“Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco”. La grande mostra alle Scuderie del Quirinale

di Nica FIORI

La magnificenza dei suoi palazzi, delle case e delle chiese le hanno incontestabilmente meritato il titolo di La Superba.

Così scriveva nel 1723 lo scrittore e viaggiatore francese Aubry de La Motraye riferendosi a Genova, designata già dal Petrarca secoli prima con lo stesso termine: un aggettivo che si presta a un gioco di parole nella mostra romana “Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco”, organizzata dalle Scuderie del Quirinale e dalla National Gallery of Art di Washington, con la collaborazione del Comune e dei musei di Genova (dal 26 marzo al 3 luglio 2022).

La mostra, a cura di Piero Boccardo, Jonathan Bober e Franco Boggero, era stata pensata per avere una prima tappa a Washington (per via del legame tra l’America e il genovese Cristoforo Colombo), che è stata annullata per l’aggravarsi della pandemia nell’autunno scorso, ma la National Gallery of Art ha mantenuto a tutti gli effetti il suo ruolo nell’organizzazione dell’evento romano.

Quanto alla città di Genova, oltre ai numerosi prestiti per l’esposizione romana, ha partecipato al progetto “Superbarocco” con la realizzazione di una mostra nel Palazzo Ducale, dal 27 marzo al 10 luglio 2022, intitolata “La Forma della Meraviglia. Capolavori a Genova tra il 1600 e 1750” e con una serie di iniziative che, unite sotto il titolo “I Protagonisti” in diversi musei e palazzi cittadini, focalizzano l’attenzione su singole personalità artistiche.

La grande esposizione delle Scuderie appare particolarmente apprezzabile perché svela una realtà poco conosciuta al di fuori di Genova e di pochi specialisti, ovvero la gloriosa stagione artistica del barocco, che nella Superba è durata dall’inizio del Seicento fino a metà del secolo successivo, documentata in mostra mediante ricchissimi manufatti, argenterie ed elementi di arredo, oltre a notevoli dipinti e statue, per un totale di oltre 120 opere d’arte. Ci rendiamo così conto che il Barocco di Genova, anche se essenzialmente privato, è altrettanto cosmopolita e vario di quello romano.

P. P. Rubens, Circoncisione (opera non presente in mostra)

Il nuovo esuberante stile esplose nella città ligure nel 1605, quando arrivò la pala di Pieter Paul Rubens, raffigurante La Circoncisione, per la nuova chiesa dei Gesuiti, mentre qualche anno dopo lo stesso Rubens eseguì un’altra grande pala per la stessa chiesa con I miracoli del beato Ignazio di Loyola (all’epoca Ignazio non era ancora stato santificato), che è esposta nella prima sala, insieme al ritratto (1606) di Giovan Carlo Doria (parente solo alla lontana del vincitore di Lepanto Andrea Doria), il più importante mecenate del momento. Egli si fece ritrarre da Rubens a cavallo, prerogativa, per tradizione, dei sovrani. Ed è proprio sul movimento del cavallo, raffigurato con la sua bianca criniera al vento mentre si impenna, che cade il nostro sguardo e si sofferma poi sulla fiera figura del ricco cavaliere (con le insegne dell’Ordine di San Giacomo della Spada), collezionista di quasi 700 dipinti.

Lo stile sontuoso del pittore fiammingo, premessa e fondamento del barocco europeo, condizionò i futuri sviluppi di quello genovese. Gli artisti locali furono suggestionati anche da altri pittori italiani e stranieri, attirati a Genova dalle committenze di importanti famiglie, che potevano contare su grandissime entrate dovute ai loro rapporti economici con la Spagna, della quale erano larghi finanziatori, quando la stessa era impegnata nella lunghissima e onerosissima guerra delle Fiandre (dalla fine del Cinquecento alla metà del Seicento). Genova era anche il capolinea della strada militare che, attraverso Milano, la Valtellina e Magonza, giungeva a Bruxelles, capitale delle Fiandre.

Simon Vouet, San Sebastiano curato da Sant’Irene da un’ancella, 1622 ca. cm 246×174 Collezione privata

Tra i pittori forestieri che gravitarono su Genova nel primo Seicento Giulio Cesare Procaccini, del quale Giovan Carlo Doria possedeva una sessantina di opere, fu uno dei più influenti e affermati.

