Pittura e religione della Controriforma: Caravaggio e i Cappuccini di Sicilia le avanguardie del rinnovamento

di Paolo GIANSIRACUSA

L’articolo è tratto dal nuovo numero 18/2018 di “Quaderni del Mediterraneo. Studi e ricerche sui Beni Culturali italiani” a cura di Paolo Giansiracusa, su gentile concessione dell’autore che ringraziamo

La pittura della Controriforma. Tecnica stile ed espressione 

Il racconto del luogo celeste e dell’umile condizione umana

La pittura della Controriforma trova a Roma il suo luogo deputato, lo spazio culturale ed artistico necessario a mettere a punto i caratteri del nuovo linguaggio. A Roma, in particolare nella seconda metà del Cinquecento e nei primi decenni del Seicento, giunsero artisti da ogni dove, per capire, per rinnovarsi, per allinearsi al nuovo dettato della Chiesa.

I risultati del Concilio Tridentino per essere divulgati e applicati necessitavano di testi appropriati, di predicazioni, di catechesi e innanzitutto di immagini nuove, strutturazioni compositive ispirate all’apertura e al dialogo. La pittura come la scultura, l’architettura come le arti decorative, dovevano staccare lo sguardo dall’uomo e rivolgersi a Dio con purezza di fede. L’architettura, con l’ampiezza e il decoro dei suoi spazi, con le sue aperture scenografiche, doveva essere concepita come preghiera rivolta al cielo, solo in tal modo poteva essere giustificata la sua sfarzosità. Che ci si rivolgesse al cielo si comprende anche dagli affreschi delle strutture voltate in cui la pittura finge luoghi improbabili aperti a cannocchiale verso l’alto, puntando all’infinito dell’Empireo. Si direbbe che l’arte della Controriforma è il racconto del cielo, del luogo celeste, e allo stesso tempo la testimonianza visibile dell’umile condizione umana. Opere di sintesi finale di questa ricerca, pitture scenografiche in cui in maniera mirabile si convogliano tutte le tensioni, le indicazione di oltre un secolo di insegnamenti sono: il Trionfo del Nome di Gesù (1674-79) della Chiesa del Gesù a Roma dipinto da Giovan Battista Gaulli, detto Baciccio (1639-1709); l’Apoteosi di Sant’Ignazio (1691-94) della Chiesa di Sant’Ignazio a Roma dipinto da Andrea Pozzo (1642-1709).

Opere di sintesi per giungere alle quali il lungo processo di cambiamento tocca artisti come Scipione Pulzone, Pieter Paul Rubens, Semplice da Verona, Pietro Novelli, Salvator Rosa, Luca Giordano, Mattia Preti e innanzitutto Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) nella cui pittura rivoluzionaria è possibile individuare tutti gli elementi innovativi.

Caravaggio e i caratteri della pittura che segue gli insegnamenti della Controriforma

Caravaggio, Estasi di San Francesco, olio su tela, 92,5 x 128; Wadsworth Aetheneum, Hartford

La prima opera del Caravaggio in cui si segna il cambiamento spinto dalla Controriforma è l’Estasi di San Francesco (1594-95) di Hartford.

Francesco non è più, come nelle precedenti posture, dialogante e attivo. Ora è disteso per terra e un Angelo lo tiene tra le braccia a significare l’abbraccio divino nel quale il Santo si è abbandonato. È una notte serena, tutt’intorno la natura tace: l’arrivo di Dio, come fonte di luce, richiede silenzio, cedimento di ogni resistenza, abbandono totale dell’essere. Due diagonali, quella del corpo dell’Angelo e quella del corpo di Francesco, compongono la Croce. Nulla è didascalico, descrittivo, tutto è evocativo. Il messaggio nuovo è in atto: la pittura nuova non è racconto, ma preghiera; essa non deve narrare ma attirare e coinvolgere nella meditazione anche i miscredenti, i più recalcitranti oppositori.

Nel Riposo durante la fuga in Egitto (1595-96) della Galleria Doria Pamphilj, Caravaggio dipinge Maria dormiente rivelandone necessità umane, bisogni tipici delle creature terrene.

Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, olo su tela (cm. 135,5×166,5) 1595-1596, Galleria Doria Pamphilj

Maria stanca del viaggio si è assopita e dorme seduta per terra col Bimbo in braccio anch’egli addormentato. Giuseppe è di guardia e dovendo vegliare non può addormentarsi. Ecco dunque che un Angelo lo intrattiene con la musica, ed egli collabora tenendo lo spartito. Una scena vera, reale, in cui l’Angelo è anticipazione del coinvolgimento dello spettatore, del fedele. Coinvolgimento che nelle opere dell’artista si ripeterà con sempre maggiore convinzione. L’Angelo rivolge le spalle all’osservatore non perché voglia impedirgli l’accostamento visivo ma perché lo reputa parte del dipinto stesso. Con Caravaggio, e questo è l’insegnamento più alto della Controriforma, lo spazio della finzione e quello della realtà quotidiana si uniscono, si compenetrano, diventano la stessa cosa. Non c’è separazione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori. L’opera si pone come un unicum organico teso a completarsi con la realtà mutevole degli uomini che nel tempo vi scorrono davanti. Questo volevano i Padri Tridentini, il cammino del popolo verso lo spazio chiesastico aperto, dilatato, continuo. Questo interpreta il Caravaggio ed è per tale ragione che le sua Madonna non è figura astratta, lontana dai luoghi terreni, indifferenti ai problemi della vita. Maria stessa si rivela espressione della sofferenza e per suo tramite il fedele vede possibile la propria salvezza. Nel patimento composto dei santi, nell’accettazione convinta di Giuseppe, nell’estasi del Padre serafico, l’uomo nuovo ritrova se stesso. Dunque la pittura si fa progetto di un nuovo sentire, di uno stupore che illumina, di una beatitudine che avvolge.

Nella Vocazione di San Matteo (1599-1600), parte del trittico di San Luigi dei Francesi (1), la visione realistica tuffa dentro lo spazio pittorico, allo stesso tempo, attori e spettatori, figure della finzione pittorica e della realtà quotidiana. Lo spettatore non è più statico osservatore ma parte intima dell’opera stessa.

Caravaggio, Vocazione di San Matteo, olio su tela (cm. 340×322), 1599-1600, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma

Il Cristo, in parte coperto dalla figura di San Pietro che (come hanno rivelato le radiografie) mancava nella prima impostazione pittorica, penetra nella scena alla stessa maniera in cui circa dieci anni dopo si inserirà nella Resurrezione di Lazzaro (1609) del Polo Museale Regionale di Messina. Il tavolo dei pubblicani, nel primo, e il petto nudo di Lazzaro, nel secondo, danno la misura dello spazio di penetrazione del Cristo nelle scene. Sia la mano destra che quella sinistra sono colte nello stesso atteggiamento, il punto di vista però è diverso: nella Vocazione il Cristo è ripreso di davanti, nel dipinto peloritano è ripreso quasi di spalle.

La mano destra, portatrice di un messaggio, come sempre nel Caravaggio, innesca un moto dinamico che ha effetti e ripercussioni nelle mani degli altri personaggi e negli sguardi abbagliati; sembra inoltre che l’eco dei gesti si chiuda come un cerchio con lo sguardo della guardia ripresa di spalle, diretto alla mano di Pietro che riceve tutte le sensazioni e ripete l’indicazione del Cristo.

La scena si svolge nella notte ed è rivelata da un cono di luce, proveniente da destra, che è indirizzato al volto di San Matteo (all’ampiezza del suo volto infatti si riduce il cono luminoso quando viene ristretto all’ombra generata dallo scuro aperto della finestra).

Nella prima stesura, come bene si nota nelle radiografie, la mano destra del Cristo era meno morbida di quella della soluzione definitiva e si articolava secondo un gesto più deciso (l’indice della mano si indirizzava con maggiore vigore all’evangelista Matteo ma conferiva al dipinto un senso di rigidezza inopportuno). Nella versione definitiva la mano del Cristo ricorda quella di Adamo nella Creazione della Cappella Sistina di Michelangelo Buonarroti. Lo sguardo e le mani di Cristo non rivelano un’imposizione, da esse trapela invece l’intento di rivolgere un invito. La mano sinistra, inquieta ed aperta, sembra addirittura invocare. La luce soprastante il Cristo sembra rivelare l’intervento di Dio Padre contemporaneo a quello del Figlio.

Non tutte le figure della scena sono attente all’evento. Le monete luccicanti sul tavolo, l’uomo anziano che le guarda, la figura della guardia svizzera ricurva su di esse, sono indice di un’indifferenza sempre attuale che vuol simboleggiare la refrattarietà umana al messaggio divino.

