The importance of dimensions in the versions of the “Taking of Christ”. An addition to Barbara Savina’s note (original english text and italian version).

di Clovis WITHFIELD

The note that Barbara Savina has written about the Cattura di Cristo that was recently exhibited at Ariccia is a welcome addition to the history of the painting ( Cfr., https://www.aboutartonline.com/ancora-su-caravaggio-tra-originali-e-copie-considerazioni-dopo-la-mostra-di-ariccia-e-su-una-versione-intermediadella-presa-di-cristo/).

Of some importance, however, are the dimensions of the original paintings from the series in the Galleria Mattei, many of them included inthe exhibition Caravaggio e la collezione Mattei  at Palazzo Barberini in 1995. They are all 145 by 225 give or take a couple of centimetres,  apart from the Cattura di Cristo, (the Dublin version) which is 133,5 by 169,5 cm.

The painting shown recently in Ariccia Palazzo Chigi, that we now know passed to the Ruffo di Calabria collection before being included in the 1951 Caravaggio  retrospective in Milan  is 148 by 218.5 cm, was described in the 1951 catalogue as 165 by 245cm, obviously including the frame, which is the original one supplied (and painted by) Caravaggio himself. And the size is obviously consistent with the other paintings of the series, which were clearly to be read as illustrations of successive moments of the Passion.

It is also clear that the Mattei, whether Ciriaco or Cardinal Girolamo, were keen to evangelise the powerful interpretations of these scenes, having started with the very compelling example of the Incredulity of St Thomas. More than fifty versions of this composition have been traced, and although it is usually said that the one belonging to the Giustiniani (and now in Potsdam) is the original, it is clear that Baglione in his Vite dei pittori (Rome 1642, p. 137)  indicates that it was with this painting that Prospero Orsi marked his introduction to Ciriaco Mattei.

The Mattei were very evangelical both in terms of their choice of subjects for their commissions, and  also  promoted the new dramatisation ‘from life’ of these scenes from the Gospels to various relatives and contacts, and even Benedetto Giustiniani and Del Monte had versions  of the IncredulityBenedetto took his to to Bologna, where he was Legate from 1606 to 1611.  But both Giustiniani brothers were much more private and kept to the idea that their art would be diminished by being copied. The images ‘dal naturale‘ that Caravaggio did were regarded almost as achieved by a patent process, and so could be effectively repeated also by other artists who could capture the tangible presence of the original, many of them ‘labelled’ al viso or dal vivo.   The Dublin version represents what Vincenzo Giustiniani would describe, in his Discorso sopra la pittura  (written during the time when Honthorst painted his version)

quanto più eccellente sarà il pittore, purchè abbia pazienza, tanto migliore riuscirà la copia, che, all’incontro non sarà conosciuta dall’originale, e talvolta lo supererà; che, all’incontro, se il copiatore sarà inesperto, e di poco spirito, sarà facilmente conosciuta la differenza dell’originale dalla copia’ 

For Prospero Orsi, the multiplication of Caravaggio’s inventions (and he would not have made all the copies himself)  represented a further source of revenue, at a moment when he gained more from being a dealer than as a painter. The success of these images is telling with regard to the impact they had on the originals, for a long time the Odessa version was considered the best, then the Dublin painting. And despite that one  having been regarded in the various eighteenth century guide books and Mattei inventories up to its sale in 1802 as the work of Honthorst. The original, described in sufficient detail by Bellori in 1672 to recognise St John with braccia aperte  as opposed to the curtailed feature in all the other versions, was evidently sold and there was no pretence on the part of the Mattei family that the picture bought by Hamilton Nisbet in 1802 was by Caravaggio himself.

All of the versions (some twenty four are known)  that were made of the Cattura di Cristo as listed in Barbara Savina‘s review (Cfr., Caravaggio tra originali e copie, Rome 2013) are of the reduced format of around 133 by 170 of the Dublin version and  134 by 172,5 of the one in Odessa. This size in the Mattei inventories is described as riquadrato.  This is of the proportions of the Incredulity, which seems to have been around 108 by 148 cms.  The reduced format of the copies of the Cattura di Cristo was obviously chosen with destinations in mind, these were inventions that were for domestic interiors rather than altars.

Del Monte is known to have guarded his originals closely so that few versions are known of his paintings, he was careful not lose the ‘copyright’ and the same is true of the Giustiniani.  And while the Dublin version is a very telling painting, with the corrections of iconography that were important to the patron, it is the creative process documented in the substantial corrections seen in the x-rays and penetrative infrared imagery that mark the Ruffo/Bigetti painting as the original.

© Clovis WHITFIELD-  Umbria 18 February 2024

Versione Italiana

La nota che Barbara Savina ha scritto a proposito della Cattura di Cristo recentemente esposta ad Ariccia è una gradita aggiunta alla storia del dipinto ( Cfr., https://www.aboutartonline.com/ancora-su-caravaggio-tra-originali-e-copie-considerazioni-dopo-la-mostra-di-ariccia-e-su-una-versione-intermediadella-presa-di-cristo/).
Di una certa importanza, tuttavia, sono le dimensioni dei dipinti originali della serie della Galleria Mattei, molti dei quali inclusi nella mostra Caravaggio e la collezione Mattei tenutasi a Palazzo Barberini nel 1995. Sono tutti di cm. 145 x 225, un paio di centimetri più o meno , tranne la Cattura di Cristo, (versione dublinese) che misura 133,5 x 169,5 cm
Il dipinto esposto recentemente a Palazzo Chigi di Ariccia, che oggi sappiamo passato alla collezione Ruffo di Calabria prima di essere inserito nella retrospettiva di Caravaggio del 1951 a Milano è di 148 x 218,5 cm, ed era descritto nel catalogo del 1951 come 165 x 245 cm, compresa ovviamente la cornice, che è quella originale fornito (e dipinto da) Caravaggio stesso. Le dimensioni sono  quindi coerenti con gli altri dipinti della serie, da leggere come illustrazioni dei vari episodi del ciclo della Passione di Cristo.
E’ anche chiaro che i Mattei, sia Ciriaco che il cardinale Girolamo, erano desiderosi di evangelizzare le potenti interpretazioni di queste scene, partendo dall’esempio molto convincente dell’Incredulità di san Tommaso. Di questa composizione sono state rintracciate più di cinquanta versioni, e anche se di solito si dice che quello dei Giustiniani (e ora a Potsdam) è l’originale, fu con questo dipinto che Giovanni Baglione nelle sue Vite dei pittori (Roma 1642, p. 137) ci dice che Prospero Orsi segnò il suo incontro con Ciriaco Mattei
I Mattei furono molto evangelici sia nella scelta dei soggetti per le loro commissioni,  ma anche nel promuovere presso parenti e conoscenti la nuova rappresentazione ‘dal vero’ di queste scene dei Vangeli; anche Benedetto Giustiniani e Del Monte avevano versioni dell’Incredulità. Benedetto lo portò a Bologna, dove fu legato dal 1606 al 1611. Ma entrambi i fratelli Giustiniani erano molto più riservati e pensavano che le loro opere d’arte sarebbero state sminuite se fossero state copiate. Le immagini ‘dal naturale’ realizzate da Caravaggio erano considerate quasi brevettate, e quindi potevano essere efficacemente ripetute anche da altri artisti che potevano catturare la presenza tangibile degli originali, quasi ‘etichettati’ dal vivo. La versione dublinese della Presa di Cristo rappresenta ciò che Vincenzo Giustiniani descriverebbe, nel suo Discorso sopra la pittura  (scritto nel periodo in cui Honthorst dipinse la sua versione),
“Quanto più eccellente sarà il pittore, purchè abbia pazienza, tanto migliore riuscirà la copia, che, all’incontro non sarà conosciuta dall’originale, e talvolta lo supererà; che, all’incontro, se il copiatore sarà inesperto, e di poco spirito, sarà facilmente conosciuta la differenza dell’originale dalla copia”.
Per Prospero Orsi la moltiplicazione delle invenzioni di Caravaggio (e non avrebbe fatto lui stesso tutte le copie) rappresentava un’ulteriore fonte di guadagno, in un momento in cui guadagnava più come mercante che come pittore.
​ Il successo di queste immagini è indicativo per quanto riguarda l’impatto che hanno avuto sugli originali: per molto tempo infatti la versione di Odessa è stata considerata la migliore, poi quella di Dublino, considerata nelle varie guide settecentesche e negli inventari Mattei fino alla sua vendita nel 1802 come opera di van Honthorst. L’originale, descritto in modo sufficientemente dettagliato da Bellori nel 1672, da riconoscere per il San Giovanni con braccia aperte in contrapposizione al tratto abbreviato di tutte le altre versioni, fu evidentemente venduto e non vi fu alcuna pretesa da parte della famiglia Mattei che il quadro acquistato da Hamilton Nisbet nel 1802 fosse quello di Caravaggio.
Tutte le versioni (se ne conoscono circa ventiquattro) realizzate della Cattura di Cristo elencate nella rassegna di Barbara Savina (Cfr., Caravaggio tra originali e copie, Roma 2013) sono del formato ridotto: circa 133 x 170 è la versione dublinese e 134 per 172,5 quella di Odessa, dimensione che negli inventari Mattei è descritta come riquadrata. Le proporzioni dell’Incredulità, sembra sianoi state di circa 108 x 148 cm. Il formato ridotto delle copie della Cattura di Cristo fu ovviamente scelto con destinazione d’uso, si trattava cioè di invenzioni destinate agli interni domestici piuttosto che agli altari.
È noto che Del Monte ha custodito attentamente i suoi originali tanto che si conoscono poche versioni dei suoi dipinti, egli è stato attento a non perdere il “copyright” e lo stesso vale per i Giustiniani. E mentre la versione di Dublino è un dipinto molto significativo, con le correzioni iconografiche che erano importanti per il committente, è il processo creativo documentato nelle correzioni sostanziali osservate nei raggi X e nelle penetranti immagini a infrarossi che caratterizzano il dipinto Ruffo/Bigetti. come l’originale.

Roma 18 Febbraio 2024