Precisazioni su Guido Reni e il paesaggio; riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di F. Gatta e la replica di M. Frazzi

di Francesco GATTA ( e Michele FRAZZI )

Gentili amici lettori
non è inusuale che una rivista debba accogliere interventi e precisazioni intorno a tematiche oggetto di discussioni e trattate da differenti punti di vista, tanto più per quanto riguarda About Art che nasce precisamente con questo scopo cioè di favorire lo scambio di opinioni ospitando anche idee contrastanti e perfino polemiche se questo serve ad approfondire le conoscenze e ad allargare il campo degli studi, purché tutto avvenga senza offese e nella logica del rispetto reciproco; questo ci sembra effettivamente il caso dell’intervento di Francesco Gatta su un articolo su Guido Reni e il paesaggio e della replica – pervenutaci oggi che annulla la nota precedente- di Michele Frazzi, autore dell’articolo stesso  (si veda sotto) che sta facendo parecchio discutere; entrambi gli studiosi si sono rivolti a noi in modo cortese per esprimere i propri pareri (altri ricorrono agli avvocati …) e ci pare opportuno favorirli.

Caro Direttore,

ho letto con grande stupore l’articolo di Michele Frazzi dal titolo: Guido Reni pittore di paesaggi; dagli inventari un contributo e alcune note per due quadri: al Prado e al Metropolitan che è stato da poco pubblicato sul sito about art online.

Lo stupore nasce dal fatto che Frazzi, pur elencandolo in bibliografia, sembra non aver letto affatto il mio articolo Guido Reni e Domenichino: il ritrovamento degli ’Scherzi di amorini’ dai camerini di Odoardo e novità su due paesaggisti al servizio dei Farnese, pubblicato sul n. 33/34 del 2017 (e non 2018), del Bollettino d’Arte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. La prima parte del suo articolo (sugli Scherzi di amorini Farnese) è infatti una fedele trascrizione di tutte le informazioni contenute nel mio saggio che Frazzi sembra voler pubblicare come notizie inedite. Egli, inoltre, cita tutta una serie di studiosi ‘che hanno giudicato l’opera [la Danza campestre acquistata dalla Borghese] come appartenente alla fase giovanile del pittore attorno al 1601-1602, ma per la questione attributiva a Reni e sulla datazione, egli non fa alcun riferimento al mio saggio, dove il dipinto Borghese è pubblicato per la prima volta (dopo essere apparso sul catalogo della Galleria Matthiesen).

La seconda parte (l’orto segreto del palazzetto Farnese e il rapporto con Tobia Aldini) è di nuovo trattata come una novità assoluta ma, l’autore, dovrebbe conoscere bene la cospicua parte centrale del mirabile libro pubblicato da Arnold Witte (The artful hermitage. The Palazzetto Farnese as a counterreformation diaeta, L’erma di Bretschneider, 2008): al suo interno ci sono circa una cinquantina di pagine in cui lo studioso olandese approfondisce in maniera assai esauriente proprio quell’argomento (e infatti è ampiamente citato nel mio saggio).

Per quanto riguarda i presunti scoop sui quadri del Prado e del Met, mi dispiace far notare a Frazzi che il primo dipinto (Paesaggio fluviale del Prado, inv. P132) – del quale si pubblica  nell’articolo di About Art solo la parte superiore (!) – mostra, nella parte inferiore, solo due figurine che nuotano, e non quattro: pertanto non può essere il dipinto ricordato nell’inventario Farnese. Discorso simile vale per il Paesaggio con san Giovanni Battista del Met (Inv. 2009.252), che ha misure completamente differenti da quelle del quadro Farnese tuttora non identificato.

Del dipinto del Prado, Frazzi avrebbe potuto d’altro canto mettere in discussione l’attribuzione ad Annibale (come peraltro hanno già fatto diversi studiosi, tra cui Clovis Whitfield) che, alla luce dei recenti studi sul paesaggio ideale, non può più reggere. È in corso di pubblicazione un mio saggio su Domenichino e Viola in cui lo riferisco con sicurezza al secondo pittore.