Troviamo anche Orazio Gentileschi (è esposto Il Sacrificio d’Isacco del 1611-15), Simon Vouet (con San Sebastiano curato da sant’Irene e da una ancella, del 1622 circa) e soprattutto il grande allievo di Rubens Antoon van Dyck, i cui ritratti a figura intera sono tra i pezzi più belli della mostra.

I due ritratti di Anton Giulio Brignole-Sale e della moglie Paola Adorno rispecchiano la loro prestigiosa condizione sociale. Nel caso della consorte, però, la rosa rossa che ha in mano, che sta per sfiorire, sembra alludere alla caducità della giovinezza, della bellezza e della ricchezza.

Antoon van Dyck, Paola AdornoBrignole-Sale, 1627, cm 286×198, Genova Musei di Strada Nuova- Palazzo Rosso © Musei di Strada Nuova- Palazzo Rosso

Ancora più affascinante ci appare il ritratto di Elena Grimaldi Cavalleroni Cattaneo, eseguito da Van Dyck nel 1623, nel quale la bella donna ha uno sguardo enigmatico sotto un ombrellino rosso, sorretto da uno schiavetto nero. Occasione questa per parlare – in uno dei 50 ovali dedicati alle “Parole superbe” – anche della schiavitù, che costituiva in epoca medievale una delle voci più rilevanti dell’economia genovese e che è documentata anche in età moderna.

Di Van Dyck troviamo in mostra pure un dipinto di soggetto religioso, come la Lapidazione di Santo Stefano, mentre è di un altro fiammingo, Cornelis de Wael, La parabola del figliol prodigo (1630-35), suddivisa in quattro quadri.

È invece genovese Giovanni Pietro Castiglione, detto il Grechetto, che sembra particolarmente a suo agio in alcuni soggetti mitologici come Il sacrificio a Pan (1640 ca.), i cui riferimenti all’antichità rimandano al suo soggiorno romano (era tornato da Roma nel 1637) e alla pittura di Nicolas Poussin. Anche nel dipinto Diogene cerca l’uomo (1635-40) si nota il suo interesse per il mondo classico nella raffigurazione al centro di una statua di Marsia, il satiro fatto scorticare vivo da Apollo come simbolo di punizione per il peccato di hybris (tracotanza), perché aveva osato sfidare il dio in una gara musicale.

Giovanni Benedetto Castiglione, Sacrificio a Pan, 1640 ca. cm218x316, Collezione privata foto Luigino Visconti

Un’altra cosa che ci colpisce nella sua pittura è la felice raffigurazione di animali, che troviamo anche nel Sacrificio di Noè dopo il Diluvio (1645-50), in diverse opere grafiche e nella straordinaria pala con l’Adorazione dei pastori (1645, Genova, Fondazione Spinola, chiesa di San Luca).

Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, Diogene cerca l’uomo 1635-40, Madrid museo del Prado

Dopo la partenza di Van Dyck da Genova, fu proprio il Grechetto a stimolare la pittura genovese nella formulazione di un filone che si potrebbe definire mistico-visionario. Tra i pittori locali Domenico Fiasella (del quale ammiriamo l’Imperturbabilità di Anassarco del 1630-35), era reduce da un soggiorno romano dove si era lasciato suggestionare da Caravaggio, mentre Luciano Borzone, come il suo allievo Gioacchino Assereto (in mostra con La morte di Catone Uticense del 1640 ca.), erano legati ai milanesi; Giovan Andrea De Ferrari (Ebrezza di Noè, 1630-40) era cresciuto alla scuola di Bernardo Strozzi; Giovan Battista Carlone era più improntato alla cultura toscana.

Gioacchino Assereto, Morte di Catone Uticense, 1640 ca., Genova Musei di Strada Nuova Palazzo Bianco

Pur avendo questi artisti esperienze diversificate, l’immagine che si ricava dalla loro produzione è quella di

“una complessiva convergenza verso una maggiore scioltezza narrativa, una tavolozza relativamente sobria e una capacità di introspezione psicologica non esente dalla lezione di Van Dyck”,

come viene evidenziato nel pannello didattico “Esiti naturalistici”.

