Santa Patrizia, patrona di Napoli, che venne dal mare per salvare le spoglie di Gregorio Armeno

di Chiara GRAZIANI

 Giornalista professionista

Incalzata dalla peste nera, dalle incursioni de Mori che razziavano le coste,dal Vesuvio che dormiva poco,  la città di Napoli nel ‘600 chiamò a raccolta i Santi.

Dei suoi 51 compatroni, ben 30, San Gennaro incluso, furono chiamati alle armi in un secolo orribile per il popolo. Un secolo che vide spuntare sacre immagini  in ogni vicolo, come un’invocazione senza sosta contro la terra che tremava, la paura che veniva dal mare, la peste che sarebbe esplosa in città nel 1656 ma che da decenni  già percorreva  le città portuali e che avrebbe sterminato generazioni.

Maria Assunta, sant’Antonio da Padova, sant’Aspreno, Santa Irene d’Antiochia, Sant’Emidio, una folla di intercessori in icona che pregava giorno e notte con il popolo da ogni angolo di vicolo. Ognuno con la propria specialità. Terremoti, eruzioni, epidemie.

Una città intera, allora, si mise nelle mani di un esercito dipinto sui muri e nelle edicolette. Forse non per caso all’onore di Patrona, avvocata ufficiale della città prima ancora che Gennaro ne divenisse primo Patrono, venne chiamata la ragazzina delle immagini.

Santa Patrizia di Costantinopoli era una figura che non emergeva dalla storia ma dalla leggenda sorta dai racconti che di lei fecero generazioni di monache e popolani devoti. Una tradizione orale talmente devota e solida che non si può dubitare che sotto la figura – leggendaria perché di leggenda ammantata da un’agiografia orale e secolare – ci siano la carne e la storia di una persona vera, della quale poco possiamo sapere.

Napoli Chiesa di S.Patrizia nel complesso di San Gregorio Armeno riaperta dopo il restauro  (per tutte le immagini ©Newfotosud)

Talmente amata ed impressa nel ricordo dei contemporanei da passare attraverso il filtro delle generazioni arrivando a noi come Patrizia, la principessa giovanetta e santa che giunse dal mare con un seguito di donne in fuga dalla corte di Bisanzio.

Un corteo che avrebbe portato con sé, via mare, le icone che in Oriente erano state condannate alla distruzione per ordine imperiale. Il popolo di Napoli, dice la tradizione, le accolse e dette loro un luogo dove vivere.

La chiesa di San Gregorio Armeno, meglio nota come Santa Patrizia, è il luogo che ricorda quel drappello di ragazze giunte dal mare attorno al VII secolo per portare in salvo le Madonne d’Oriente e le spoglie di San Gregorio.

 

Napoli Chiesa di S.Patrizia nel complesso di San Gregorio Armeno, Interno

Qui è approdata una vicenda storica, di donne in carne ed ossa che la mediazione di secoli di passaparola generazionali ha rivestito, decorato, ma non soffocato: la storia delle donne che, invece di obbedire a padri e fratelli che preparavano per loro il matrimonio, fuggirono per mare per salvare le immagini, intese come memoria dell’amicizia con Dio e con i suoi amici, i Santi.

Una storia che ci torna con il nome di Patrizia, santa del sangue, come Gennaro, e santa delle immagini.

Giovane, coraggiosa donna che non temeva di attraversare il mare senza protezione maschile fino, come racconta la pia tradizione, a far naufragio sulle coste napoletane. Chiamata ad essere amica di Napoli presso l’Onnipotente, circa 9 secoli dopo la sua vicenda terrena, la ragazza si impegnò.

Oggi nella chiesa di Santa Patrizia (o di san Gregorio Armeno) restano due segni che riportano direttamente a lei ed alla sua vicenda. Uno è legato al suo sangue, che “parla” con i fedeli napoletani liquefacendosi. L’altro alle immagini, o meglio ad un’immagine che, in occasione del restauro del complesso ultimato nel 2006, era riemersa dal convento dove era custodita. Una figura di donna su tavola lignea, probabilmente antichissima, rivestita nei secoli da panni più adatti ai canoni estetici di chi la venerava al momento, lasciando scoperti solo le mani ed il viso dell’icona originale.

Oggi l’icona porta un ricco mantello blu stellato sui semplici abiti, è circondata da angeli rosei ma il viso è quello bruno e semplice che Patrizia e le donne, videro e si preoccuparono di salvare, custodendolo poi nei secoli.  Prima nel monastero di Caponapoli, poi in San Gregorio, dove il corpo e l’ampolla del sangue della santa, traslati, continuano ad oggi il particolarissimo dialogo con la città.

Napoli, Chiesa di S.Patrizia nel complesso di San Gregorio Armeno, Organo

L’ampolla e l’icona sono il perno ed il simbolo di una relazione con Napoli  per nulla chiassosa e spettacolare come quella parallela di Gennaro in Duomo, ma non meno intensa. E forse molto più libera. L’icona delle suore fu mostrata ai fotografi dell’agenzia Newfotosud nel 2006, ma il suo posto non è nella tribuna della devozione popolare, è nelle stanze del chiostro.

Nel barocco splendente della chiesa, illuminato dal soffitto cassettonato, gli affreschi di Luca Giordano espongono una versione della storia che le varie vulgate collocano disinvoltamente entro un ampio margine prima dell’anno Mille.

Napoli, Chiesa di S.Patrizia nel complesso di San Gregorio Armeno, affreschi di Luca Giordano

Le donne, nella luce dorata della presenza celeste che le accompagna, arrivano a Napoli con le spoglie di Gregorio l’Illuminatore, fondatore della Chiesa d’Amenia,  caricate sulle spalle: donne e bambini fanno ala ad un corteo regale di figure in bianco. Nel secondo  affresco il popolo, passato lo  stupore, bacia le vesti delle donne consacrate sotto lo sguardo di Giordano stesso che si è inserito nella scena con le quattro pennellate fulminee che bastavano a Luca fa’ presto per lasciar carichi di meraviglia  committenti a decine per tutto il vicereame e fino in Spagna.

Napoli, Chiesa di S.Patrizia nel complesso di San Gregorio Armeno, soffitto cassonato

L’antica icona, arrivata dal mare per la pia tradizione, ha il fascino di un frammento autentico di quei fatti lontani e raccontati in mille modi. E sta nascosta nell’ombra del chiostro, lontano dagli ori celesti del soffitto cassettonato e di Luca Giordano. La prima una testimonanzia,  i secondi una rappresentazione.

Ed anche l’ampolla del sangue è una testimonianza discreta. La liquefazione del suo contenuto , che avviene in Santa Patrizia, è un prodigio al femminile. Non ha scadenze, come quello di Gennaro che dà tre appuntamenti all’anno. A chi scrive fu spiegato così: chiunque abbia fede e ne faccia richiesta può pregare davanti all’ampolla quando ne avverte la necessità.. Anche da solo. Non occorrono le folle del Duomo, le imorecazioni delle parenti, la pressione collettiva del popolo sul suo Protettore da convincere con le buone o con le cattive.

E’ un miracolo libero, duttile. Ma anche un evento che giudica individualmente chi lo richiede. Da Patrizia si va a quattr’occhi, come ad un esame. Da Gennaro si va a nome di Napoli o della Nazione.  Da Gennaro ci sono spazio e tolleranza per i curiosi. Da Patrizia no. Il rapporto è a quattr’occhi. Il cuore viene pesato. Ogni 25 agosto una messa solenne festeggia il giorno del nome della Santa e l’ampolla viene richiesta di fare la sua parte. Ma è un’eccezione. Le suore che la custodiscono non hanno mai accettato di farne analizzare o spettrografare il contenuto. Chi non crede può tranquiiamente continuare a farlo, spiegano. Patrizia, che si mise in mare da sola per seguire l’Amore disobbendendo agli uomini di casa ed ai doveri sociali, non ha bisogno di patenti. Santa Patrizia è femmina. Ed è libera per sempre.

Chiara GRAZIANI  Roma 10 gennaio 2021