Saffo “crine di viola, eletta …” un mito immortale come poetessa e come donna

di Nica FIORI Scrittrice, coll. About Art

SAFFO. Poetessa immortale, tra letteratura, mito e arte

Ecco che Amore di nuovo / mi dà tormento, / Amore che scioglie le membra, / Amore dolce e amaro, / fiera sottile e invincibile… O Attide, / di volermi bene ti venne fastidio, / e vai da Andromeda”.
Morire vorrei, veramente. / In grande pianto ella mi lasciava. / E anche questo mi disse: / ahimè quale pena, Saffo, io patisco, / con quanto dolore ti lascio. / E io a lei rispondevo: / va’, sii lieta, e ricordati / di me. Tu sai quanto bene ti volli. …”.

Sono versi come questi (che riporto nella traduzione di Manara Valgimigli) e altri ancora più noti, che hanno dato alla poetessa Saffo (fine VII- metà VI secolo a.C.) e alla sua isola di Lesbo, dove lei presumibilmente educava una comunità di fanciulle aristocratiche (“tiaso”), una connotazione di amore omosessuale, tanto che il rapporto omoerotico femminile viene chiamato comunemente “saffico” o “lesbico” (foto 1 e 2).

1. Symeon Solomon, Sappho and Erinna in a Garden at Mytilene, 1864,Tate-Gallery, Londra
2 Gustav Klimt, Saffo, 1888

Prima che quel tipo di rapporto assumesse per le donne greche una connotazione negativa, come avvenne con il consolidamento del modello politico della polis, dove invece era ammesso il rapporto tra un uomo adulto e un giovane nella formazione etico-sociale maschile (paideia), c’è da credere che nel “tiaso” di Lesbo le giovinette ricevessero un’istruzione che comprendesse la musica, la danza, la poesia e la cura del corpo, come preparazione al futuro matrimonio. Niente di strano, perciò, che potessero instaurarsi tra le fanciulle e l’insegnante dei legami molto forti, che potevano anche sfociare nell’amore fisico, senza essere giudicati riprovevoli.

Venere Callipigia, MANN, Napoli

Il mondo poetico di Saffo è incentrato sull’amore, e in questo segna un superamento dell’epica e dell’elegia ionica. Se per Esiodo, l’autore della Teogonia, gli dei hanno tenuto nascosto ciò che spinge gli uomini a vivere, lei lo rivela: per lei Eros e Afrodite non sono più divinità primordiali, ma potenti forze immanenti nel mondo e nello spirito umano (foto 3).

Questa nuova spiritualità è evidente nella raffinatissima Ode ad Afrodite, l’unica che ci è giunta integra. Nel momento in cui Saffo si rivolge alla dea dell’amore, i confini tra cielo e terra si annullano e la dea arriva sul suo carro d’oro, condotto da veloci passeri, per portare sollievo alla poetessa e promettere il suo aiuto, tanto da arrivare a dirle:

 

Chi ora ti fugge, presto t’inseguirà, / chi non accetta doni, ne offrirà, / chi non ti ama, pure controvoglia, / presto ti amerà …” (traduzione di Salvatore Quasimodo).

È una poesia sapientemente costruita la sua, nuova e ardita nel mettere la divinità e la creatura umana sullo stesso piano d’intimità e di solidarietà, come si usa tra amiche. Nel frammento del canto del Giardino d’Afrodite la dea appare, invece, in perfetta armonia con la natura rigogliosa, tra meli, incensi, mormorio d’acqua, ombre di rose, fiori di loto, aneti, in un giardino dove dispensa copiosamente in auree coppe “nettare e gioia”.

Ma il complesso sentimento d’amore non sempre è gioioso e per questo è definito da Saffo “dolce amaro”: un ossimoro che ne evidenzia gli aspetti piacevoli e tremendi al tempo stesso. Pensiamo allo sconvolgimento dei sensi e della membra, mirabilmente descritto in un’ode riportata dall’Anonimo del Sublime e in seguito ripresa pari pari da Catullo. Una descrizione rimasta insuperata, che rivelerebbe i sintomi della gelosia:

A me pare uguale agli dei / chi a te vicino così dolce / suono ascolta mentre tu parli / e ridi amorosamente. Subito a me / il cuore si agita nel petto / solo che appena ti veda, e la voce / si perde sulla lingua inerte. / Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, / e ho buio negli occhi e il rombo / del sangue alle orecchie. / E tutta in sudore e tremante / come erba patita scoloro: / e morte non pare lontana / a me rapita di mente …” (traduzione di Quasimodo).