La svista più clamorosa dell’articolo di Frazzi si trova tuttavia nella conclusione, in cui l’autore suggerisce con fierezza di effettuare ‘attività di ricognizione’ sulla versione Farnese della Danza campestre di Reni celata nei depositi di Capodimonte (Inv. Q1510). Ecco, in questo caso, chi deve effettuare ‘attività di ricognizione’ su questo dipinto è il Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico del Corpo dei Carabinieri: se Frazzi avesse letto il mio saggio o, quantomeno, se si fosse rivolto alla Direzione del Museo napoletano, avrebbe appreso che il dipinto, purtroppo, non è visionabile perché non si trova nei depositi di Capodimonte. Il quadro, infatti, è stato rubato in data imprecisata, sicuramente prima del 1983, mentre si trovava in sottoconsegna (dal 1934) presso l’Università Federico II. Del dipinto non esiste neanche una fotografia perché, evidentemente, chi l’ha trafugato ha visto bene di farne sparire anche l’immagine dalla Fototeca del Polo Museale della Campania.

Un cordiale saluto,

Francesco GATTA, Roma   15 Febbraio 2021

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Caro Direttore,

noto che il mio articolo ha destato molto interesse e rispondo volentieri alle note di Francesco Gatta.

1)“Egli, inoltre, cita tutta una serie di studiosi ‘che hanno giudicato l’opera [la Danza campestre acquistata dalla Borghese] come appartenente alla fase giovanile del pittore attorno al 1601-1602, ma per la questione attributiva a Reni e sulla datazione, egli non fa alcun riferimento al mio saggio, dove il dipinto Borghese è pubblicato per la prima volta (dopo essere apparso sul catalogo della Galleria Matthiesen).”

Nel mio articolo riporto  specificatamente  il parere degli studiosi  a cui

Matthiesen si è rivolto e riporto la datazione proposta dalla scheda della galleria ( https://galleriaborghese.beniculturali.it/opere/danza-campestre/) non entro né voglio entrare nel merito della questione .

Il mio  testo così recita:   “Alla attribuzione al Reni, il precedente proprietario Patrick Matthiesen è giunto dopo anni di paziente lavoro,  ed è stata confermata dai più grandi specialisti del pittore da lui interpellati, Keith Christansen, Aidan Weston Lewis, Erich Schleier, Daniele Benati, Nicholas Turner, Richard Spear, che hanno giudicato l’opera come appartenente alla fase giovanile del pittore attorno al 1601-1602 (3), appunto come dice la scheda della Galleria.

2 )La seconda parte (l’orto segreto del palazzetto Farnese e il rapporto con Tobia Aldini) è di nuovo trattata come una novità assoluta ma, l’autore, dovrebbe conoscere bene la cospicua parte centrale del mirabile libro pubblicato da Arnold Witte (The artful hermitage. The Palazzetto Farnese as a counterreformation diaeta, L’erma di Bretschneider, 2008): al suo interno ci sono circa una cinquantina di pagine in cui lo studioso olandese approfondisce in maniera assai esauriente proprio quell’argomento (e infatti è ampiamente citato nel mio saggio).

Non è trattata come una novità assoluta né vuole esserlo infatti a tale proposito la mia nota 13 così recita :  Per una esauriente trattazione del tema vedere Clovis Whitfield, Nascita e sviluppo del paesaggio classico, Domenichino e gli altri. Nuove ricerche. Articolo apparso su Aboutartonline, 2017 e Arnold A. Witte ,The artful hermitage. The Palazzetto Farnese as a counterreformation diaeta, L’erma di Bretschneider, 2008

Vorrei anche aggiungere che il tema dell’Aldini è trattato non solo da Witte  ma anche da Clare Roberston a cui appunto si fa riferimento nella mia nota 14   Clare Robertson, The Invention of Annibale Carracci, pag. 120, Studi della Bibliotheca Hertziana/ Silvana Editoriale, 2008

Evidentemente le mie note non sono state lette e nemmeno la bibliografia in calce al mio articolo

3 ) Per quanto riguarda i presunti scoop sui quadri del Prado e del Met, mi dispiace far notare a Frazzi che il primo dipinto (Paesaggio fluviale del Prado, inv. P132) – del quale si pubblica  nell’articolo di About Art solo la parte superiore (!) – mostra, nella parte inferiore, solo due figurine che nuotano, e non quattro: pertanto non può essere il dipinto ricordato nell’inventario Farnese. Discorso simile vale per il Paesaggio con san Giovanni Battista del Met (Inv. 2009.252), che ha misure completamente differenti da quelle del quadro Farnese tuttora non identificato.

