Il “Bernini” di Maria Grazia Bernardini, una pietra miliare negli studi sulle straordinarie sculture del genio del Barocco.

di Marco BUSSAGLI

Ciascuno studioso ha argomenti privilegiati, nel senso che ci sono temi, problemi, opere e personaggi a cui in maniera preferenziale, egli (o ella) dedica più attenzione rispetto alle altre ricerche che vengono affrontate nel corso degli anni.

Maria Grazia Bernardini ne ha diversi, dal Tiziano dell’Amor sacro e Amor profano di cui curò il restauro e del quale studiò il tema dando vita a una mostra memorabile. Oppure è il caso del ciclo pittorico romano dell’Oratorio del Gonfalone che rappresenta uno degli esempi più belli della pittura manierista, per arrivare a temi di tipo iconografico e iconologico, come quello della Misericordia, argomento di una mostra preziosa realizzata sull’onda del Giubileo di papa Francesco all’inizio del suo pontificato.

Tutto questo, mentre si destreggiava con l’amministrare i Beni Artistici e Culturali di Modena, dov’è stata Soprintendente reggente dal 2005 al 2007, o dirigeva il Museo di Castel Sant’Angelo arricchito da iniziative esemplari come la mostra dedicata ad Amore e Psiche. In certe imprese sono stato coinvolto di persona e, quindi, conosco bene quanto sia grande lo scrupolo e la puntualità della studiosa che va considerata fra le eccellenze della ricerca italiana. Nell’ambito di questo vasto panorama nel quale non mancò di affrontare figure della statura di Anton van Dyck, però, Maria Grazia ha di certo un suo amore intellettuale e artistico al quale ha dedicato più volentieri la sua attenzione e la sua acribìa di intellettuale: Giovan Lorenzo Bernini.

Al di là di un ciclo di conferenze dedicate al viaggio di Bernini a Parigi tenute a Palazzo Venezia a Roma e di altre sul sentimento dell’estasi nelle sculture dell’artista organizzate all’inizio di questo millennio a Montecitorio, segnò gli studi con la mostra dedicata a Bernini il cui sottotitolo era ed è da considerarsi programmatico: regista del Barocco. Era, infatti, questo il ‘focus’ di tutta l’esposizione, nata sulla scorta delle ricerche di Maurizio Fagiolo dell’Arco che, infatti, era il co-curatore dell’evento.

Scultore, pittore, architetto, designer – come diremmo oggi –, creatore di oggetti straordinari, quali tavolini sorprendenti e carrozze degne delle favole di Perrault, Bernini riempì con le sue creazioni le austere sale del piano nobile del Palazzo di Venezia, sede della mostra che andava in scena come un impareggiabile spettacolo teatrale. Mi ricordo la conferenza stampa con Fagiolo che si fermò a chiacchierare con noi giornalisti nella loggia del palazzo e Maria Grazia, a me allora nota solo di fama, la quale si dedicava alla “spiega” con un manipolo di curiosi e appassionati. Da allora, la sua passione per Bernini non si è mai sopita ed è culminata con il 2022 nella pubblicazione del monumentale catalogo della scultura, pubblicato per la casa editrice Allemandi, sostenuta dalla generosità della Fondazione Terzo Pilastro, e patrocinata dal Centro Studi per lo Studio e l’Immagine di Roma, guidato da Marcello Fagiolo dell’Arco.

Scritta nel bel mezzo della pandemia, quest’opera va considerata una pietra miliare negli studi su Bernini, dalla quale non si potrà certo prescindere per i prossimi decenni. Diviso in due volumi, e arricchito dal bellissimo portfolio fotografico di Massimo Listri, il catalogo si sviluppa tutto nel secondo volume, mentre il primo ospita un’accurata biografia critica del grande artista che ci conduce, come in un romanzo (ma con il rigore dei trattati scientifici), dagli esordi con il padre Pietro, entrato nelle grazie di papa Paolo V Borghese, alla magnificenza delle opere della maturità che lo hanno reso un artista immortale.

In particolare, l’autrice ci permette di seguire l’evoluzione del linguaggio scultoreo berniniano punteggiando il percorso con la citazione dei documenti e dei contratti che costellano lo sviluppo di questa eccelsa carriera artistica. In questo modo, il lettore ha sempre un punto di riferimento concreto dal punto di vista storico, mentre le opere che nel testo sono semplicemente citate, sono sempre affiancate dal numero di riferimento alla puntualissima scheda, pubblicata nel secondo volume, che ne approfondisce la vicenda sia dal punto di vista storico, artistico, stilistico, iconologico e bibliografico.

Si profilano, perciò, vari modi di leggere questo monumentale catalogo. Il che, naturalmente, è un valore aggiunto. Così, ci si può lasciare andare al fascino della vicenda umana e artistica condensata nel primo volume, da cui emergono i rapporti coi papi, le committenze, gli amori e i successi, ma anche i segreti di bottega e la schiera degli allievi del grande artista. L’autrice, infatti, richiama l’attenzione sul modo di procedere, sul processo creativo utilizzato da Bernini e sulla lunga schiera di collaboratori e maestranze che hanno prima coadiuvato e poi perpetuato l’arte del maestro. In questo modo, Maria Grazia si avvantaggia di tutti quegli studi che, negli ultimi anni, si sono avvicinati con simili approcci al mondo artistico di Bernini, collocandoli in una cornice coerente e organica.

