di Jerzy MIZIOLEK
Il re di Polonia Giovanni III Sobieski come nuovo Costantino
Uno dei temi più interessanti della mostra ai Musei Capitolini intitolata “Una regina in Campidoglio. Maria Casimira e la famiglia reale Sobieski a Roma” (11 giugno – 21 settembre 2025) è quello del confronto un po’ dimenticato dell re polacco Jan III Sobieski (Giovanni III Sobieski), comandante in capo nella battaglia di Vienna (12 settembre 1683) con il grande vincitore della battaglia sul Ponte Milvio (312).
Lo riprendiamo in questa sede invitando tutti interessati a visitare la mostra che è un bel esempio della collaborazione culturale tra Roma e Varsavia.
Tra i numerosi appellativi conferiti al re Giovanni III (1629-1696)- Giove, Eracle, Marte, Achille o Alessandro Magno – compare anche quello che lo identifica in un novello Costantino il Grande[1]. Quest’ultimo paragone si manifestò chiaramente – in parole e immagini – nella Tesi Barberini del 1684, e poi in alcune stampe, sulla facciata della residenza del re a Wilanów, e infine nella lettera del giugno 1693 scritta al re dal gesuita Maurizio Carlo Vota [2]. Il dotto Vota parla di un importante prelato romano, Monsignor Urbano Giori, il quale
«non sopportando di vergognarsi della città di Roma che non ha ancora eretto una statua in onore di VM [Sobieski], ha deciso di farne realizzare una che lo ritraesse interamente e in stile antico, con le sembianze naturali»[3].
L’autore della lettera si rammarica che non sia stata scelta la collocazione più opportuna per il monumento, ovvero nel vestibolo della Basilica Vaticana, di fronte alla statua equestre di Costantino, rincrescendogli ancor di più che l’iscrizione allusiva da apporsi – Constantinus dedit, Joannes servavit – avrebbe costituito un’eccellente associazione tra l’imperatore romano e il monarca polacco. Egli postula infatti che la statua del re debba includere accenti sia romani che polacchi e indica un particolare ritratto a pastello di un ‘Maestro Giorgio’ (il pittore polacco Jerzy Eleuter Siemiginowski, allievo dell’Academia di San Luca) della raccolta del cardinale Barberini, che potrebbe servire da modello per i tratti del viso del re[4]. Purtroppo – scrive il padre Vota – non ci sarà una statua equestre a causa della mancanza a Roma di marmo carrarese delle giuste dimensioni. Infine, il colle del Campidoglio viene indicato come il luogo più adatto per il suddetto monumento.

Anche se la lettera è una sorta di panegirico, i due luoghi simbolo dell’Urbe sono considerati i più idonei all’esaltazione del nuovo Costantino. Il Campidoglio, dove si trovavano dalla fine Quattrocento i celebri frammenti marmorei della gigantesca statua dell’imperatore ritrovati nella Basilica Nova (fig. 1), è collegato con il re della Repubblica delle Due Nazioni fin dal 1683, subito dopo la battaglia di Vienna[5].
Prima di riportare alcuni testi dell’epoca e di accennare alla Tesi Barberini, occorre una breve presentazione di un’opera rinascimentale italiana conservata nella Collezione Czartoryski a Cracovia (forse di manifattura milanese del 1560 circa) che ben associa l’imperatore romano e il monarca polacco e le loro due grandi vittorie, quella di Ponte Milvio nel 312 e quella di Vienna nel 1683.
Lo scudo di Sobieski, ovvero il dono profetico
Dirigendosi verso Vienna, a Cracovia il re ricevette in dono dalla città uno scudo riccamente istoriato con la battaglia di Ponte Milvio dove Costantino sconfisse Massenzio, con buona probabilità appartenuto al re di Polonia Sigismondo II Augusto (regnante nel 1548-1572)[6], Sfortunatamente non conosciamo né l’autore del prestigioso manufatto né la sua provenienza.

