La parità di genere? Nella Fabbrica di San Pietro esiste dal XVI sec. Il libro di Assunta Di Sante e Simona Turriziani

di Sara MAGISTER

Storica dell’Arte, saggista

Le donne nel cantiere di San Pietro in Vaticano. Artiste, artigiane e imprenditrici dal XVI al XIX secolo, a cura di Assunta Di Sante e Simona Turriziani, Foligno, Il Formichiere, 2017.

Il volume Quando la Fabbrica costruì San Pietro, edito nel 2016 per i tipi del Formichiere e ottimamente recensito su AboutArt da Nicola Graziani (https://www.aboutartonline.com/bernini-vs-francesca-bresciani-il-caso-della-fabbrica-di-san-pietro-dopo-lappello-di-papa-bergoglio-torna-il-tema-dello-scarso-peso-delle-donne-nella-chiesa/) aveva già messo in chiaro come andrebbero meglio soppesati, certi giudizi e pregiudizi nei confronti della condizione femminile nel contesto della Chiesa. E anche su molte altre scottanti questioni, prima fra tutte quella delle indulgenze.

Una corposa raccolta di saggi quella, il cui meritato successo ha avviato una ricerca ancora più approfondita e incentrata sul contributo dato dalle donne alla costruzione e decorazione della Basilica Vaticana, confluita nella pubblicazione Le donne nel cantiere di San Pietro in Vaticano. Artiste, artigiane e imprenditrici dal XVI al XIX secolo.

Il risultato? Per queste tematiche è ancora più eclatante di quanto già emerso nella prima pubblicazione. E accende un sorriso, nello scoprire che quel “diritto civile moderno” con forza rivendicato ai giorni nostri, ossia la parità di trattamento lavorativo tra uomo e donna, era una prassi già più che consolidata e attuata nel cuore della Chiesa di Roma. E non solo nei suoi ultimi cinquant’anni, bensì fin dal momento della nascita dell’istituzione della Fabbrica di San Pietro nel 1506, e senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri.

Lo dimostrano le tante donne che prestano ancora oggi le loro competenze a tutti i livelli in Vaticano, come le valenti curatrici-autrici del primo e del secondo volume, Simona Turriziani e Assunta Di Sante, rispettivamente Responsabile e Vice Responsabile dell’Archivio della Fabbrica di San Pietro. Ma soprattutto lo dimostrano nero su bianco i documenti e le prove tangibili e concrete, rinvenute nei meandri di un archivio ricchissimo, conservato negli affascinanti sottotetti della Basilica.

 Giovan Battista Piranesi, Veduta dell’esterno della Basilica di San Pietro, da Vedute di Roma, cm 50,5 x 70

Fatto sta che questo archivio è ancora oggi troppo poco preso in considerazione dagli studiosi, quando invece insieme alla storia senza interruzioni – e già questo è un dato eccezionale – dell’Istituzione, della costruzione della Fabbrica di San Pietro, e anche di molto altro, è assorbita una buona parte della storia della città di Roma nei suoi ultimi cinquecento anni. E anche quella dei suoi singoli cittadini, di ogni estrazione sociale, uomini e donne, ricchi e poveri, artisti e manovali, nativi e forestieri.

Basta aprirne le carte, quindi, ed ecco ricomparire dall’oblio nomi e azioni di chi su quelle pietre ci ha messo davvero le mani, nel senso materiale e intellettuale. Mani, pensieri, passioni che i loro committenti hanno valutato e valorizzato per i loro talenti concreti, indipendentemente dall’essere maschio o femmina.

Il libro Le donne nel cantiere di San Pietro in Vaticano. Artiste, artigiane e imprenditrici dal XVI al XIX secolo, a cura di Assunta Di Sante e Simona Turriziani, è uscito per i tipi del Formichiere già nel 2017, ma il suo effetto è di quelli destinati a una lunga, lunghissima durata. Per questo a distanza di tre anni vale ancora una sua analisi.

Anzi, si può dire che il colpo che ha inferto va forse ancora pienamente assorbito, avendo ribaltato con argomentazioni ferme e nitide un certo immaginario storiografico e collettivo, che, per quanto inesatto, è pur difficile da scardinare a causa della sua lunga consuetudine.

Ancora più eccezionale quindi, e indice di una grande onestà di pensiero, è il premio che gli ha voluto subito conferire la Casa Internazionale delle Donne, che da sempre si affida proprio a quella storiografia.