Caravaggio, Madonna dei Pellegrini, olio su tela (cm. 260×150), 1603-1606, Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, Roma

Questa è la pittura controriformata, non più equilibrato accostamento di figure intoccabili ma finestra aperta nella vena pulsante della quotidianità, tra odori, rumori, lamenti, preghiere senza filtri e infingimenti.

Nella Madonna dei Pellegrini (1604-1606), della Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio (2), il Merisi apre ulteriormente verso i luoghi della quotidianità facendo comprendere ai suoi contemporanei che non è l’altare inviolabile il luogo di Maria, ma la strada frequentata dai pellegrini, dai santi e anche dai peccatori.

Discesa dal trono simbolico in cui l’avevano collocata il Giambellino e Antonello, la Madonna del Caravaggio rappresenta iconograficamente una delle principali opere moderne della pittura italiana.

Dell’aulico trono giottesco è rimasto un umilissimo gradino di pietra, della sfarzosa abside pierfrancescana è rimasto solo il frammento di un portale, peraltro mascherato dal buio. Gli ori di Simone Martini non ci sono più: il fondale è una parete malamente intonacata che ha evidenti i segni della fatiscenza, della povertà, dell’umiltà. Maria ha lo sguardo umano ed è rivolta verso i due pellegrini-contadini. Anche il Bimbo, incuriosito dai volti travagliati e stanchi, guarda la coppia genuflessa. La luce, forte e violenta, proviene dall’alto, leggermente da sinistra. Essa accende il volto di Maria, il corpo del Bimbo, i volti dei pellegrini, i piedi nudi e sporchi del pellegrino di sinistra. La scena di forte realismo, stabilisce un nuovo rapporto spirituale e un nuovo tipo di devozione tra i fedeli e la Vergine. Maria non è più seduta in trono, come nell’ultima pittura cinquecentesca; è in piedi e con il movimento scattante della testa e delle braccia riempie la scena di dinamismo. Il Bimbo ruota con Lei e in questo movimento viene modellato, quasi tornito e disegnato dalla luce. Maria, per fare avanzare il Bimbo e imporlo all’attenzione dei pellegrini, piega fortemente la testa quasi come a volersi escludere dalla scena. Ma la luce non le dà scampo e rivela anche Lei. Caravaggio applica la regola del dinamismo (3) spaziale tanto caro ai pittori educati ai principi della Controriforma. Nulla è fermo, tutto si muove in una vibrazione vitale che conferisce realismo, umanità, alle figure dipinte. L’ambientazione è l’altro punto di forza del nuovo linguaggio. L’opera nasce per il luogo in cui è destinata a rimanere, di esso ha la luce, l’atmosfera, la sensazione spaziale.

I colori dell’intera composizione sono molto cupi e affiorano a forza dal fondo ora nero, ora tinteggiato di ruggine. La luce è radente e mette in evidenza le parti più espressive che affiorano dal fondo ed emergono alla vita.

Nei panni sporchi e sbiaditi dei due contadini ci sono i colori della terra: i toni ocra e verdi. Negli abiti di Maria ci sono i colori del cielo, colori divini: il blu e il rosso. Compositivamente Maria non è al centro della scena. L’asimmetria appartiene alle scene della nuova pittura dove il centro espressivo non coincide con il centro geometrico. Nemmeno il Bimbo è nella fascia centrale che invece è caratterizzata dalla spessa cornice del portale. Su tale fascia ricade il volto stupito del primo contadino: ciò sta a significare che è il suo sguardo il punto di partenza dell’azione. All’azione da cui parte il racconto sono legate le novità più importanti della pittura di fine Cinquecento e inizi Seicento. Essa rappresenta il punto di partenza della rappresentazione pittorica, da essa hanno origine il racconto, lo scatto dinamico, gli sguardi e i gesti coinvolgenti.

Dallo sguardo del contadino si passa al Bimbo e poi a Maria. L’altra figura è esclusa dall’azione di partenza, sia perché è in posizione periferica, che a motivo del segno nettissimo del bastone del primo contadino teso a rinviarci ad un altro tempo scenico. I due contadini sono in preghiera e ciò si evince dalle mani giunte; la loro preghiera però non è fatta di parole e nemmeno di offerte. È un’umile preghiera mista di sguardi, emozioni e stupore. Una preghiera fatta di silenzio e contemplazione (4).