Certo, la gelosia è un segno della nostra imperfezione terrena, della nostra limitatezza nel voler possedere a tutti i costi un altro essere, anima e corpo, perché aspiriamo a una pienezza irraggiungibile. Lo stesso potremmo dire del sentimento della mancanza della persona amata, che Saffo descrive magistralmente in alcuni versi, come quando ricorda con nostalgia Attide, o Anattoria, ormai lontane, ma sempre vicine al suo cuore.

4 Alceo e Saffo in una ceramica della scuola di Brygos

Come per altri autori antichi, di Saffo sappiamo molto poco e quel poco lo ricaviamo per deduzione dai frammenti delle sue liriche e da alcune notizie biografiche riportate da autori di epoca alessandrina. Nata da una famiglia aristocratica, probabilmente a Ereso (o a Mitilene), dovrebbe aver conosciuto l’altro celebre poeta di Lesbo, Alceo, che l’avrebbe immortalata con parole lusinghiere: “Crine di viola, eletta, dolce ridente Saffo” (foto 4).

Di lei sappiamo che ebbe tre fratelli, un marito e una figlia, Cleide, alla quale dedicò dolcissimi versi; per motivi politici andò con la sua famiglia esule in Sicilia tra il 604 e il 594. Appare invece leggendaria la storia secondo la quale, innamoratasi perdutamente del giovane Faone, si sarebbe gettata dalla rupe di Leucade (nel Mar Ionio), perché non corrisposta. Eppure è proprio questo suo presunto suicidio uno dei motivi prediletti in ambito letterario (per es. Ovidio nelle Eroidi e Leopardi nell’Ultimo Canto di Saffo), nella musica (per es. Charles Gounod, autore della musica dell’opera Sapho scritta da Emil Augier, 1851) e nell’arte (ricordiamo tra gli altri Antoine-Jean Gros e Gustave Moreau, cui si devono diversi quadri sul tema) (foto 5 e 6). Gli antichi letterati e folosofi furono concordi nell’ammirare la grandezza poetica di Saffo:

6 Gustave Moreau, Sapho a Leucade, 1864,coll. privata
5 A.J. Gros, Saffo a Leucade, 1801

tanto che  di Solone si racconta che, dopo aver ascoltato in vecchiaia un carme della poetessa, disse che a quel punto desiderava solo due cose: impararlo a memoria e morire. Episodio che ha ispirato il primo dei Poemi conviviali di Giovanni Pascoli, intitolato Solon (composto nel 1895), che di norma non si studia a scuola, forse perché troppo colto, ma che io amo particolarmente. In questa lunga poesia Pascoli immagina che la cantatrice Saffo fosse arrivata alla casa di Solone alle Antesterie (le feste dei fiori che cadevano ai primi di marzo) e, dopo aver mosso le corde della “risonante pectide”, avesse detto:

Splende al plenilunïo l’orto; il melo / trema appena d’un tremolio d’argento… / Nei lontani monti color di cielo / sibila il vento. / Mugghia il vento, strepita tra le forre, / su le querce gettasi… Il mio non sembra / che un tremore, ma è l’amore, e corre, / spossa le membra!”.

Pascoli, in questo caso, per dare veridicità al racconto, ha tradotto due frammenti di Saffo e in seguito, pur non traducendo alla lettera, si è ispirato a lei, auspicando l’immortalità della sua poesia:

E il poeta, finché non muoia l’inno, / vive, immortale, / poi che l’inno (diano le rosee dita / pace al peplo, a noi non s’addice il lutto) /  è la nostra forza e beltà, la vita, / L’anima, tutto! / E chi voglia me rivedere, tocchi / queste corde, canti un mio canto: in quella, / tutta rose rimireranno gli occhi / Saffo la bella”.

