Antonio Borrelli, scultore dell’anima. L’uomo, l’artista e il legame insolubile con la sua città.

di Daniela CARDONE

 Docente Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Daniela Cardone, laureata in Lettere, è’ ricercatrice presso l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, oltre che Dottore di ricerca in Estetica presso Università degli Studi di Napoli Federico II; si occupa di tematiche inerenti  alla storia dell’arte, all’Estetica della città e dell’architettura e alla lettura iconografica della città. Coordinatrice delle attività scientifiche del Crie, Centro di Ricerca sulle Istituzioni Europee, attualmente è affidataria di un progetto di ricerca inerente alla Rigenerazione urbana e alla valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico. Tiene dall’anno accademico 2016-2017, per gli studenti di Scienze della Formazione e  Scienze della comunicazione, un laboratorio sulla lettura iconografica  della città. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art

Il cinque dicembre di questo turbolento 2020 si è chiusa a Napoli la sedicesima  Giornata del Contemporaneo.

Il grande evento annuale promosso da AMACI  celebra l’arte contemporanea facendo emergere in un’unica giornata i soggetti e gli artisti che promuovono l’arte contemporanea in Italia e all’estero.

In una dinamica diversa dovuta agli scenari Covid, la rassegna ha ospitato anche in remoto, collegamenti e ‘allestimenti’ digitali dei più grandi rappresentanti dell’arte, mettendo on line, con l’ideologia della community diverse gallerie e esposizioni. Nella rete dell’iniziativa anche le collezioni di un artista napoletano, lo scultore Antonio Borrelli, che con la sua città ha sempre avuto un legame particolare e che forse avrebbe apprezzato anche questo nuovo sistema di  ‘divulgazione’ che per forza di cose ha raccolto su piattaforme diversi dialoghi e diverse forme d’arte.

Una condivisione di intenti  la cui sventura è stata tutto sommato proficua, dal singolare al collettivo, così come piaceva a lui, convinto che  il linguaggio dell’arte fosse sempre universale

 «comprensibile da ogni uomo, in ogni cultura … un legame profondo tra tutti gli artisti della terra, quelli di ieri e quelli di oggi, nella consapevolezza che proprio il dialogo tra gli artisti può aiutare anche gli altri a capire che si può progettare insieme, pur essendo diversi».

Il legame tra lo scultore napoletano e la sua città è stato sanguigno e ardente, un legame fatto di interesse e dedizione, sempre in avamposto per il bene degli ultimi. In un’intervista pubblicata  in occasione della presentazione della monografia curata da Paolo Mamone Capria, (Antonio Borrelli,  Napoli 2009), alla Fondazione Premio Napoli, il compianto maestro scomparso nel 2014, è ricordato dalla sua città come uno dei più grandi testimoni del ‘dialogo’ nella comunità napoletana.

Hanno scritto di lui Achille Bonito Oliva, Vitaliano Corbi, Gillo Dorfles, Maria Antonietta Picone e molti altri colleghi e amici di lustro. Napoli la sua città natale, in cui si è formato e ha insegnato, a partire dal 1977, per oltre vent’anni, all’Accademia di Belle  Arti, Tecniche di fonderia, Micro e macro fusioni, ha perso con la sua scomparsa nel 2014, un’operosità artistica suggestiva e elegante, ma soprattutto un maestro di vita.  Da allora la città non ha smesso di ricordarlo, con  omaggi e riconoscimenti alla sua memoria, rammentando la sua incredibile capacità di dare forma ai metalli con l’uso della fiamma ossidrica: una continua e nuova  ricerca di espressività caratterizzata da sperimentazioni tecniche e formali, forgiate con saldature che evocano elementi naturali e evoluzioni tecniche: l’uomo e il suo genere, l’uomo e la natura in una contrapposizione costante.

Antonio Borrelli, Cristo, Chiesa del Buon Consiglio

Amore per la vita e spiritualità, una relazione che idealmente ci riporta ai precedenti prerinascimentali di Benvenuto Cellini per la minuziosità agile, raffinata e talvolta sospesa di alcune opere orafe e scultoree, come il Cristo nella Chiesa di S. Maria del Buon Consiglio a Posillipo (1971), o il Mostro Guerriero.

Il Mostro guerriero e la Struttura spaziale, in ferro e bronzo saldato, sono due opere degli anni Sessanta e Settanta,  che mettono da sè in evidenza due elementi contrastivi eppure di giuntura nell’arte del maestro Borrelli. Per un verso il suo astrattismo geometrico che sarà sempre ‘saldato ad arte’ in uno sguardo d’insieme ove prorio quel materialismo informale dà voce alla forma, per un altro l’irriducibile forza, solida quanto lo stesso materiale che lo rappresenta, della costante contrapposizione tra l’elemento umano e l’elemento naturale, tra il mondo umano e il mondo zoomorfo e fitomorfo.

La natura inquieta si scontra con le certezze della ragione, trova misura nelle fisionomie umane fatte a metà e nei voli, come nelle sculture essenziali e esistenziali di Alberto Giacometti o nelle foglie arcuate arcangeliane di Quinto Ghermandi.

Piastre, reticoli, tubi, tondini e frammenti di genere metallico saranno i materiali cari all’artista. Andando avanti questi stessi materiali negli anni acquisiscono una forma sempre meno sottile, sempre meno ossequiose dello spazio e delle dimensioni. Anzi, le forme sono aperte, ben strutturate, i volumi hanno spazialità ponderanti che declamano una carica espressiva commisurata proprio alla forma.

Antonio Borrelli, Ipotesi Spaziale (1964)

Nel 2014 pochi mesi dopo la sua scomparsa, fu presentata, con il sovrintendente Fabrizio Vona e la curatela critico artistica di Maria Antonietta Picone, l’Ipotesi spaziale (1964), opera inserita come nuova acquisizione per la collezione del ‘Museo del Novecento’ a Napoli (1910-1980): un esempio di sperimentazione, per l’arricchimento del Museo,  che in quell’allestimento dal primo Futurismo alla Transavangurdia, inseriva un’opera che associava, sapienza tecnica a poetica ritmica e scultorea, pezzi differenti, cavità e forme cubiche: oggettivazione rara della produzione partenopea contemporanea.

L’Ipotesi spaziale rappresentava, anzitempo, una sorta di archeologia del futuro. Un’opera che Antonio Borrelli produceva negli anni Sessanta con la medesima lungimiranza che  ne aveva contraddistinto il parlare e l’agire. Un’imposizione volumetrica ritmata da stralci, da composizioni assemblate a loro volta in un unico volume. Ipotesi surrealista per quelle forme  macchinose quanto grandiose, complesse quanto definite, che lo stesso Borrelli ha denominato misteriose, o meglio oggetti misteriosi, ‘relitti spaziali’. In questo caso lo spazio ipotetico è un’ipotesi di spazio, un gioco spaziale, presagio forse dei relitti e dei delitti dei nostri spazi odierni.

Daniela CARDONE  Napoli  10 gennaio 2021