Pietro Damini (1592 – 1631) il pittore della Controriforma che non amava la retorica. Un nuovo saggio di Massimo Pulini

di Massimo PULINI

Il sogno a colori di Pietro Damini

                                                                                    Alla memoria di Maurizio Balena

C’è sempre un’atmosfera fiabesca entro i dipinti di Pietro Damini, vi si respira l’aria di un racconto fatto in sogno e anche quando il tema, per compito, investe il dramma o la più ieratica sacralità, ci si ritrova in un giorno di fiera, tra giostre di quintana e festosi apparati utili a celebrare un patrono del paese.

Squillano infatti come gli ottoni di una banda i timbri del colore nelle vesti, nel cielo e nelle architetture, che tra loro si intarsiano e giocano di contrasto, al pari di un commesso marmoreo.

Una geometria felice che allestisce la scena per incanti collettivi, gremiti, portati a sintesi leggera proprio da un impianto grafico che talvolta anticipa certe illustrazioni del XX secolo.

Ci vorrebbe la prosa di Francesco Arcangeli, il cantore supremo della poetica periferica, di quella provincia artistica del Seicento che seppe dare smacchi di sincerità alla retorica delle capitali barocche.

In fondo Pietro Damini è un petit-maître molto simile, nella sincerità e nello spirito, al Centino di Arcangeli[1], un tenero pittore riminese che ispirò la definizione di ‘piccola Siviglia nostrana’, nella cui trasposizione geografica avrebbe svolto la parte di un Zurbarán romagnolo.

Ma il nostro pittore di Castelfranco Veneto, nato una generazione prima, nel 1592 e morto a Padova di peste a soli trentanove anni, giunge ad analoghi esiti di verità senza pagar pegno al naturalismo, senza dipendere da Caravaggio nemmeno per sbaglio. La sua anima scavalca all’indietro anche l’ultima maniera trovando posizione e sostanza in un ‘preraffaellismo’ tutto suo, che sembra semmai guardare i ferraresi di un secolo prima e ripercorrere ogni cerimonia veneziana di Carpaccio.

Un’assenza assoluta di ostentazione traspare dalle tele di Damini che, liberate anche dalla retorica del nuovo, si fanno carico di restituire una personale cronaca in quella festa sociale che le vite dei santi e le prediche dei profeti offrivano alla fantasia. Pietro inventa una narrazione che è insieme antica e veggente, di certo neo medioevale, ma che giunge ad esiti modernissimi, quasi paragonabili a cartoni animati ante litteram.

Basterebbe guardare le quattro tele di Vigonovo, che narrano le Vicende di Santa Francesca Romana, per comprendere la forza evocativa e la dolcezza d’animo che muovono il suo pennello.

1) Pietro Damini, Santa Francesca Romana e il miracolo dell’Uva, Vigonovo, Chiesa di Santa Maria Assunta
2) Pietro Damini, Il figlio scomparso appare a Santa Francesca Romana, Vigonovo, Chiesa di Santa Maria Assunta

Provengono dalla chiesa di San Benedetto Novello di Padova e in origine erano sei le immagini legate ai miracoli di Francesca Bussa de’ Leoni Ponziani (1384-1440).

L’episodio del Miracolo dell’uva (Foto 1) che vede la Santa nobile già nelle vesti della congregazione di Oblate benedettine da lei stessa fondata, sembra a prima vista un quadro uscito dal realismo magico di primo Novecento. Potrebbe appartenere a Cagnaccio di San Pietro o a Donghi, nella fusione tra verismo e metafisica che compostamente allestisce.

Più ieratiche sono le due pale nelle quali la santa si trova al cospetto del divino, quando incontra il figlio scomparso (Foto 2) e quando bacia il costato di Cristo (Foto 3), ma ugualmente risultano immerse nell’incanto, in uno stupore che ha sintassi quattrocentesca e poi i Funerali di Santa Francesca Romana (Foto 4), che sono costruiti come un ex voto, dove scalini di corpi marcano linee orizzontali e inducono a un effetto di levitazione verticale.

5) Pietro Damini, Santa Francesca Romana riceve il Bambino dalla Vergine durante una messa, Padova, diocesi

Ha misure quasi identiche alle quattro tele e credo appartenga alla medesima serie, l’unica opera che del ciclo benedettino si è conservata a Padova, mi riferisco al Miracolo della messa in cui Santa Francesca Romana riceve il Bambino dalla Vergine[2] (Foto 5). Tenerissimo è il ruolo svolto dagli angeli sia nell’assistere la santa che nel sorreggere il velo della Madonna.

Non sembra esistere severità nel mondo di questo pittore, nemmeno nel martirio, che è trattato con dolcezza di sguardo perfino nei volti degli sgherri

Lo dimostra un dipinto di Motta d’Este (PD), sostanzialmente sconosciuto, che usa l’arcaico doppio registro da cantastorie, per raffigurare un Martirio di San Lorenzo con tre santi in gloria[3] (Foto 6).

 

6) Pietro Damini, Sant’Urbano, San Bovo e Sant’Apollonia e il martirio di San Lorenzo, Motta d’Este
7) Pietro Damini, Sant’Agostino battezza un devoto, Lovere, Galleria dell’Accademia Tadini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sant’Urbano papa, San Bovo e Santa Apollonia, sembrerebbero ignari dell’atroce tortura inflitta al diacono Lorenzo e mostrano una serenità analoga a quella degli aguzzini, come se l’autore fosse a conoscenza dei dipinti di Hans Memling, che fanno della più delicata impassibilità una sublime poetica.