Nel mio articolo ho scritto :  Ora la descrizione che abbiamo appena letto corrisponde piuttosto precisamente con un dipinto conservato al museo Prado ( Fig.11) , dove si vedono in primo piano, quattro bagnanti ed una ulteriore figura che si sta togliendo la camicia.

Io ho interpretato la parola “notanti” come bagnanti che sono quattro, più un’altra persona che si toglie la camicia, come ho specificatamente scritto: le descrizioni inventariali sono spesso imprecise, si può non essere d’accordo, ma non si può affermare che è sbagliato, inoltre le misure dei quadri sono riportate integralmente ed oggettivamente. Per quanto riguarda la figura quello che dice Gatta  è corretto, sull’articolo c’è solo la parte superiore, ma questo non riguarda me, infatti io ho inviato al giornale la figura intera. Per ciò che concerne il dipinto con il San Giovanni la mia osservazione riguardava in primo luogo la notizia del Malvasia : Questo dipinto deve essere senza dubbio quello visto dal Malvasia nel palazzo del Giardino di Parma, e tratteggiato nella Felsina pittrice ( 1678) : Un S. Gio. Battista a sedere in bellissimo paese, che accenna ad un picciolissimo Signore sopra un monte. La scheda del Met, che cito nella nota 24 (  evidentemente non letta) riporta come provenienza il palazzo del giardino di Parma: www.metmuseum.org/art/collection/search/438813?searchField=All&sortBy=Relevance&ft=Annibale+Carracci&offset=0&rpp=20&pos=3

A questo riguardo faccio rilevare appunto la differenza delle misure non è piccola infatti ho scritto : Inoltre la descrizione corrisponde anche al dipinto che attualmente si trova al Metropolitan Museum che pure è su rame, le cui misure però sono differenti (54.3 x 43.5 cm, circa 1600) ( Fig. 12) , le misure inventariali sono spesso imprecise, ma lo scarto in questo caso  non è piccolo ( 24).

4) Del dipinto del Prado, Frazzi avrebbe potuto d’altro canto mettere in discussione l’attribuzione ad Annibale (come peraltro hanno già fatto diversi studiosi, tra cui Clovis Whitfield) che, alla luce dei recenti studi sul paesaggio ideale, non può più reggere. È in corso di pubblicazione un mio saggio su Domenichino e Viola in cui lo riferisco con sicurezza al secondo pittore.

Conosco benissimo il saggio di Whitfield, ed anche il catalogo della Borea che mette in dubbio l’attribuzione,  ed anche la scheda del Prado che invece la riafferma, come ho già detto sulle questioni attributive io non entro,  ho riportato solamente ed oggettivamente le diverse posizioni, tutte queste notizie sono incluse e precisamente descritte  nella nota 21 :   Evelina Borea, Domenichino, pag. 164, Edizioni per il club del Libro, 1965; Clovis Whitfield, Classicismo e Natura La lezione di Domenichino , pag. 89-91, Mondadori, 1996

 Scheda online del Museo del Prado:     https://www.museodelprado.es/coleccion/obra- de-arte/paisaje-con-rio-y-baistas/2fae6b77-6161-4838-9b39-479128726e5b?searchid=d7e26b32-ad9b-ac06-bf95-504fc3ffeb5c

           Evidentemente anche questa mia nota non è stata letta

A parte riportare le descrizioni degli inventari, che sono già stati  pubblicati da Jestaz e da Bertini, e quindi si tratta  evidentemente di una riproposizione di notizie , nel mio articolo si faceva anche riferimento alla relazione con un dipinto dell’Albani ed a tutta la vena collezionistica fiamminga dei Farnese, un  argomento che non ritengo di secondaria importanza.

Alla luce di queste precisazioni mi pare che questo confronto sia stato più che fruttuoso, mi sembra  piuttosto evidente infatti  che io e Francesco Gatta, pur affrontando lo stesso tema degli inventari   non siamo daccordo su molti punti e  quindi mi pare opportuno  riproporre il mio articolo, che  pur facendo un focus sullo  stesso argomento, lo tratta da con un punto di vista piuttosto differente dal suo,  e dunque vale la pena riproporlo come legittima diversa posizione .

Michele Frazzi Parma 22 febbraio 2021