Molti altri sono i letterati che si sono lasciati attrarre dalla poetica di Saffo, da Madame de Staël ad Alessandro Verri, da Cesare Pavese ad Alda Merini; alcuni saggisti e romanzieri si sono addirittura immedesimati in lei, come Marcello Venturoli, autore del romanzo “Io, Saffo” (1992), e Franco Montanari  autore di “Saffo. Diario segreto. La vera storia dei miei amori” (2005).

7 Pittore di Saffo kalpis conservata a Varsavia
8 Scuola di Polignoto, Saffo, Museo archeologico, Atene

Perquanto riguarda l’iconografia della celebre poetessa, non sono pervenute immagini della sua epoca, mentre appare nell’arte greca intorno al 500 a.C., data a cui risalirebbe un vaso (kalpìs) conservato a Varsavia, attribuito a un ceramografo attico detto Pittore di Saffo (foto 7). Dal momento che la poesia greca era accompagnata dalla musica, Saffo è raffigurata di norma con la cetra. Una ceramica (kàlathos) della scuola di Brygos (ca. 480 a.C.) la raffigura insieme ad Alceo, mentre un’idria attribuita alla scuola di Polygnotos  (440-430 a.C.) e conservata nel Museo archeologico nazionale di Atene, ce la mostra seduta, mentre legge una delle sue poesie a tre amiche-studentesse che la ascoltano (foto 8).

9 Testa di Saffo, da Smirne, Museo archeologico di Istanbul
10. Affresco da Pompei, c.d. Saffo, part. MANN

In età romana la sua immagine compare in alcune monete di Mitilene, forse in una testa di Smirne di età ellenistica (foto 9) e in un busto bronzeo di Ercolano, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), dove la bocca sembra atteggiata al canto, secondo un archetipo della metà del IV secolo a.C. Nello stesso museo napoletano troviamo un quadretto con un affresco di Pompei, cosiddetto di Saffo, che in realtà riproduce entro un clipeo una giovane intellettuale pompeiana (foto 10).

Si tratta di uno dei ritratti femminili più celebri di Pompei per la grazia della fanciulla colta in atteggiamento meditativo, con in mano una tavoletta cerata e lo stilo alla bocca. Doveva essere forse una posa diffusa tra le aristocratiche di alta condizione sociale (la fanciulla ha una reticella dorata sui capelli, orecchini e anello d’oro), visto che la si ritrova anche nel ritratto della moglie di Paquio Proculo.

11 Busto di Saffo, Musei Capitolini
12 Abside con Saffo sulla rupe di Leucade, Basilica neopitagorica

A Roma si conserva nei Musei Capitolini un’erma in marmo bianco, copia di un originale greco del V secolo a.C., dove si legge in caratteri greci Sapfo Eresia (foto 11). Una testa in marmo scuro è conservata nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, ma la sua datazione è incerta, perché rilavorata e rilucidata in epoca moderna. Più significativo per il suo valore simbolico ci appare lo stucco nell’abside della cosiddetta basilica neopitagorica di Porta Maggiore (foto 12). In questo luogo, deputato forse a misteri di tipo iniziatico, Saffo è stata  raffigurata sul ciglio di un promontorio, con in testa un velo gonfiato dalla brezza marina: ha in mano la cetra e sembra che stia per tuffarsi nel mare sottostante. Un Erote la spinge, mentre un tritone nel mare stende un drappo per riceverla. Assistono alla scena un giovane pensoso, da identificare forse con Faone, e Apollo, dio della poesia. L’episodio sembra apparentemente in contrasto con l’etica pitagorica che non consente all’uomo di porre fine alla propria vita. Ma la morte della poetessa può essere interpretata come un rito che lei affronta con grande fede.

Il salto nel mare è un simbolo di rinnovamento, e in questo senso lo si ritrova in altri racconti mitologici. Saffo con il suo tuffo non esprime il dramma di chi si dà la morte volontariamente, ma è, secondo Jérôme Carcopino, cui si deve l’interpretazione in chiave neo-pitagorica della basilica, “il classico esempio di una rigenerazione sacramentale e morale che trasforma gli iniziati”.

