La documentazione archivistica e letteraria di cui disponiamo in merito agli Ecce Homo dipinti da Caravaggio

Francesca CURTI

L’invenzione del quadro è senz’altro caravaggesca, così come la composizione, la presenza delle figure nello spazio, la costruzione dei gesti, in parte la fisionomia dei personaggi. Dalle fotografie sembra che il quadro abbia sofferto molto e che non sia in buone condizioni. Per l’attribuzione a Merisi, tuttavia, credo sia giusto rimandare allo studio degli storici dell’arte che lo hanno visto dal vivo e lo vedranno dal vivo, e ai successivi approfondimenti che seguiranno le operazioni di pulitura e di restauro. Ciò su cui mi sento di esprimere un parere, invece, riguarda la documentazione archivistica e letteraria di cui disponiamo in merito agli Ecce Homo dipinti da Caravaggio, sui cui credo che potrebbe essere utile fissare alcuni punti fermi.

In sintesi abbiamo notizia della presenza di un quadro raffigurante un Ecce Homo di mano di Caravaggio a Roma, a Napoli, in Spagna e forse a Messina. E più precisamente: due forse tre citazioni documentarie e due citazioni letterarie, di Bellori e di Giovanbattista Cardi, che riguardano il quadro Massimi, cioè il dipinto che Massimo Massimi commissionò al pittore nel 1605; una citazione documentaria che riguarda un dipinto con il medesimo soggetto appartenuto a Juan de Lezcano, segretario dell’ambasciatore di Spagna, Francisco de Castro; una citazione documentaria di un Ecce Homo di proprietà di Don García de Avellaneda y Haro II conte di Castrillo, vicerè di Napoli tra il 1654 e il 1658; un’altra riguardante la proprietà di un quadro con lo stesso soggetto da parte di Lanfranco Massa, agente di Marcantonio Doria; e infine, il ciclo della passione, consistente in quattro dipinti, commissionati a Merisi dal conte messinese Nicola di Giacomo.

Roma

Nella biografia di Ludovico Cardi detto il Cigoli, redatta dal nipote Giovanbattista nel 1628, viene citato un Ecce Homo che Caravaggio avrebbe dipinto per i Massimi in competizione con un altro dipinto di omonimo soggetto eseguito dal Cigoli, l’Ecce Homo, conservato a palazzo Pitti, che lasciò presto la casa romana dei Massimo, perché già nel 1638 si trovava nelle collezioni medicee.

Anche Bellori parla di un Ecce Homo realizzato “per li signori Massimi…che fu portato in Spagna”.

Nel 1989 Rosanna Barbiellini Amidei pubblica alcuni documenti che chiariscono che il committente fu Massimo Massimi e che Caravaggio dipinse per lui due dipinti una Incoronazione di spine (cm 127×178, identificata da gran parte della critica con il dipinto di analogo soggetto già in collezione Cecconi e ora appartenente alla Cassa di Risparmio di Prato) e un Ecce Homo. Nella ricevuta firmata da Caravaggio, il pittore, in data 25 giugno 1605, si impegnava, infatti, a realizzare un quadro di un Ecce Homo dello stesso valore e della stessa grandezza del quadro raffigurante l’Incoronazione di Cristo che aveva già fatto per il committente e che avrebbe dovuto essere consegnato il primo agosto 1605:

Io Michel Ang.lo Merisi da Caravaggio mi obligo di dipingere all’ill.mo signor Massimo Massimi per esserne stato pagato un quadro di valore e grandezza come quello ch’io gli feci già dell’Incoronatione di Crixto per il primo Agosto 1605. In fede ò scritto e sottoscritto di mia mano questa, questo dì 25 giunio 1605

Inoltre, il ritrovamento sempre ad opera della studiosa della ricevuta firmata da Cigoli per la realizzazione di un Ecce Homo, in data 2 marzo 1607, due anni dopo l’esecuzione dei dipinti da parte di Caravaggio, chiarisce che il presunto “concorso” tra i due pittori era solo un’invenzione letteraria, e soprattutto che il dipinto che Cigoli avrebbe dovuto realizzare doveva essere “un quadro grande compagno di un altro di mano del signor Michelagniolo Caravaggio”.

Nel 2003 Lothar Sickel pubblica un inventario dei beni della famiglia Massimi datato 1644, dal quale sono descritti un’Incoronazione di spine e un Ecce Homo entrambi coperti di prezioso taffetà rosso per preservarne l’integrità, una accortezza questa in genere riservata a dipinti ritenuti di grande valore. L’inventario ritrovato dallo studioso è interessante perché anche in esso i quadri sono detti “grandi”, e per grandi si intendeva un formato delle dimensioni almeno di 180 cm.