Nascosto durante l’invasione svedese del 1655, fu ritrovato nel 1679 nella Cattedrale di Cracovia. Una descrizione dettagliata di questo evento è contenuta nel poema latino-polacco Clipaeus christianitatis di Jan Gawiński del 1680, nel quale il poeta racconta la scoperta dello scudo nei “resti di un muro” durante i lavori di ristrutturazione della cappella della Santa Croce[7]. Questo evento è considerato dall’autore miracoloso, e lo scudo diventa un’icona “caduta dal cielo“, non eseguita da mano umana, letteralmente caduto con le macerie della volta[8]. Scoperto in questo modo, l’oggetto acquisì, secondo il poeta, un potere straordinario e fu subito considerato come un buon auspicio, presagio avveratosi con la vittoria di Vienna del 12 settembre 1683, che segnò il destino di tutta l’Europa cristiana.

Il poema Clypaeus christianitatis, che conferisce allo scudo un simbolismo così elevato, si inserisce perfettamente nel processo di creazione della leggenda di Giovanni Sobieski come scudo difensivo della Polonia, in corso almeno dal 1673 (l’anno della battaglia di Chocim). Ciò è dovuto in gran parte allo stemma di Sobieski denominato Janina, che consiste nella rappresentazione di uno scudo all’interno di uno scudo più grande. Da qui l’appellativo di Giovanni III quale Clypaeus Sarmatiae, Aegis Palladia e l’idea del re come scudo protettivo[9], idea che si manifestò chiaramente – in parole e immagini – nell’opera In laudes Ioannis Sobiescii (fig. 3)[10]. Va inoltre ricordato che il re aveva un’ottima conoscenza della letteratura antica, in particolare del topos oraziano del divenire immortali attraverso l’arte, per cui il panegirico di Gawiński era anche un efficace strumento di propaganda, in particolar modo dopo la battaglia di Vienna, collegata a quella di Costantino del 312.
Come è ben noto, prima della battaglia sul Ponte Milvio Costantino ebbe due visioni, descritte da Eusebio di Casearea, che portarono alla creazione del labaro, lo stendardo con chrismon, che aprì la strada alla grande vittoria su Massenzio, all’Editto di Milano (313) e al progressivo affermarsi del cristianesimo, che divenne l’unica religione lecita nel 380, con l’Editto di Tessalonica[11].
Lo scudo ‘profetico’ donato a Sobieski è di ferro e ha una forma circolare (diametro 70 cm), realizzato mediante repoussé, incisione, cesello, placcatura in argento e oro. Certamente non era destinato alla battaglia ma a scopi cerimoniali e rappresentativi ed è decorato da una complessa serie di raffigurazioni estremamente elaborate. Sul lato destro di un cielo rigonfio di nuvole compare Cristo in croce in un’aureola fiammeggiante, attorniato da teste di angeli. Sul lato sinistro appare una Vittoria con corona d’alloro nella mano sinistra, mentre nella destra reca una targa con un’iscrizione latina in esametri:
In oraculum sub hoc signo vince / Pro Domino si bella Deo et vitricia signa / Quaerite o Reges, signa subite crucis / Sub qua vicerunt veteres faeliciter hostem / Sub cruce qui Certas vincere vince Deo / Haec pia milicia Est, et ut Est pia subicit hostes / Summo grata Trophaea Deo [12].
Tra Costantino e la visione celeste c’è una veduta di Roma, dove si riconoscono Castel Sant’Angelo con il ponte (tratti da un’incisione di Nicolas Beatrizet), le chiese di Santo Spirito in Sassia e di Sant’Onofrio, il Pantheon, il Campidoglio, le basiliche di Santa Maria Maggiore e di San Pietro, la Colonna Traiana. Sotto la linea del fiume sono radunati gli eserciti di Costantino e Licinio, mentre più in fondo, a destra – l’esercito di Massenzio. Costantino, barbuto e di profilo, è visibile in primo piano, con la testa rivolta verso il cielo dove appare Cristo (fig. 4), e indossa un’armatura completa e scintillante d’oro, sulla quale pende una piccola croce da una catena.

L’imperatore è circondato da guardie a piedi e a cavallo. Al suo fianco c’è la cavalleria pesante ben armata (come gli ussari del re Sobieski), e più oltre compare la fanteria. I trombettieri suonano trombe d’oro, come se fossero sotto le mura di Gerico. La battaglia sta per cominciare ma si concluderà presto, inaugurando una nuova concezione del mondo.
Giovanni III Sobieski – novello Costantino al quale fu donato questo scudo miracolosamente ritrovato – portò a termine la missione iniziata da Costantino, il cui contenuto era narrato sullo scudo stesso: i due regnanti quali campioni e difensori del mondo cristiano.