13 Maestro di Talbot, Saffo legge un volume a due uomini e una donna, Br. Library, Royal 16 G V
14 Raffaello, Il Parnaso, part., Stanze Vaticane

Andando avanti nel tempo troviamo Saffo raffigurata nelle illustrazioni del De Claris mulieribus di Boccaccio (come per esempio quella del Maestro di Talbot, del 1440 circa, conservata a Londra, nella British Library, Royal 16 GV, foto 13), e nel celebre affresco di Raffaello Il Parnaso (1510-1511, Stanza della Segnatura, Musei Vaticani), dove appare tra un gruppo di poeti in basso a sinistra, con un cartiglio dove è scritto il suo nome (foto 14). Del resto lei, definita da Platone la “decima musa”, non poteva certo mancare nel monte frequentato da Apollo e dalle Muse. Raffaello la raffigura con una pettinatura ispirata a quelle delle antiche dee e con uno strumento musicale copiato da un sarcofago delle Muse del III secolo d.C., conservato attualmente nel Museo Nazionale Romano.

Ma è sicuramente tra gli artisti dell’Ottocento e del Novecento che Saffo acquista un’aria romantica e spesso malinconica. Se Honorè Daumier dà credito alla leggenda che fosse brutta e la ritrae nel 1842 in modo caricaturale, mentre si getta dalla rupe di Leucade, gli altri artisti la ritraggono bella e con in testa corone di fiori o di alloro, spesso con la cetra. Stranamente il grande dipinto di Jacques-Louis David Saffo e Faone (olio su tela 225×262 cm), realizzato nel 1808 per il principe Nicolas Jusupov e conservato nell’Ermitage di San Pietroburgo, non mostra la poetessa affranta, ma anzi corrisposta nel suo amore per il bel giovane, munito di arco e frecce, che le sostiene la testa mentre lei suona.

15 J.L. David, Saffo e Faone, Ermitage

Evidentemente David non si è ispirato al mito greco, ma a una commedia del 1584 di John Lily, nella quale Saffo è la regina di Siracusa e Faone la preferisce addirittura a Venere (foto 15).

Tra i numerosi altri artisti che si sono cimentati con la sua figura, voglio ricordare il pittore olandese-inglese Lawrence Alma-Tadema (1836 – 1912), che l’ha raffigurata mentre ascolta la musica di Alceo, circondata da alcune fanciulle. La scena si svolge in un teatro, i cui sedili di marmo recano in greco i nomi delle giovinette che ci sono stati trasmessi dalle liriche di Saffo. Sullo sfondo il mare allude all’isola di Lesbo nell’Egeo. Egli, affascinato com’era dall’antichità, ha trasmesso anche in quest’opera la sua interpretazione del bello ideale, che corrispondeva al mondo greco e romano (foto 16).

L. Alma Tadema, Saffo e Alceo

Altrettanto affascinato dalla classicità doveva essere John William Godward (1861 – 1922), che raffigurò nei suoi dipinti donne dai lineamenti delicati e con indosso pepli ampiamente drappeggiati, per lo più collocate in antichi contesti architettonici. Nel dipinto Nei giorni di Saffo (1904) la donna è raffigurata su una panca di marmo, con alle spalle il mare e alla sua sinistra un’erma marmorea con il busto di Omero e un giardino con le immancabili rose. La poetessa sembra incantata, con lo sguardo rapito da un sogno o da un pensiero nostalgico (foto 17).

17 J.W. Godward,In the days of Sappho-1904
18 Luigi Folli, Saffo sulla rupe di Leucade

La stoffa leggerissima del suo vestito è resa con tale maestria da far trasparire le belle gambe, mentre altri artisti hanno evidenziato più spesso la nudità del seno, come per esempio Luigi Folli nel suo affascinante dipinto Saffo sulla rupe di Leucade degli anni ’60 dell’Ottocento (foto 18) o Giovanni Dupré nella scultura Saffo abbandonata (1857), conservata nella Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma (foto 19).

Questa scultura in marmo (h 140 cm), di indubbia grazia formale, coniuga la nobiltà del materiale con la dignità del tema trattato. Traspare l’interiorità di una donna delusa, che non è più in grado di reagire al dolore e sta già meditando il suicidio.

19 G. Dupré, Saffo abbandonata, Roma

Nica FIORI  Roma 7 marzo 2021