L’altro modo di utilizzare il catalogo è quello di tenere accanto i due volumi e di leggere la scheda tutte le volte che s’incontrano le opere citate e il relativo numero che ad essa rimanda. Infine, il catalogo può essere uno straordinario ed efficacissimo testo di consultazione per sostenere ricerche proprie che, in tal modo, possono senz’altro avvalersi di una fonte e di uno strumento affidabilissimi, in grado di soddisfare le più esigenti richieste.

Adesso, la monumentale opera di Maria Grazia Bernardini, summa degli studi di una vita, sarà, il prossimo 27 febbraio, presentata nel luogo berniniano per eccellenza, la Galleria Borghese, oggi guidata da un’altra studiosa di livello come Francesca Cappelletti che, insieme a Marcello Fagiolo e Riccardo Lattuada dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, discuteranno con la dovuta cura dell’opera.

Del resto, la Galleria Borghese non è nuova ad eventi del genere perché non più di qualche giorno fa, ha presentato un altro catalogo generale, quello delle sculture moderne (ossia appartenenti al periodo che va dal XV al XIX secolo) presenti nella collezione del museo: AA. VV., Catalogo generale. Scultura moderna, a cura di A. Coliva, Officina Libraria, Roma 2022.

Inevitabilmente, pure qui, buona parte della tematica è stata monopolizzata dalla presenza berniniana preponderante nella Galleria, per via di capolavori come il David, l’Apollo e Dafne, i vari busti del padrone di casa, il Cardinal Scipione Borghese, e certe opere degli esordi come La capra Amaltea.

Gìovan Lorenzo Bernini, Capra Amaltea tra Giove fanciullo e un faunetto, Roma, Galleria Borghese

Anzi, proprio questa straordinaria scultura, inaspettatamente, è finita al centro di una diatriba a dir poco sorprendente perché Anna Coliva, già direttrice del museo e curatrice dell’intero volume, cui si deve la scheda del catalogo, la presenta – cito – come di «Autore Ignoto».

Il fatto è che questo scippo al catalogo di Bernini avviene sulla base del fatto che, dopo l’attribuzione a Bernini da parte di Joachim von Sandrart, pubblicata nel 1675, l’opera viene considerata di anonimo da Ennio Quirino Visconti che, nel 1796, pubblica a Roma i tre volumi dedicati alle Sculture del palazzo della Villa Borghese detta Pinciana. Se è per questo, va detto che già il Baldinucci nel 1682 non riporta la piccola scultura nella biografia di Bernini, come ricorda la Bernardini nell’omologa scheda; ma questo non ha alcun valore. La storia dell’arte è costellata di dimenticanze e di recuperi che hanno reintegrato i cataloghi degli artisti.

Quel che Anna Coliva (cit., p. 101) omette di scrivere è che Joachim von Sandart offre questa testimonianza – poi recuperata da Longhi nel 1926 – a seguito della sua «visita a Roma negli anni 1629-1630» come puntualmente ricorda Maria Grazia Bernardini (Bernini. Catalogo delle sculture, Torino 2022, II, p. 74). Questo vuol dire che la sua conoscenza è diretta e immediata, come l’autrice sottolinea.

La piccola scultura, infatti, risulta nella collezione Borghese già fin dal 1615, quando viene realizzato il piedistallo di noce per collocarvi sopra la «capretta», come sa bene la stessa Coliva che pubblica il documento d’archivio (cit., p. 106) senza trarne, però, le dovute conseguenze. Nessuno spende dei soldi per realizzare una base in noce massiccio per una scultura di anonimo.

Tutte le supposte evidenze stilistiche rilevate dalla studiosa, peraltro avanzate senza adeguati confronti visivi, come invece meriterebbe una variante attributiva così eclatante, deriverebbero dal confronto fra le opere giovanili dello scultore che vennero raccolte nella ricca esposizione da lei curata nel 2017 insieme ad Andrea Bacchi dove, però, la scheda di Stefano Pierguidi mantiene la tradizionale attribuzione (S. Pierguidi, Scheda, II, 1, in A. Bacchi, A. Coliva, a cura di, Bernini, catalogo della mostra, 31 ottobre 2017 – 4 febbraio 2018, Officina Libraria, Roma 2017, pp. 64-67), come la stessa Coliva ricorda (cit. p. 102).

Si tratta allora di una riflessione tardiva, a sei anni di distanza, solo anticipata da certe perplessità di Andrea Bacchi nel 2009 (Bernini come Bernini, in A. Ottani Cavina, a cura di, Federico Zeri, dietro l’immagine. Opere d’arte e fotografie, catalogo della mostra, Bologna, Museo Civico Archeologico, Torino 2009, p. 100). Troppo poco per togliere un’opera degli esordi a un giovane Giovan Lorenzo diciassettenne che, come ricorda Maria Grazia Bernardini sulla scorta di Preimesberger, voleva dare «una prova del suo talento».

Marco BUSSAGLI  Roma 26 Febbraiop 2023