Qualche cenno sull’idea di una statua di Sobieski sul Campidoglio
Scrive Carlo Pietrangeli:
«In tutta Europa la felice conclusione della battaglia [di Vienna] fu celebrata con fuochi di artificio, sparo di cannoni, feste religiose; furono edite centinaia e centinaia di pubblicazioni commemorative, di componimenti poetici, di incisioni. Celebre rimase il poema in dialetto romanesco di Giuseppe Berneri, soprattutto per la sua seconda edizione pubblicata nell’Ottocento e illustrata di incisioni di Bartolomeo Pinelli. Si giunse perfino a progettare un monumento in onore di Sobieski nell’atrio di S. Pietro e una sua statua rutilante d’oro in Campidoglio»[13].
Cosa sappiamo dell’idea della statua in onore del grande stratega polacco? Come ricordato dall’erudito cronista Carlo Cartari (1614-1697):
«Si dice che il Santo Padre [Innocenzo XI] voleva che si facesse la statua del re di Polonia per collocarla in Campidoglio e che Domenico Guidi sarebbe lo scultore»[14].
Sul progetto della statua e sul luogo dove collocarla tratta la lunga poesia di Francesco Bambini intitolata La statua dell’invittissimo Re di Polonia. Quasi tutte 53 strofe, che comincia un’invocazione alla Musa, furono pubblicate da Biliński: qui se ne citano solo alcune, in particolare quelle che riguardano lo scultore:
Tu, Guidi il maestoso ingenio / oltre l’uso mortai desta a tant’opra, / in penose vigilie il ciel ti scopra / in faccia a i fati l’immortal disegno.
Fidia del Tebro, al cui saper sovrano / ingemma il merto le più belle imprese, / et al Tempio d’Onor più volte appese / voti d’Eternità sol per tua mano[15].
Quest’idea è rintracciabile anche in numerosi sonetti, come quelli di Sebastiano Baldini, segretario della Sapienza Romana, che chiama il re vincitore ‘il vero Giove’:
fra i prischi Augusti io sul Tarpeo la voglio [la statua] / Ed è ragion, nè van desio mi muove, / Che se il falso s’adorò in Campidoglio, / Hoggi Roma s’inchina al vero Giove[16].
Il tema ricorre anche nel sonetto intitolato Una statua eretta alla Maestà di Giovanni III del maestro don Fulgenzio Mario Gualazi, conservato nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro:
Fabbri sudate ed al guerrier sovrano / alzi dotto scalpel sasso gigante, / E a paragon del Mauritano Atlante / Sostegni con il dorso il Ciel Romano[17].
Un altro poeta – Pietro Monesio – propone di fondere una statua equestre del re dai cannoni dei Turchi presi sul campo di battaglia viennese:
Bronzi, ch’a incenerir l’Austriaco soglio, / Vuò, che formiate il Sarmato regnante, / Premer’aureo Destrier in Campidoglio.
Quanto col senno, e colla destra ei feo / Spieghi il rifuso orientai metallo / Già spettator d’ogni suo gran trofeo.
Esprima il Trace a’ piedi suoi vassallo, / E che l’Ismara Luna in su ‘l Tarpeo, / Calchin le Lune d’or del suo cavallo[18].
É lecito chiedersi come mai in questi confronti poetici compaia Giove (i resti del suo tempio sopravvivono ancora oggi in Campidoglio) e non venga menzionato Costantino, nonostante la presenza dei frammenti della colossale statua dell’imperatore nel cortile del Palazzo dei Conservatori. Ciò è tanto più sorprendente in quanto l’accostamento Costantino-Sobieski è chiaramente articolato nelle Tesi Barberini del 1684 e poi nella già citata lettera del padre Vota del giugno 1693.
Il nuovo Costantino nella Tesi Barberini
Nell’ottobre del 1684, nell’anniversario della liberazione di Vienna, i nipoti del cardinale Carlo Barberini, protettore di Polonia, redassero una Tesi che glorificava il re Sobieski a lui dedicata e presentata al Collegio di Propaganda Fide. Il frontespizio della tesi è costituito da una incisione su rame opera di Agostino Scilla e Jacques Blondeau[19], con un cartiglio iscritto dove Sobieski è paragonato a Costantino e si elencano i meriti dei due gloriosi condottieri, secondo un accostamento frequente all’epoca[20].