I Cappuccini di Sicilia, primi seguaci delle indicazioni artistiche della Controriforma

La tela del Sudario e il legno della Croce, questa è la materia umile, dal significato forte e indelebile, che rivestì di magica bellezza le pareti absidali delle chiese dei PP. Cappuccini dal XVI al XVIII secolo, coinvolgendo diverse generazioni di artisti, alcuni dei quali appartenenti allo stesso ordine religioso.

Tra le alture rocciose, le vallate e le coste frastagliate, non c’è antico centro nell’Isola che non abbia avuto un convento cappuccino dalle forme umili e dagli spazi funzionali, giusto dettato della regola anche nel capo costruttivo.

All’interno delle chiese francescane è racchiusa una pittura di rivoluzionaria, d’avanguardia, originale rispetto agli accademismi ancora ricercati dagli altri ordini religiosi. All’accademismo e alla maniera i cappuccini nel tempo hanno preferito l’originalità espressiva, l’avanguardia tecnica, la rottura stilistica.

Scipione Pulzone, Durante Alberti, Mario Minniti, Filippo Paladini, Pietro Novelli, Fr. Domenico da Palermo, Fr. Semplice da Verona, Guglielmo Borremans, Giuseppe Cristadoro, sono solo alcuni degli artisti preferiti dai Cappuccini. Tra essi c’è anche qualche maledetto che la preghiera della pittura era riuscita a redimere. Con le opere di questi artisti, i Cappuccini in Sicilia, come in altre regioni d’Europa, si confermarono come la congregazione religiosa più moderna, più sensibile al nuovo sentire artistico. Per tale ragione furono i migliori interpreti degli insegnamenti del Concilio di Trento, preferendo all’oro la terra, al marmo la pietra, alle raffigurazioni trascendenti quelle immanenti.

Paolo GIANSIRACUSA

Storico dell’Arte. Titolare della 1a Cattedra di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Catania

Note

(1) La Vocazione di San Matteo unitamente al Martirio fu compiuta tra il 23 luglio 1599 e il 4 luglio 1600 (data in cui il Caravaggio riceve il saldo del compenso pattuito). Nella Cappella Contarelli, a San Luigi dei Francesi, sull’altare principale è inserito anche il dipinto raffigurante San Matteo e l’Angelo la cui prima versione fu tanto discussa al punto da essere sostituita.
(2) La Madonna dei Pellegrini o di Loreto fu dipinta dal Caravaggio tra il 4 Settembre 1603 (data d’acquisto della Cappella Cavalletti da parte dell’omonima famiglia Bolognese) e il 29 Luglio 1605 (data dello scontro tra il Merisi e Mariano Pasqualone). Il dipinto fu così descritto da Giovanni Baglione: Nella prima cappella della Chiesa di Sant’Agostino alla man manca, fece una Madonna di Loreto ritratta al naturale con due pellegrini, uno co’ piedi fangosi e l’altra con cuffia sdrucita e sudicia; e per queste leggerezze in riguardo delle parti che una gran pittura aver dee, da’ popolani ne fu fatto estremo schiamazzo. Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori, Roma 1642. J. Hess ha fatto notare che… i piedi fangosi costituiscono un particolare indispensabile perché il pellegrinaggio a Loreto si usava fare a piedi scalzi (J. Hess, Modelle e modelli del Caravaggio in Commentari,1954).
(3) Il dinamismo, l’ambientazione, l’asimmetria, la luce radente, l’azione … sono alcuni degli elementi portanti della pittura che dà seguito agli insegnamenti dei Padri Tridentini. Di grande importanza è anche la rappresentazione al naturale. Le figure rispondono quasi sempre alla scala 1:1, sono cioè dipinte al naturale.
(4) Paolo Giansiracusa, Storia e linguaggio delle arti visive, otto lezioni di critica e Storia dell’Arte, Messina 2003.

Didascalie

Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, olo su tela (cm. 135,5×166,5) 1595-1596, Galleria Doria Pamphilj

Caravaggio, Madonna dei Pellegrini, olio su tela (cm. 260×150), 1603-1606, Basilica di Sant’Agostino n Campo Marzio, Roma

Caravaggio, Vocazione di San Matteo, olio su tela (cm. 340×322), 1599-1600, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma