di Elvira D’AMICO
Insito nello spirito siciliano è il senso scenografico che si esprime al meglio in epoca barocca investendo tutte le manifestazioni del sacro. Esso si esplica in particolare negli addobbi effimeri, che vengono apposti in chiese, cappelle ed oratori, ma anche in camere e facciate di palazzi nobiliari, non disdegnando nemmeno i palazzi del potere, sicchè, come è stato osservato, in tale periodo la città stessa diventa teatro e rappresenta se stessa.
Le apparature effimere sono così diffuse sin dalle soglie del Seicento, da essere riprodotte anche nello stucco e nel marmo, come si nota da alcuni straordinari esempi di area trapanese (fig.1),
ispirati alle tende a padiglione, anticamente riservate ai condottieri e ai sovrani, quindi passate nell’iconografia sacra ad accogliere le figure dei santi e della Vergine, che trovano le più significative raffigurazioni nella pittura rinascimentale (fig.2).
Ma è tra gli ultimi decenni del secolo XVII e i primi del secolo successivo che gli apparati effimeri raggiungono la loro espressione più alta, grazie all’apporto di architetti siciliani che a Roma compivano la loro formazione, in primis Paolo e Giacomo Amato, apportatori nell’Isola della lezione del barocco romano. I loro disegni per apparati festivi, eseguiti con la collaborazione di valenti pittori quali Antonino Grano e Pietro Aquila, conservati alla Galleria Regionale della Sicilia (figg.3-4), sono relativi a feste sia sacre che profane e realizzati per varie tipologie di committenti, il più illustre dei quali è il viceré duca d’Uzeda.
APalermo è tale la richiesta di ‘ombrella pavigliuni e toselli’, da ‘cunzari’ con ‘frinze e raccami’, ‘festine e galloni’, ‘candelieri e specchi…’, che nel 1686 si rende necessaria la costituzione di una corporazione di paratori, che si riuniscono sotto la protezione dei santi martiri Eustochio, Proculo e Galbodeo e nello stesso anno emanano i loro statuti.
Alcuni antichi ragguagli del capoluogo siciliano ci descrivono minutamente queste ‘machine’ spettacolari, rivelandocene oltre che la magnificenza, la foggia e i materiali da cui erano composte, come nel caso di quella memorabile elevata nell’altar maggiore della Cattedrale di Palermo per I Trionfi di Santa Rosalia nel 1686, su disegno dell’architetto Paolo Amato:
S’innalza maestoso il riverito altare sopra sette marmorei gradini, … e ammette un tesoro di ricchezze negli altissimi candelieri, e vasi e statue e palio e baldacchino, tutti d’argento di gran maestria di lavoro … Veniva il tutto pomposamente finito da una gran corona Imperiale, foggiata riccamente a grosso rilievo d’argento, e fondo di velluto cremesino, che servendo d’ombrella a tutto l‘Altare, era adorna con due aperte cortine dello stesso velluto, col dentro di tela d’oro, con spesse trine, e larghissime frange d’argento,che, in più cadute, e pendenze molti Genij d’argento la sostentavano, e insieme mirabilmente l’ornavano, attaccandole con vaghissimi fermagli di larghi serti, o festoni di fiori … In somiglianza d’un sole tutto fulgori vi si adorò S.Rosalia, che coronata di raggi, vestita riccamente di gloria, stava a sedere in sublime Carro di Luce.
A questa antica tipologia di addobbi effimeri sembrano rifarsi alcuni rari esempi di baldacchini a padiglione, insperatamente conservatisi fino a noi ed ancora rinvenibili in alcune chiese dell’antico Val di Noto, una zona in cui non a caso lo scenografico architettonico tocca i massimi livelli. Essi – adoperati soprattutto in periodo pasquale per l’esposizione delle Quarant’ore, dunque con funzioni in tutto simili a quelle dei baldacchini canonici prescritti dalla liturgia ordinaria – sostenuti da mirabolanti ancoraggi in funi e cordami, sormontati da torreggianti corone ‘imperiali’ in legno dorato, da cui si dipanano scenografiche ‘farde d’apparato’ rivestite da ricercati ricami, sembra vogliano gareggiare con le svettanti facciate delle chiese sorte dopo il catastrofico terremoto del 1693, ad opera di architetti locali dalla fantasia non comune (fig.5).
Il fatto poi che tali arredi siano concentrati nelle chiese annesse ai monasteri benedettini, ci fa supporre che le badesse non siano estranee alla loro ideazione, assieme agli artisti a cui dovettero essere da esse stesse commissionati.
Non pare dunque azzardato affermare che alle suore siciliane, in primis le benedettine – che detenevano nell’Isola il primato del ricamo liturgico sui paramenti e arredi sacri, contendendolo ai ricamatori professionisti – sia dovuta la realizzazione e la perpetuazione di questi manufatti eccezionali, ispirati alle impareggiabili architetture che li contenevano.
Così è per il magnifico padiglione che sovrasta l’altar maggiore della chiesa di San Giuseppe di Ragusa Ibla (fig.6), annessa al monastero benedettino.
Esso,perfettamente proporzionato nel rapporto tra l’esile corona e gli eleganti cortinaggi drappeggiati, reca ricami in oro su entrambe le facce, quella esterna in velluto cremisi profilata da una sottile bordura a girali fioriti, e quella interna in raso bianco decorato a mazzetti floreali e in centro lo stemma benedettino, incorniciato da una composizione floreale sormontata da corona, quasi una proiezione in piano dell’intera struttura del padiglione (fig.7).
Tale tipologia di fregio ricamato si ripete anche sul dossale di altri baldacchini canonici del ragusano e del catanese, caratterizzati da tettuccio quadrato e recanti sul ‘cielo’ la colomba dello Spirito Santo ricamata in oro, come quello particolarmente raffinato della chiesa di S.Giorgio di Ragusa Ibla (figg.8-9-10).
Un altro straordinario manufatto che ricalca la tipologia degli apparati effimeri di un tempo è il padiglione settecentesco della chiesa di S.Lucia di Adrano (figg.11-12), l’antica Contea di Adernò, un tempo sita al confine tra il Val di Noto e il Valdemone, chiesa pure annessa al locale monastero benedettino.
Esso appare di gusto ancora pienamente barocco nelle dimensioni della massiccia corona dorata ‘all’imperiale’ che trattiene i drappeggi in doppio tessuto, come quelli descritti nei documenti d’epoca: velluto cremisi con bordura in oro da un lato, seta bianca con ricamo a fiori entro reticolati dall’altro, ma la sua caratteristica principale è data dalle corte falde pendenti dalla sommità, quasi pendoni di un baldacchino propriamente detto, che creano un effetto particolarmente scenografico.
Gli altari laterali ripetono in scala minore l’addobbo con falde bicolori (fig.13), ricamate a motivi di anfore di gusto già neoclassico, che ci fanno pensare ad una realizzazione più tarda e quindi ad un completamento del vasto apparato della chiesa in epoca successiva, ad opera delle stesse locali suore benedettine.
Elvira D’AMICO Palermo 7 aprile 2021
BIBLIOGRAFIA
M. Del Giudice, Palermo Magnifico, Palermo 1686
G. Isgrò, Feste barocche a Palermo, Palermo 1981
E. D’Amico , Il ricamo e l’addobbo effimero.I paliotti delle chiese di S.Domenico di Palermo e di S. Maria dell’Orto di Monreale, in Il teatro e l’altare. Paliotti d’architettura, a cura di M.C.Ruggeri Tricoli, Palermo 1992
E. D’Amico, Le parature dell’effimero e la committenza del Senato palermitano negli anni di Ferdinando II delle Due Sicilie, in Immaginario e Tradizione. Carri trionfali e teatri pirotecnici nella Sicilia dell’Ottocento, Palermo 1993