«O Re invitto, in cielo la Fede e in terra Roma, Maestra della Fede, seduta sulle insegne dei suoi onori, propone alla tua imitazione Costantino, denominato per le sue straordinarie imprese ‘Magno’, ma per gli immensi meriti nei confronti della Cristianità a tutti gli effetti ‘Massimo’ […] L’Europa sa bene quanto tu, con la liberazione di Vienna, un anno fa, dai Turchi, già ti sia consacrato alla salvezza dell’Antica Roma; il mondo cristiano spera per mezzo tuo di restituire la Nuova [Roma] alla libertà e all’antica dignità […] un giorno Costantinopoli colpita cadrà, sarai detto un giorno Salvatore dell’Antica e Liberatore della Nuova, Gaudio di Entrambe […] sotto l’auspicio dei trionfi che la Cristianità vede e attende da te, sia data facoltà di sperare nella vittoria nel sereno studio della Filosofia»[21].
Queste frasi parte della lunga iscrizione che spiega e completa il contenuto dell’incisione nella Tesi dei fratelli Barberini, sono perfettamente in linea con le voci degli ecclesiastici e degli autori dei panegirici citati.
Nell’incisione il centro della composizione è occupato dalla figura del re a cavallo, accompagnato dal figlio giovanetto Giacomo, che partecipò alla spedizione di Vienna. Sopra di loro è raffigurata la personificazione della Chiesa che indica un medaglione, formato da rami d’alloro, con il ritratto di Costantino il Grande (FL. CONSTANTINUS MAGNUS) visibile su uno stendardo srotolato (fig. 5).

La figura dell’imperatore sembra modellata su quella che compare sulle sue medaglie, ma anche sulla gigantesca testa del Campidoglio. Per sottolineare che le gesta di Giovanni III sono altrettanto importanti per il mondo cristiano quanto i meriti di Costantino, l’iscrizione esprime la speranza di riconquistare la Nuova Roma – Costantinopoli. Nell’incisione, un putto che aleggia sul re impugna una sciabola con l’iscrizione: GEMINE SPES ALTERA ROMAE. L’intero testo, che spiega e completa il contenuto artistico della composizione, si chiude con l’auspicio di ulteriori trionfi del potentissimo re e della prevista vittoria.
Come sappiamo, Constantinopoli non fu riconquistata e forse anche per questo nell’arco di dieci anni l’entusiasmo verso l’erezione di una statua del re in Campidoglio o nella Basilica di San Pietro, come pendant per quella di Costantino il Grande, andò scemando e ben si comprende ciò leggendo la già citata lettera del padre Vota. Ma da essa sappiamo, che l’iconografia del sovrano polacco era ben nota a Roma:
«Per quanto riguarda le linee del viso [del re] – scrive Vota – sono molto ben espresse in un pastello del Maestro Giorgio [Siemiginowski] a casa di M. Cardinal Barberini, e potrebbe essere usato qui»[22].
Se la statua equestre di Sobieski fosse stata eretta «in cima al grande teatro di San Pietro, di fronte a quella del Costantino, opera del Bernino», sarebbe stata modellata sull’immagine del re a cavallo di Siemiginowski, presente in mostra capitolina (fig. 6)[23].


Quella pensata per il Campidoglio potrebbe invece essere stata simile a quella del Castello Reale di Varsavia (fig. 7)[24].
In Vaticano non fu realizzato la statua del re, ma la sua immagine – raffigurata nel contesto della Battaglia di Vienna – è visibile sul monumento funerario di Innocenzo XI nella navata sinistra della Basilica di San Pietro (fig. 8)[25].

Nel bicentenario di questa grande battaglia, fu donato a Leone XIII il grande dipinto di Jan Matejko intitolato Sobieski a Vienna, collocato nella Sala Sobieski dei Musei Vaticani appositamente dedicata (fig. 9)[26] a Giovanni III, così descritto dallo storico militare Carl von Clausewitz:
«Sulla base delle notizie che si sono conservate su questo sovrano, egli può essere considerato audace ed energico e classificato tra i più grandi comandanti della storia»[27].