Nella camera del signor Massimo Massimi…un quadro grande della Coronatione di spine di N.S. con cornice messe a oro, con cornice messe a oro con coperta di taffetano rosso … un quadro ‘grande’ dentro vi è un Ecce Homo con cornice messe a oro e un taffetano rosso per coprire detto quadro

Nel 2009 Fausto Nicolai pubblica un nuovo inventario di casa Massimi datato 1696, in cui nella stessa stanza è ancora presente un quadro raffigurante un Ecce Homo.

Dalle notizie fin qui esposte si può affermare che Caravaggio realizzò un quadro per i Massimi, il quale sembrerebbe essere di grandi dimensioni (come quello omonimo appunto di Cigoli a Palazzo Pitti che misura cm 175×135) e presente nelle collezioni di famiglia almeno fino al 1644, ma forse anche oltre, anche se la descrizione scarna dell’inventario del 1696 non permette di avere certezze in merito. Si fa presente che nel caso il dipinto fosse stato ancora in casa Massimo a fine Seicento, ciò non collimerebbe con quanto sostenuto da Bellori nel 1675 a proposito del trasferimento in Spagna dell’opera.

Napoli e Spagna

Dal testamento e dall’inventario dei beni di Juan Lezcano, redatti a Napoli nel 1631 e pubblicati da Gérard Labrot, si evince che il segretario possedeva

un ecçe homo con Pilato que lo muestra al pueblo, y un sayon que le viste de detras la veste porpurea”.

Qualche anno dopo, nel 1654, compare nell’inventario della guardaroba del conte di Castrillo rinvenuto da Bermejo Bartolomé,

mas otro quadro de un Hecce homo de zinco palmos con marco de evano con un soldado y Pilatos que le enseña al Pueblo es original de m° Miçael Angel Caravacho”.

L’opera è detta misurare cinque palmi. Poiché il conte era stato vicerè di Napoli, si è ipotizzato fosse il quadro in suo possesso fosse quello Lezcano acquistato nella città partenopea. Un dipinto omonimo è descritto anche nell’inventario dei beni di Lanfranco Massa, pubblicato da Antonio Delfino, che si ritiene essere però una copia forse del dipinto Lezcano, al pari delle altre copie presenti nella medesima lista, il Martirio di S. Orsola e la Cena in Emmaus.

Messina

Da un documento reso noto da V. Saccà nel 1907 si apprende che prima dell’agosto 1609, il conte messinese Nicola di Giacomo annota:

“…ho dato commissione al signor Michiel Angelo Morigi da Caravaggio di farmi li seguenti quatri: quattro storie della Passione di Gesù Cristo da farli a capriccio del pittore dalli quali ne finì uno che rappresenta Christo con la Croce in spalla, la Vergine addolorata e due manigoldi, uno sona la tromba, riuscì veramente una bellissima opera e pagata oz. 46 e l’altri si obligò portarmeli nel mese di Agosto con pagarli quando si converrà da questo pittore che ha il cervello stravolto”.

La nota del conte non chiarisce purtroppo quali siano i soggetti degli altri tre quadri del ciclo, anche se è presumibile pensare che uno avrebbe rappresentato l’Ecce Homo. Nessuna notizia ulteriore abbiamo circa l’effettiva realizzazione dell’intero ciclo. Tuttavia, un’Andata al Calvario attribuita a Caravaggio (presumibilmente il dipinto realizzato per di Giacomo) risulta poi presente nell’inventario datato 1659 del palazzo palermitano del principe Giovanni Valdina; lo stesso dipinto, insieme ad un Ecce Homo delle stesse dimensioni (“5 palmi per 4”), di cui però non si cita l’autore, verrà sistemato nel 1672 nel castello della Rocca.

Basandoci esclusivamente su quanto riportato dalle fonti, sembrerebbe che Caravaggio abbia dipinto almeno due Ecce Homo, uno di grande formato per i Massimi, e uno di dimensioni più ridotte (circa cinque palmi) di proprietà di Lezcano, se accettiamo l’ipotesi che questo dipinto sia quello poi passato in possesso del conte di Castrillo. Per il dipinto siciliano dei Valdina, i documenti purtroppo non permettono di avere la certezza che sia un’opera del pittore, non essendo indicato il nome, esplicitamente segnalato invece nel medesimo inventario per il quadro dell’Andata al Calvario.  Sia l’Ecce Homo Massimi sia quello Lezcano, stando a quanto riportato da Bellori a proposito del primo, presero la via della Spagna.

Francesca CURTI   Roma 10 aprile 2021