di Nicosetta ROIO
Storica dell’Arte
La settimana dell’Epifania non può che concludersi con una piacevole e rara raffigurazione pittorica che illustra l’arrivo dei tre re Magi alla capanna di Betlemme, ambientata in un idilliaco paesaggio di ispirazione veneta e insieme bolognese, con evidenti richiami anche all’arte rinascimentale umbra peruginesca e a quella fiorentina leonardesca e raffaellesca, tanto da essere stata catalogata nel XIX secolo come opera di Mariotto Albertinelli: Lorenzo Costa, Adorazione dei Magi, tavola, cm 65,5 x 74,2, collezione privata (Fig. 1).
Il tema iconografico è certamente tra i più popolari nella pittura di tutti i secoli: ne esistono raffigurazioni dipinte già nelle catacombe e scolpite sui sarcofagi marmorei del II secolo. La rappresentazione di uno o dei tre Magi davanti alla Madonna col Bambino sembra discendere dalla tradizione imperiale romana, che usava effigiare i barbari sconfitti mentre rendevano omaggio all’imperatore trionfante: proprio nel II secolo Sant’Ireneo chiarì il valore simbolico dei doni recati a Gesù Bambino dai tre “astrologi”, ovvero l’Oro (l’omaggio), l’Incenso (il sacrificio), la Mirra (la morte).
L’umanizzazione dell’arte – di cui fu portatore soprattutto Giotto – e l’esperienza francescana introdussero la rappresentazione dei Re Magi così come è a tutti nota ancora adesso, assumendo nelle epoche successive l’evidenziazione della maestà di questi tre “uomini saggi”, raffigurati con vesti sontuose e con un seguito di molte persone e animali, enfatizzandone il simbolismo della loro personificazione delle tre parti del mondo conosciuto ab antiquo: quindi il più anziano Gaspare (Galgalath) venne collegato all’Europa, Baldassarre (Balthazar) all’Asia e il moro Melchiorre (Melech) all’Africa.
Il pittore padano Lorenzo Costa (Ferrara, 1460 circa-Mantova, 1535) aveva già realizzato un dipinto col medesimo soggetto firmandolo e datandolo 1499 (Fig. 2):
si tratta della predella, ora nella Pinacoteca di Brera a Milano, collocata in origine alla base della pala d’altare raffigurante l’Adorazione di Gesù Bambino, realizzata dal suo collega bolognese Francesco Francia (attualmente conservata nella Pinacoteca Nazionale di Bologna). Nella cimasa dell’ancona lo stesso Costa dipinse in tre scomparti un Cristo risorto tra l’Angelo annunciante e la Madonna annunciata, tuttora visibile nel luogo originario di destinazione, la Cappella Bentivoglio della chiesa felsinea di Santa Maria della Misericordia.
La storia di questa commissione risale al rientro di Anton Galeazzo Bentivoglio, protonotario e figlio del Signore di Bologna Giovanni II, da un pellegrinaggio in Terra Santa. Partito dalla sua città nella primavera del 1498, vi tornò nell’ottobre dello stesso anno e, come indicato in un’iscrizione presente sulla cornice dell’ancona lignea dell’intagliatore Andrea Marchesi detto Formigine, l’intera opera fu eseguita in due mesi, tra lo scadere del 1498 e l’inizio dell’anno successivo.
Evidente rielaborazione posteriore della predella braidense, rispetto ad essa questa nuova aggiunta al catalogo del Costa appare inquadrata in uno spazio molto più ristretto: la scena è infatti concentrata intorno ai protagonisti primari dell’episodio religioso in modo analogo a quanto si vede nella tavola del 1499. Diversamente da quest’ultima, però, in cui i tre quarti della raffigurazione sono dedicati alla descrizione del folto corteo, la tavola fin qui inedita appare meglio incentrata sui protagonisti primari dell’episodio religioso: i Magi sono infatti collocati precisamente al centro del dipinto, sul lato sinistro appare la Sacra famiglia mentre nello sfondo a destra è descritto un gruppetto di accompagnatori dei tre Re Astrologi, assieme ad alcuni animali tra cui cavalli, un cane, una scimmia e un pappagallo.
