Due civiltà a confronto; una grande mostra archeologica svela i rapporti tra la cultura egizia ed etrusca

di Nica FIORI

Egizi ed Etruschi a confronto.

Una grande mostra con reperti inediti alla Centrale Montemartini

L’Egitto è indubbiamente un paese dotato di un grande potere di seduzione, che continua ad affascinare noi occidentali del terzo millennio, così come aveva colpito l’immaginazione dei popoli antichi molto prima che a Roma si diffondesse la moda dei manufatti egizi, in seguito alla sua conquista da parte di Ottaviano. Fin dai tempi degli invasori Hyksos, dei Popoli del Mare, dei Fenici e dei Greci il nome Egitto evocò non solo l’idea della grandiosità faraonica, ma anche quella della conoscenza dei misteri della vita e del cosmo.

La presenza di amuleti egizi, rinvenuti in contesti tombali nelle recentissime campagne di scavo a Vulci, importante centro dell’Etruria meridionale, offre lo spunto per un confronto tra gli abitanti della Valle del Nilo e gli Etruschi, accomunati nella fantasia popolare dallo stesso alone di mistero. La civiltà etrusca, infatti, sebbene appartenga ad un’epoca pienamente storica, ha suscitato innumerevoli congetture sulla sua origine, che in realtà era autoctona, ma aperta agli scambi commerciali e culturali con gli altri popoli che si affacciavano sul Mediterraneo.

Scarabeo dlla Tomba dello Scarabo dorato di Vulci

Il dialogo culturale tra queste due importanti civiltà del mondo antico è il tema della mostra “Egizi Etruschi. Da Eugene Berman allo Scarabeo dorato”, a cura di Alfonsina Russo, Claudio Parisi Presicce, Simona Carosi e Antonella Magagnini. Indubbiamente si tratta di una mostra di grande interesse storico, archeologico e didattico, che segna l’esordio del nuovo spazio di 250 mq dedicato alle esposizioni temporanee nella Centrale Montemartini. L’inaugurazione, come ha precisato il Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali Claudio Parisi Presicce, celebra il ventennale della fondazione del museo, che dal 1997 accoglie collezioni capitoline di arte classica in un suggestivo contesto di archeologia industriale.

Amuleti egizi. Museo Archeologico di Firenze

I materiali egizi ed etruschi esposti in questa occasione, già oggetto di una mostra a Vulci, a cura della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, si sono arricchiti di ulteriori reperti provenienti dalle collezioni capitoline, che ci parlano del collezionismo ottocentesco e in particolare di Augusto Castellani e di Giovanni Barracco, appassionati di archeologia e di antiquariato, che destinarono con grande liberalità le loro raccolte al Comune di Roma. Eugene Berman, pittore, scenografo e collezionista d’arte russo, donò invece la sua straordinaria raccolta di manufatti egizi di ogni epoca (dai vasi in pietra, alle maschere e volti, ai tessuti copti) alla Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Etruria meridionale.

Corredo della tomba dello scarabeo dorato da Poggio Mengarelli
Corredo funerario della necropoli dell’Osteria di Vulci

Altri reperti provengono dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, in particolare amuleti in vari materiali, ushabti (statuine magiche che dovevano compiere i lavori pesanti al posto del defunto nell’aldilà), una delle primissime copie della testa di Nefertiti del Neues Museum di Berlino, considerato il più bel ritratto femminile del mondo egizio, che ha il suo perché per la presenza in mostra di reperti in quarzite rossa con il nome di Nefertiti e del faraone Akhenaton suo marito, provenienti dalla collezione Berman.

Due mappe, relative all’Etruria e all’Egitto, illustrano la geografia dei due paesi, mentre la “tavola del tempo” scandisce cronologicamente le due civiltà con esempi di manufatti dei vari periodi. La sezione introduttiva è dedicata ai collezionisti (i già citati Castellani, Barracco e soprattutto Berman), mentre il percorso espositivo è suddiviso per temi (Il metallo degli dei: l’oro simbolo di regalità; Faraoni e Principi; Il sogno di immortalità; Dee e dei dall’antico Egitto all’Etruria; L’oro di Nefertum: profumi d’oriente), il tutto adeguatamente spiegato in italiano e inglese e ben illuminato.

Alla fine del percorso una piccola sezione didattica permette di poter toccare dei modellini relativi a sepolture o ad abitazioni per avere un’idea dei contesti architettonici nei quali collocare idealmente i manufatti. Nei computer messi a disposizione si possono inoltre ammirare le tombe etrusche dipinte, vanto della città di Tarquinia.