Proseguendo nell’itinerario espositivo nella sezione “Forme visionarie” incontriamo tra gli artisti Valerio Castello, con un’opera all’epoca molto apprezzata come Il matrimonio della Vergine (1645-50) e soggetti mitologici, come Diana e Atteone con Pan e Siringa (1650-55) e Il Ratto di Proserpina (1657-58).

Valerio Castello, Diana e Atteone con Pan e Siringa, 1650-55, West Palm Beach, Florida, Norton Museum of Art, dono di R.H. Norton
Gregorio De Ferrari, Transito di Santa Scolastica, 1700 ca. , cm 319×222, Genova Museo Diocesano in deposito dall’Abbazia di S. Stefano

Castello è considerato uno dei più alti esponenti di un Barocco libero e visionario, creatore di composizioni dinamiche dalle pennellate vibranti. Furono suoi allievi Bartolomeo Biscaino e Stefano Magnasco (suo è Il Matrimonio mistico di Santa Caterina, le cui figure femminili appaiono tenere e un po’ idealizzate).

Una visionarietà diversa è quella di Giulio Benso, autore di affreschi dall’esasperato illusionismo.

Un “Barocco superbo” è quello che contraddistingue Genova dopo il tragico periodo della peste del 1656-57, superbamente rappresentato da artisti come Domenico Piola (è sua la grandiosa pala con l’Annunciazione dalla chiesa genovese della SS. Annunziata del Vastato, esposta al di sopra di un vivacissimo paliotto d’altare ricamato su un disegno dello stesso Piola), Gregorio de Ferrari (Ritratto allegorico di una giovinetta del 1685-90, Transito di Santa Scolastica del 1700 ca.) e ancora a fine Seicento da Bartolomeo Guidobono (Lot ubriacato dalle figlie 1694-96, Zefiro e Flora, 1700-05).

Pierre Puget e aiuti, Ratto di Elena, 1670 ca. marmo, Genova, Museo di Architettura e Scultura Ligure di Sant’Agostino

La scultura è pure documentata in mostra con alcuni capolavori, tra cui l’imponente Ratto di Elena in marmo (1670 ca.) e la terracotta con San Sebastiano del francese Pierre Puget, e Cristo alla colonna in marmo di Filippo Parodi (1679 ca.), un artista che rinnovò il genere, insieme a Puget, giovandosi delle esperienze compiute a Roma in ambiente berniniano. È pure di Parodi una splendida cornice dorata con Il Giudizio di Paride (1690 ca.), che racchiude un ritratto su rame di Maria Mancini (celebre per essere stata la prima innamorata di Luigi XIV) di Jacob Ferdinand Voet, come se fosse lei la bella divinità scelta da Paride. Vi sono anche bronzi e argenti strepitosi, tra cui un bacile del 1627 di Matthias Melijn con Il Ratto delle Sabine, in argento sbalzato e cesellato, e la grande statua dell’Immacolata (1748) di un argentiere anonimo, dal Museo del Tesoro della Cattedrale di Genova.

Anton Maria Maragliano, Battesimo di Cristo, 1723-25, Pieve di Teco Oratorio di S. Giovanni Battista.

Spettacolare e folcloristico è il gruppo processionale in legno scolpito, dipinto e dorato con il Battesimo di Cristo di Anton Maria Maragliano (1723-25), il più conosciuto scultore del Settecento genovese.

Tra le numerose altre opere in mostra ci colpisce, nella sezione “La grande decorazione” la riproduzione degli affreschi del soffitto della chiesa di San Siro (affreschi dei quali sono esposti i bozzetti, che sembrano quasi delle pale d’altare, con storie della vita di San Pietro, opera di Giovan Battista Carlone), oltre ad opere grafiche e bozzetti a olio di vari affreschi, tra cui anche quello di Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccia per la chiesa romana del Gesù (ricordiamo che Gaulli era genovese).

Giovanni Battista Carlone, Chiamata di San Pietro, 1658, Genova Galleria Nazionale di Palazzo Spinola

Un’opera relativa a un episodio storico è la tela con Il massacro dei Giustiniani di Chio (1715-17, dal Museo di Capodimonte di Napoli), di Francesco Solimena. Anche se di grandi dimensioni (alto 277 cm), si tratta del modello finito per una delle tre monumentali tele che decoravano la Sala del Minor Consiglio nel Palazzo Ducale di Genova, andate distrutte in un incendio nel 1777. Il soggetto illustra la morte di 18 giovani della famiglia Giustiniani, uccisi dai turchi perché non vollero convertirsi all’Islam dopo la conquista turca dell’isola di Chio nel 1566.

Francesco Biggi, La lupa con Romolo e Remo, 1707 ca., marmo, Genova Palazzo Rosso

Nella prima metà del Settecento la ricca produzione artistica a Genova testimonia il perdurare di un’alta qualità espressa in tutte le sue forme e materiali. Tra la varietà degli arredi settecenteschi sopravvissuti spiccano alcune eccellenze legate alla rarità dei materiali impiegati, alla preziosità della lavorazione e, in alcuni casi, all’emergere di toni decisamente curiosi. Le influenze culturali, in particolare da parte di Roma, emergono con evidenza in originali rielaborazioni, come nel caso del Salotto della Grotta di Palazzo Rosso, comprendente tra le altre cose una scultura con l’Allattamento di Romolo e Remo. Oltre al tema stesso delle origini mitiche dell’Urbe, si coglie l’esplicita ispirazione a un ambiente concepito nello stesso spirito a Roma in palazzo Colonna, non più esistente ma documentato graficamente.

Un influsso del gusto francese è invece evidente nelle forme rococò degli intagli lignei di tavoli da muro e specchiere (dalla Francia arrivavano le stesse lastre di specchio) e nella ritrattistica.

L’ultimo grande artista che viene trattato in mostra è Alessandro Magnasco (figlio di Stefano Magnasco), la cui produzione su tela supera nel Settecento i confini della Repubblica per assumere un’inaspettata dimensione europea.

Alessandro Magnasco, Paesaggio con domenicani in meditazione, 1720-25, Genova Collezione privata

Grazie alle sue esperienze milanesi e fiorentine e alla sua conoscenza di fatti artistici precedenti (tra cui le opere dei Bamboccianti), il suo linguaggio risulta del tutto autonomo e talmente fuori dagli schemi del tempo da apparire addirittura rivoluzionario. I suoi dipinti in mostra ci colpiscono per l’insieme drammaticamente articolato e a volte ansiosamente inquieto, con guizzi improvvisi di colore e figure distorte, in particolare S. Agostino e il bambino, S. Carlo Borromeo riceve gli Oblati, Paesaggio con domenicani in meditazione e soprattutto il Trattenimento in un giardino di Albaro, che mostra una visione panoramica di Genova (del 1735), dove non si vedono il mare e la Lanterna, ma il giardino della villa Saluzzo con eleganti figure intente allo svago e al riposo: una rappresentazione in termini poetici dell’effimero di un’epoca caratterizzata da una meravigliosa libertà espressiva.

Anche in occasione di questa esposizione, come di consueto, le Scuderie del Quirinale propongono ai visitatori un ricco programma di incontri collaterali di approfondimento dedicati alla rassegna, consultabile sul web.

Peccato, però, che l’intento didattico e storico di mostre di ampio respiro come questa sia ostacolato dalla non buona leggibilità di alcuni pannelli e didascalie, che non tengono conto delle linee guida dell’accessibilità ai beni culturali (che non riguarda solo la deambulazione, ma anche i problemi di vista, di udito e altri). Si è preferito puntare sulla nuova APP delle Scuderie del Quirinale, che è scaricabile dal web, ma che non tutti i fruitori della mostra sono in grado di utilizzare (pensiamo alle persone anziane che non hanno dimestichezza con la tecnologia).

Tutti i contenuti dell’applicazione (approfondimenti su molte delle opere esposte di tipo visuale, testuale e multimediale) sono disponibili e fruibili in italiano e in inglese e non solo per chi utilizza l’app al momento della visita, ma anche per chi vuole un’anticipazione della mostra che andrà a visitare o per chi non può raggiungere Roma e visitare dal vivo l’esposizione.

Nica FIORI  Roma 10 Aprile 2022

Info: www.scuderiequirinale.it