La leggenda di Costantino in Polonia
Il dono al re Giovanni III dello scudo profetico con Costantino e la battaglia del Ponte Milvio ebbe forte impatto sulla percezione del sovrano anche in Polonia. Nel 1686 fu messa in scena a Varsavia una sorta di rappresentazione teatrale, il cui testo è ancora conservato in numerose copie[28]. Sul frontespizio dell’opera i nomi di Costantino e del re di Polonia sono accostati in un’abile disposizione grafica (fig. 10).

Il contenuto della versione latino-polacca, preceduta da un’ampia dedica al re, è costituito da diversi temi: la visione di Costantino, la sua battaglia vittoriosa con Massenzio, la costruzione di chiese a Roma a cui partecipa l’imperatore stesso, la fondazione di Costantinopoli sotto l’influenza di un’altra visione; l’infezione di Costantino dalla lebbra e la sua guarigione miracolosa grazie a papa Silvestro (314-335). Nella conclusione di questa breve opera in tre atti, la storia di Costantino si intreccia con la figura di Giovanni III e persino con la storia della Polonia e della sua cristianizzazione.
Ricordando lo scudo profetico e lo spettacolo appena riassunto non sorprende che sulla facciata del giardino del Palazzo del Re a Wilanów si ritrovi tra le immagini degli antichi eroi – Achille, Priamo, Alessandro Magno – anche un bel ritratto di Costantino (fig. 11)[29].


Gli stuccatori che realizzarono questi medaglioni, dei quali si conoscono solo i nomi, Jan e Antoni[30], si rivolsero a modelli grafici quali quelli realizzati da Giovanni Angelo Canini del 1669 (Iconografia, cioè disegni d’imagini de’ famosissimi monarchi, regi, filosofi, poeti ed oratori dell’Antichità) (fig. 12) e di Joachim von Sandrart del 1679[31]. Dalla corrispondenza tra il re e il suo architetto Agostino Locci, che fungeva anche da suo segretario, sappiamo che il dotto committente reale fu in maggior parte l’autore del programma iconografico della decorazione del palazzo[32].
Ed è lecito immaginare che i nomi dei figli di Maria Casimira e di Giovanni III – Alessandro e Costantino – siano stati ispirati dal grande condottiero macedone e dal primo imperatore cristiano, che fu anche un grande stratega.
Jerzy MIZIOLEK Roma 25 Giugno 2025
NOTE
[1] Biliński 1990, passim; Wrede 2000, pp. 11-21; Fijałkowski 2009, pp. 105-120; Karpowicz 2011, passim.
[2] Sul padre Vota si veda De Caprio 2004. La lettera, scritta in francese, è stata studiata da Brahmer 1939 e 1980, pp. 122-159 (in particolare pp. 139-141). Si veda anche Biliński 1990, p. 190; Pasierb, Janocha 2000, pp. 135-137; Smoliński 2014, pp. 355-356.
[3] Traduzione dal testo francese pubblicato da Brahmer 1980, p. 140
[4] Sul pittore Siemiginowski, che fu borsista di Giovanni III a Roma dal 1678, si vedano Karpowicz 1974; Kolendo 2014; Smoliński 2014, pp. 357-358.
[5] Riguardo la statua di Costantino, il ritrovamento, iconografia e ricostruzioni: Parisi Presicce 2005, pp. 138-155; Parisi Presicce 2012, pp. 109-119; Bardill 2012, pp. 203-217.
[6] Żygulski 2014 p. 324, riguardo la presenza dello scudo in Polonia, ricorda come fin dalla metà del ‘500 i papi cercarono di incoraggiare Sigismondo Augusto Jagiellone (1520-1572) a unirsi alla lotta contro le armate ottomane. Era noto che il re di Polonia era appassionato di belle armature da cavaliere e possedeva una grande armeria e l’autore avanza quindi l’ipotesi che tra i doni per il monarca, inviati dall’Italia, forse anche da Pio V stesso, figurava lo scudo in questione; la squisita fattura e il tema raffigurato lasciano pensare a una manifattura italiana. Si veda anche Odsiecz Wiedeńska 1990, n. 280, fig. 296.
[7] Per l’edizione moderna del poema: Gawiński 2003 con introduzione di D. Chemperek (pp. 7-23).
[8] Gawiński fa riferimento ai Fasti (III, 377) di Ovidio dove si trova un racconto di uno scudo caduto miracolosamente dal cielo nei tempi Numa Pompilio, il secondo re di Roma: Gawiński (ed. del 2003), p. 28.