Ma d’altra parte i fatti sono fatti, e alla loro luce ogni altra teoria o lettura diventa sterile. Andiamo a vedere, quindi, questi racconti e questi fatti. E soprattutto, andiamo a conoscere queste donne di polso, di azione e di cuore.

Il volume è composto da studi che portano le firme delle due curatrici e di valenti restauratori e di storici dell’arte e dell’architettura: Nicoletta Marconi, Paola Torniai, Sante Guido, Giovanna Marchei. La prefazione non poteva che essere del Presidente della Fabbrica di San Pietro, il cardinale Angelo Comastri, e l’introduzione è di mons. Vittorio Lanzani, Delegato della Fabbrica.

L’ordine narrativo si organizza per varietà di mestieri e in sequenza cronologica.. E questo già basta per mettere subito in chiaro alcuni concetti.

Il primo è che si capisce fin da una prima occhiata come la Fabbrica non riservasse alle donne solo pochi ambiti circoscritti di azione, ma anche gli stessi incarichi di fatica affidati solitamente agli uomini. Si passa quindi dalle intagliatrici di lapislazzuli e le stampatrici di alta qualità, alle carrettiere che trasportavano i blocchi di travertino, fino a quelle che tiravano fuori dalle infuocate fornaci i mattoni e i padellini per le luminarie da montare sulla cupola.

Il secondo punto fermo è la continuità ininterrotta nel tempo del contributo femminile alla costruzione della Basilica, dal Cinquecento fino al pieno Ottocento, dove si ferma l’indagine condotta. Perché per gli ultimi due secoli, come si è detto, è sufficiente guardare alla situazione attuale.

Giovanni Paolo Panini, Interno di San Pietro, Olio  su tela 74 x 99.7 cm

Ma come mai così tante donne attive in fabbrica, in secoli in cui altrove il lavoro femminile non era poi così diffuso? Entrando nel dettaglio dei contributi, si scopre come il motivo principale fosse strettamente connesso all’etica del lavoro, e alla umanità verso chi lo forniva, che ha plasmato l’Istituzione della Fabbrica fin dai suoi esordi, con regole fissate nero su bianco nel suo statuto.

Un’attenzione che si estendeva anche ai famigliari delle maestranze, perché in caso d’invalidità o di morte prematura del professionista si pensava alla sopravvivenza di chi era rimasto, con indennizzi, ma soprattutto con la dignità duratura del lavoro: era previsto che subentrassero nella sua stessa mansione i figli maschi, oppure la sua consorte e le figlie femmine, se questi erano minorenni.

Questa e altre pratiche fanno innanzitutto comprendere come nella Fabbrica già cinquecento anni fa fosse attiva una politica assistenziale lungimirante e ante litteram, che oltre a porre qualche dubbio sull’originalità delle moderne lotte sindacali, spiccava per qualità, umanità di trattamento, e anche per le retribuzioni, sulle condizioni lavorative contemporanee di altri paesi occidentali.

A questo punto, la prassi che in Fabbrica ha visto per secoli tramandare il lavoro e le “licenze” da padre in figlio, non può essere attribuita alle mere questioni di “nepotismo”, ma a criteri di selezione ben più complessi ed elevati, sempre ferma restando, tuttavia, la garanzia di qualità del lavoro svolto.

Perché è vero che spesso il lavoro lo si ereditava, ma la condizione da controfirmare nel nuovo accordo era che fosse mantenuta la medesima qualità di servizio e di prodotto già a suo tempo forniti da chi si andava a sostituire.

Che il nuovo lavorante fosse poi un uomo o una donna, dunque, era questione irrilevante, perché la differenza stava nella qualità del fare, non nel genere. Non a caso le donne nel cantiere di San Pietro godevano di una sostanziale parità economica rispetto agli uomini, al contrario di altri paesi europei o stati italiani, dove il loro salario era decurtato del 50%.

Per questo i documenti della Fabbrica restituiscono nomi e vicende di tenaci donne operaie, impiegate in quelle mansioni pericolose e faticose che l’immaginario collettivo associa solitamente agli uomini. In particolare, i saggi di Nicoletta Marconi, Paola Torniai e Simona Turriziani trattano delle varie “provvisioniere”, ossia fornitrici di vari materiali da costruzione: dai laterizi al gesso, dalla calce alle funi, dalle graticole di ferro al materiale più vario di ferramenta. Tra queste si contano anche le “indoratrici”, specializzate nel ricoprire con la preziosa lamina oggetti di arredo liturgico.

