopo le numerose rivoluzioni industriali, comprendere l’importanza che la produzione di arazzi ha rivestito nei secoli passati, oggetti di rara bellezza e raffinata lavorazione, vero e proprio status symbol delle classi sociali più elevate, il cui costo travalicava notevolmente i limiti di quello di un dipinto o di una complicata decorazione ad affresco. Questo perché l’inizio del processo creativo era il medesimo, con un intellettuale che, di comune accordo con il committente doveva mettere a punto un progetto iconografico poi trasposto su un cartone da un pittore. Nel caso dei Barberini i pittori di corte erano i cortoneschi, con Berrettini stesso attivo in prima persona per la serie in vista della quale la fabbrica era stata ideata, ossia le Storie di Costantino a completamento del ciclo rubensiano donato a Francesco Barberini dal re di Francia. Il cartone veniva poi tagliato per potere essere trasposto su un telaio e il processo produttivo richiedeva parecchi anni e l’utilizzo di tessuti e materiali preziosi e raffinati. Nei suoi circa cinquant’anni di vita la manifattura Barberini realizzò sette serie di arazzi, di cui questa mostra, che si spera sia solo la prima dedicata all’argomento, ne celebra tre, esponendone i cartoni più significativi.

Pietro da Cortona, del quale è esposto anche il ritratto del pontefice di casa, proveniente dalla Pinacoteca Capitolina, ha realizzato il progetto per Costantino che fa distruggere gli idoli pagani: un soggetto che intendeva supportare la propaganda pontificia intenta a sottolineare i parallelismi tra le due figure, con Urbano VIII capace di portare a termine l’impegno secolare della nuova basilica di San Pietro. L’imperatore viene raffigurato nel momento di massimo impegno nel sostituire gli idoli pagani, oramai gettati a terra e addirittura calpestati, con il Crocifisso e le statue del Salvatore e dei santi, con una forzatura storica che all’epoca non poteva in nessun modo essere rilevata. Il tutto veniva messo in pratica con una particolare attenzione destinata agli elementi plastici e alla quinta architettonica, di particolare importanza in vista della trasposizione sull’arazzo, che fu donato assieme ai compagni da Samuel H. Kress al Museo di Philadelphia. L’Adorazione dei pastori fu invece ideata da un allievo particolarmente dotato del Cortona, ossia il viterbese Giovanni Francesco Romanelli, il cui talento ne favorirà in seguito la chiamata alla corte di Francia.

Certo la sua pittura giocata su studiati rapporti di lumi e ombre e caratterizzata da un ricco panneggio morbidamente modellato sulle figure avrà fatto venire più di un grattacapo agli arazzieri. La serie dedicata alla Vita di Cristo si trova oggi nella cattedrale di Saint John the Divine a New York. Al contrario il reatino Antonio Gherardi, genio multiforme e bizzarro del secondo barocco romano ha ben saputo adattare il proprio sentire neoveronesiano a quanto richiesto dalla trasposizione su arazzo. Infatti, se solo si osserva la bellissima opera in mostra, dedicata a Maffeo Barberini, allora chierico di camera e dunque all’inizio del suo esaltante cursus honorum, impegnato a porre fine alle numerose inondazioni del lago Trasimeno, si assiste ad una semplificazione dei tratti e delle forme rispetto ai modi più consueti del pittore.

Il protagonista si trova al centro della scena, intento a verificare il progetto della regolazione delle acque del lago e a dare indicazioni, mentre il resto è svolto dal pittore facendo ricorso ad elementi realistici, quali le figure dei lavoratori intenti a tagliare le canne troppo cresciute e a spalare la terra, rimuovendo gli ostacoli al regolare flusso delle acque, ma anche a raffigurazioni allegoriche, quali si osservano nella lotta tra la Terra e l’Acqua che si vede, sul cartone, sulla sinistra dello spettatore. Il pittore vi ha privilegiato gli elementi lineari e plastici della composizione provando a semplificare nei limiti del possibili il difficile compito, ad esempio, di restituire la sensazione dell’acqua, in una tecnica così difficile come quella della tela intessuta.

Gli arazzi venivano conservati gelosamente e rimossi dalla guardaroba solo nelle occasioni solenni in cui sarebbero stati esposti. Per averne un’idea si può, in sede di mostra, osservare la decorazione della chiesa del Gesù, sovrintesa da Andrea Sacchi, registrata dal dipinto a più mani dedicato alla celebrazione del centenario dell’ordine dei Gesuiti.

L’esposizione, seppur ristretta, susciterà senza dubbio l’interesse del visitatore verso una pratica artistica così ricca e laboriosa, sperando che ciò porti ad altre iniziative altrettanto interessanti e di più largo spettro.

di Massimo FRANCUCCI     Roma dicembre 2017