Nel quadro si riconoscono le qualità stilistiche più tipiche della fase matura di Lorenzo Costa: è noto, infatti, che dopo il felice e produttivo periodo bolognese trascorso accanto al principale rappresentante artistico della Signoria bentivolesca, il ricordato Francia, il maestro ferrarese ebbe l’occasione di trasferirsi presso la corte mantovana di Francesco II Gonzaga e di sua moglie Isabella d’Este. Ciò accadde nel 1506, dopo i drammatici eventi susseguiti alla caduta dei Bentivoglio: la scomparsa del grande pittore della corte gonzaghesca, Andrea Mantegna, consentì al Costa di subentrargli in quel prestigioso ruolo, avviandosi ad un periodo di rinnovate soddisfazioni professionali.
La materia pittorica compatta del quadro appare stesa su un fondo di preparazione accuratamente levigato per accentuare la luminosa brillantezza della raffigurazione e, dal punto di vista figurativo denuncia certamente le influenze dei coevi maestri fiorentini come Fra Bartolomeo e Mariotto Albertinelli a cui, si è detto, la tavola era stata attribuita in passato. Nei modi studiati d’impronta cortese è agevole riconoscere pure le sofisticate suggestioni pittoriche derivate dalla sua formazione ferrarese sulle opere di Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti e Francesco del Cossa mentre non vi mancano riecheggiamenti del pensiero visivo dell’ultimo Mantegna e del Correggio per le morbidezze materiche, oltre che del mondo lagunare giorgionesco per la tipologia dell’invenzione compositiva: tutti caratteri stilistici, questi ultimi, ricorrenti nel Costa attivo a Mantova, quando il suo stile bolognese-franciano subì un’evoluzione orientandosi maggiormente verso un raffinato leonardismo, evidente nelle fisionomie e nei morbidi trapassi degli sfumati del paesaggio, anticipando inoltre, per certi versi, anche le morbidezze materiche del Correggio.
Ben conosciuta è la storia collezionistica di questa tavola a partire dal XIX secolo: pur non essendone nota la provenienza originaria, forse una cappella o un palazzo mantovano, si sa che era stata di proprietà dell’importante famiglia napoletana dei Filomarino, conti e principi della Rocca. Con questa indicazione compare infatti in un elenco di opere che dovevano essere alienate a Napoli nel 1823: si tratta della vendita della raccolta di Karl Gottlieb May (1786-1862), affidata a M. De Lessert e G. Huber. Il quadro è elencato al n. 1 con l’attribuzione a Mariotto Albertinelli, la provenienza dal Duca della Rocca di Napoli e la valutazione di 300 ducati napoletani: “Albertinelli (Ancienne ècole florentine). L’Adoration de Màges, sur bois, tableau très-estimé, d’environ 20 figures et avec paysage, provenant de la gallerie du duc de la Rocca à Naples” (Fig. 3).
Dunque il quadro del Costa era giunto probabilmente nella capitale partenopea nel XVII secolo: la collezione dei Filomarino era stata in gran parte formata dal cardinale Ascanio (1580-1666), arcivescovo di Napoli dal 1641 e strettamente legato al cardinale Francesco Barberini a Roma. Alla morte di Ascanio Filomarino i suoi beni furono ereditati dai nipoti: esistono alcuni inventari della raccolta, quello del 1685 redatto alla morte del nipote omonimo, quello del 1699 del fratello di quest’ultimo, Alfonso Filomarino. Il palazzo napoletano fu saccheggiato durante l’invasione di epoca napoleonica (1799): conteneva una ricca collezione con opere di artisti famosi (si ricordano le attribuzioni a Raffaello, Sodoma, Daniele da Volterra, Poussin, Vouet, Valentin, Annibale Carracci ecc.), tra i quali c’era dunque anche questa Adorazione dei Magi.
Dopo l’alienazione della raccolta di Karl Gottlieb May nel 1823, si sa infine che la tavola giunse a quella di Karl Ludwig von Haller, scrittore e politico di Berna (1768-1854) e per discendenza agli eredi di quest’ultimo. Va altresì ricordato che l’opera appare inventariata correttamente col nome di Lorenzo Costa nell’Archivio Fotografico Scala di Firenze con l’indicazione Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz-Vienna.
Nicosetta ROIO Bologna 10 gennaio 2021