[9] Arteński 1676; Hirtenberg 1676. Si veda, inoltre, In laudes Ioannis Sobiescii del 1673, recentemente pubblicato in versione latino-polacca (2016) da B. Milewska-Waźbińska e M. Górska.
[10] In laudes Ioannis Sobiescii (ed. del 2016), emblema 20; tutti i 23 emblemi si basano sul tema dello scudo.
[11] La letteratura su questo tema è immensa, si veda Curan 2000, in particolare pp. 71-115; Bardill 2012, pp. 218-225.
[12] La libera traduzione del testo: Per l’onore divino, se il desiderio di guerra vi coglie/E nella vittoria, o re, sotto il segno della croce/date il benvenuto/Sotto questo segno i vecchi pagani felicemente sconfitti/Sotto la croce colui che guerreggia, ottenga la lode divina/Questa è la guerra pia, questa sopprime i pagani/Con esse le vittorie sono piacevoli per il Signore di lassù.
[13] Pietrangeli 1983, p. 6. Giuseppe Berneri (1637-1701) è l’autore del poema giocoso, intitolato Meo Patacca, ovvero Roma in feste ne i trionfi di Vienna (1695), nel 1823 pubblicato con 52 incisioni di Bartolomeo Pinelli; l’ultima ristampa dell’opera è del 1993. Sui festeggiamenti a Roma dopo l’arrivo della notizia della vittoria viennese si veda Biliński 1990; Osiecka-Samsonowicz 2017, pp. 62-69.
[14] La citazione tratta da Biliński 1984, p. 58, e Biliński 1990, p. 181. Si veda anche Giometti 2010, pp. 57, 129 e 131. Per Cartari si veda Petrucci 1977.
[15] Citazione tratta da Biliński 1990, p. 187.
[16] Biliński 1990, p. 191.
[17] Biliński 1990, p. 183.
[18] Biliński 1990, p. 184.
[19] Archivio Museo di Roma, invv. MR 40504,40507, 40508.
[20] Bilinski 1984, p. 58. L’accostamento tra Costantino imperatore e Giovanni III attraverso il motto In hoc signo vinces ricorre anche nel volume di Bassani 1700, p. 18.
[21] Polonia 1975, pp. 192-193; Górska 2017, pp. 57-69, 121-150. Traduzione dell’iscrizione di Waldemar Turek.
[22] Citazione tratta da Brahmer 1980, p. 140.
[23] Sulla statua equestre di Bernini, si veda Bernini in Vaticano 1981, p. 144; Bernardini 2021, pp. 414-418. Si veda poi Smoliński 2014, che cerca di chiarire le circostanze del progetto della statua equestre di Giovanni III a Roma.
[24] Questa statua in legno di noce, di Pierre Vaneau e datata tra anni 1683-1687, era prevista per un monumento del re Sobieski, mai finito, nella cattedrale a LePuy en Velay. Comparsa sul mercato antiquario a Roma nel 1986, venne acquistata per il Castello Reale di Varsavia, si veda John III Sobieski 2017, pp. 236-237.
[25] Basilica Vaticana 1990, pp. 288-289; Vaticano barocco 2014, pp. 156-161.
[26] Nell’introduzione della mostra vaticana del 1983 (si veda La Battaglia di Vienna 1983, p. 6) Carlo Pietrangeli scrive: «Nel secondo anniversario della vittoria di Giovanni Sobieski fu donato a Leone XIII un quadro di eccezionali proporzioni, opera del noto pittore polacco Jan Matejko, rappresentante il trionfo del re di Polonia sui turchi; fu offerto al. Pontefice dal popolo polacco». Per la storia del dipinto e la donazione, si veda Pryma 2019.
[27] Clausewitz 2022, p. 173.
[28] Sobiesciana 1983, p. 28.
[29] Wrede 2000, pp. 17-19.
[30] Starzyński 1976, pp. 14 e 25.
[31] Canini 1669, tav. 60; Sandrart 1679 (ristampa 1994), tav. 01. Si veda anche Wrede 2000, fig. 57.
[32] Si veda i documenti dell’epoca raccolti e discussi da Starzyński 1976, passim, in particolare pp. 14 e 25.
Bibiografia