I documenti esposti raccontano degli scambi commerciali, tramite mediatori fenici e greci, e soprattutto del confronto culturale tra queste civiltà che condivisero ideali di regalità, simboli di potere e pratiche religiose. Questo è testimoniato dallo scarabeo egizio con il prenome del faraone Bocchoris, già noto perché il suo nome è scritto su un vaso da Tarquinia, e dagli altri amuleti con divinità egizie rinvenuti nelle sepolture etrusche (VIII-III secolo a.C.), riconducibili a una comune credenza nella positività di determinati materiali, figure e iscrizioni. Lo scarabeo-sigillo con il cartiglio di Bocchoris, in fayence turchese, proviene da una tomba della necropoli dell’Osteria (Vulci), scavata nel 2013, mentre altri scarabei in steatite e il cosiddetto scarabeo dorato provengono da una tomba scavata nel 2017 a Poggio Mengarelli, il cui prezioso corredo inedito, appartenente a una donna di rango principesco, è interamente esposto con le sue collane d’ambra, le fibule d’oro e altri raffinati oggetti.

Maschera del sarcofago in legno di sicomoro. Coll. Berman

Lo scarabeo è uno dei simboli più comuni nel mondo egizio, che ricorda l’aspetto del sole al mattino: Khepri, derivante dal verbo kheper, rinascere: è quindi essenzialmente un simbolo di resurrezione e non poteva mancare sulle mummie, posto in corrispondenza del cuore. Ma, per garantire l’immunità di una mummia, si riteneva che essa dovesse usufruire di moltissimi altri talismani. Vario era il materiale usato, dall’oro al bronzo, alle pietre, alla ceramica. L’oro, simbolo di regalità, diviene in ambito funerario il segno della vita rigenerata, che il dio solare Ra vuole si sparga sulla pelle del defunto. Gli scarabei e gli altri amuleti che troviamo nei contesti etruschi (con Bes, Nefertum e altre divinità egizie) sono in realtà mediati dal mondo greco o fenicio e quindi hanno perso il loro significato originario.

Maschera funeraria in cartonnage, epoca tolemaica. Coll. Berman

Nella sezione dedicata all’oro viene dato particolare risalto a due esempi di maschere dorate della collezione Berman. L’osservazione delle maschere e dei collari usekh su di esse rappresentati offre lo spunto per un confronto con l’oreficeria etrusca. Il significato che gli egizi attribuirono all’oro influenzò non solo gli aristocratici etruschi, ma anche la nuova oligarchia mercantile alla ricerca di legittimazione della propria posizione sociale.

Tra i reperti etruschi più preziosi per la loro rarità troviamo i resti di un carro, oggetto di grande prestigio anche nel mondo egizio, e le mani d’argento sbalzato e con le unghie dorate, provenienti da una tomba principesca della necropoli dell’Osteria del VII secolo a.C. Facevano parte di una statua realizzata in materiali diversi, secondo una tecnica di origine greca (pensiamo alla statua crisoelefantina di Zeus ad Olimpia). Queste statue polimateriche accompagnavano nel rituale funerario gli esponenti d’alto rango della società vulcente con l’intento di compensare simbolicamente la perdita del corpo, che veniva bruciato, facendoli assurgere ad una dimensione eroica ed immortale. Pure legati alla statua dovevano essere gli oggetti d’ornamento di una veste funebre cerimoniale, tra cui collane di ambra, osso, oro e argento e migliaia di “bottoncini” di bronzo dorato.

Frammento di rilievo con profilo di sovrano. Coll. Berman

Gli egizi ritenevano che il defunto continuasse a vivere dopo la morte nella sua individualità, resa possibile dalla conservazione del suo corpo terreno. Per questo motivo il corpo veniva mummificato e gli organi interni estratti e conservati nei vasi canopi. Il sepolcro veniva reso accogliente come una vera e propria casa, dotandolo di quegli arredi e di quegli oggetti che erano stati di diletto in vita e che potevano ancora dare conforto dopo la morte.

Scarabo in castone dorato della Tomba dello Scarabeo di Vulci

Per gli Etruschi le cose non sono così semplici, perché nell’epoca più arcaica della storia etrusca è presente in maniera massiccia anche il rito della cremazione, vale a dire l’assoluta negazione di un’eventuale vita futura del corpo, ma le tombe erano comunque fornite di ricchi corredi. In una vetrina sono messi a confronto un canopo etrusco, che conteneva le ceneri del defunto, con un canopo egizio che invece conteneva gli organi interni estratti dal defunto.

Pure provenienti da Vulci sono alcuni leoni e sfingi in nenfro, che raffigurano figure diffuse in entrambe le culture, fortemente evocative della regalità orientale. Alcuni vasi dalla lavorazione complessa, come quelli baccellati, sembrano diventare nel contesto etrusco elementi cerimoniali essenziali nella formazione dei corredi principeschi; ovviamente sono messi a confronto con vasi in metallo e in ceramica di produzione egizia e orientale.

di Nica FIORI    Roma 22 dicembre 2017

Egizi Etruschi. Da Eugene Berman allo Scarabeo dorato

Centrale Montemartini, via Ostiense, 106 Roma

Orario: da martedì a domenica 9-19; il 24 dicembre e il 31 dicembre 9-14 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì, il giorno di Natale, il 1° gennaio e il 1° maggio

Biglietto Museo + Mostra: intero €11 (€10 per i residenti); ridotto €10 (€9 per i residenti); gratuito per le categorie aventi diritto.