C’erano poi le “carrettiere” che organizzavano ed eseguivano il trasporto sui carri o altri mezzi dei materiali pesanti da costruzione, in pietra e legno. Sembrano invece mancare nel cantiere di San Pietro le vere e proprie “mastre muratore”, che erano però inviate dalla Fabbrica a lavorare in altri cantieri dello Stato Pontificio posti sotto la tutela di famiglie nobiliari romane, come Palestrina, Monterotondo o Castel Gandolfo, ove già erano vi erano impiegate arazziere e intagliatrici di cristalli.

Più pesante di quanto sembri in apparenza era anche il lavoro delle “capatrici” di smalti, che con le mani ferite e inaridite dalla polvere frugavano tra i calcinacci dell’antica Basilica, per recuperare le tessere di mosaico da impiegare nelle nuove commissioni.

Giovan Battista Piranesi, Veduta della Basilica di San ietro e della Piazza in Vaticano, da Vedute di Roma, cm 49,5 x 64,5

Ma non meno scomoda doveva essere l’attività della “vetrara” Giovanna Jafrate, capace non solo di fornire, ma anche di montare, con squadre di lavoranti da lei bene coordinate, le grandi lastre di vetro della Basilica, spesso poste ad altezze vertiginose.

Gli stessi principi di selezione, basati sulla qualità del fare piuttosto che sul genere di chi lo faceva, sono stati alla base anche del secondo gruppo di donne impiegate nel cantiere: quelle assunte non per eredità ma per una vera e propria “gara d’appalto”. O quelle che hanno comunque dovuto lottare contro una feroce concorrenza, per conservare la licenza dei propri padri.

Come le agguerrite “ferrare” sorelle Palombi, indagate da Giovanna Marchei, vere e proprie imprenditrici capaci non solo di mantenere ma anche d’incrementare l’azienda di famiglia, assumendo e gestendo il lavoro di diversi mastri fabbri, tutti uomini naturalmente.

Emblematico e quasi iconico è il caso della celeberrima Francesca Bresciani, analizzata da Assunta Di Sante e da Sante Guido, collaboratrice del Bernini per il Tabernacolo della cappella del Santissimo Sacramento come finissima e orgogliosa intagliatrice di lapislazzuli, che seppe reggere testa al Cavaliere nel contrattare la retribuzione più appropriata per le proprie competenze.

Di cultura non meno raffinata era anche Paola Blado, indagata da Simona Turriziani, “stampatora” erede di un’importante tipografia, che seppe mantenere alta nel nome e nella qualità di produzione, insieme alla licenza di stampa di tutti i documenti ufficiali della Fabbrica e della Camera Apostolica.

Sempre la Di Sante ha poi messo in luce l’interessantissima figura di Lucia Barbarossa, valente intagliatrice del legno e autrice di cornici e oggetti di arredo non solo per la Basilica Vaticana, ma anche per i sontuosi palazzi di importanti famiglie romane, come i Borghese, e i Colonna, presso il cui edificio aveva la sua bottega.

Mentre è di Sante Guido l’indagine sulla valente “cristallara e fabricatrice de smalti” Vittoria Pericoli, nella cui impresa si fondevano e modellavano le “pizze” di vetro colorato e di oro per i mosaici della basilica Petriana e di San Paolo fuori le Mura, riconosciute come perfette da una severa commissione che ne doveva valutare la qualità. Un’attività da imprenditrice, la sua, che svolse in contemporanea con quella di miniatrice-pittrice. Vittoria, infatti, era una donna determinata, raffinata e dalle mille risorse, e come pittrice aveva compiuto la sua formazione presso Theresa Mengs, sorella del celebre Anton Raphael Mengs.

Questo libro quindi è uno studio fondamentale, e non solo perché riporta in luce l’importante contributo dato alla storia e all’arte da donne forti, valenti e tenaci, ma anche perché apre di fatto nuovi importanti scenari di indagine, nel campo dei cantieri artistici e architettonici romani e laziali, e anche nella storia della società e del lavoro dei secoli passati.

E se nulla sappiamo dei volti di queste donne, ecco che la pubblicazione corre in aiuto all’immaginazione, con una copertina disegnata ad hoc, e con l’aprire ogni saggio con splendidi dettagli fotografici delle Virtù dei monumenti sepolcrali dei papi in Basilica.

D’altra parte, di donne virtuose si tratta, ognuna nel proprio campo di azione, dal più elevato al più umile. Donne, tutte, modello e testimonianza di storia, di azione e di vita.

©Sara MAGISTER    Roma  10 gennaio 2021