Pietro Damini sembra trovarsi meglio quando le scene risultano affollate oltre misura e di fronte a quelle domande iconografiche che avrebbero preoccupato anche un Paolo Veronese, escogita sempre soluzioni nuove e angolazioni aggiornate alla cronaca dell’evento.

Il Sant’Agostino che battezza un devoto (Foto 7) dell’Accademia Tadini di Lovere, attraverso una prospettiva cromatica e una geometria di corpi, raggiunge la colta maestria di Federico Zuccari che a Venezia aveva lasciato un esempio delle sue più alte doti compositive (Foto 8), in occasionale agone col Veronese.

8) Federico Zuccari, Il Barbarossa bacia il piede a Papa Alessandro III, Venezia, Palazzo Ducale

Ma Damini riesce, dalla maniera del disegno e da un mestiere quasi teatrale, a distillare una verità lirica. In questo modo cronaca, aneddotica e metafisica si fondono in opere che narrano la vicenda di un cavallo imbizzarrito entro il Miracolo di San Domenico che resuscita Napoleone Orsini[4] (Foto 9), costruito anch’esso come un grande ex voto che guarda al passato mettendo in campo uno storicismo intimo che l’Ottocento non riuscirà più a raggiungere.

9) Pietro Damini, San Domenico resuscita Napoleone Orsini, Padova, Museo diocesano

Ho avuto modo di identificare, come opera di Pietro Damini, un Ritrovamento di Mosé (Foto 10), transitato a Londra presso un’asta della Sotheby[5] nella quale era attribuito alla scuola ferrarese del Seicento. Non possono essere che di Damini le Matrioske agghindate a festa, che in cima alla scalinata attendono con sufficienza le serve appena giunte dal Nilo.

10) Pietro Damini (qui attribuito), Ritrovamento di Mosè, già Milano, Sotheby 14 e 15 giugno 2011
11) Pietro Damini, La Beata Giacoma scopre il pozzo dei martiri, Padova, Basilica di Santa Giustina

La ricercatezza dei costumi si ritrova quasi in ogni opera del pittore di Castelfranco e dipinti come quello dedicato alla Beata Giacoma che scopre il pozzo dei martiri[6] (Foto 11) esplicitano meglio di ogni altro la differenza tra la massa nera delle tuniche religiose, dagli abiti colorati e squillanti dei fedeli che assistono all’evento miracoloso.

Un identico fraseggio compositivo, fatto di incastri cromatici tra le vesti, di studiate luci di scena e di sapienti controluce, si può riscontrare in un dipinto di piccole dimensioni, curiosamente conservato in una chiesa di Senigallia. Raffigura una Resurrezione di Lazzaro[7] (Foto 12) e credo costituisca una eccezione territoriale che lascia sperare in ulteriori scoperte.

12) Pietro Damini (qui attribuito), Resurrezione di Lazzaro, Senigallia, Diocesi.
13) Pietro Damini (qui attribuito), Madonna col Bambino coi santi Niccolò e Vito, Concordia Pordenone, Diocesi
13a) Lorenzo Lotto, polittico di Recanati (particolare)

Tuttavia conosciamo davvero tanto di un artista che morì così giovane, nella peste ‘manzoniana’ assieme a Giorgio Damini, uno dei fratelli che lo aiutava fedelmente in bottega. Della triade operativa familiare resterà solo Damina, la sorella pittrice a continuare il lavoro e a produrre opere almeno fino al 1648.

Difficile dire allora se il dipinto con la Madonna col Bambino e i santi Niccolò e Vito (Foto 13), che conosco solo da una foto e si trova in una chiesa della diocesi di Pordenone[8], possa appartenere alla sorella o a una fase giovanile di Pietro.  Non mi è possibile condurre ora delle ricerche più approfondite[9], ma è un fatto che il tipo di composizione e gli sgargianti costumi da parata del giovane santo siano in perfetta sintonia con le opere di Pietro, oltre ad evocare al pari di un omaggio, certe pitture di Lorenzo Lotto (Foto 13a).

14) Pietro Damini (qui attribuito), Madonna del Rosario e Nascita della Vergine, Padova, Diocesi
15) Pietro Damini (qui attribuito), Madonna col Bambino e i santi Domenico e Caterina, Udine, Diocesi

Sicuramente di Pietro e di certo facenti parte della sua formazione patavina e di committenza domenicana sono una Nascita della Vergine [10] (Foto 14) e una Madonna col Bambino e i santi Domenico e Caterina conservato nella diocesi di Udine[11] (Foto 15). Vi si scorgono marcate influenze del Varotari e una più vaga ascendenza da Palma il Giovane. Ma gli angeli di Pietro Damini sono inconfondibili, coi loro riccioletti dorati e una disposizione affettuosa di singolare dolcezza.

16) Pietro Damini, (particolare della gloria), Padova, San Clemente 17)
17) Pietro Damini (qui attribuito), Cristo versa il sangue assistito da due angeli, Ravenna, collezione privata

Lo dimostrano le glorie di angeli presenti nelle parti alte di molte tele d’altare, come nella Consegna delle Chiavi della chiesa padovana di San Clemente (Foto 16), ma li si ritrova anche in una piccola ardesia, nel Cristo che versa il sangue nel calice assistito da due angioletti (Foto 17) di collezione privata ravennate[12], che ebbi modo di scoprire quando era ancora in mano all’amico e grande antiquario riminese Maurizio Balena, alla cui memoria è dedicato questo articolo.

Recentemente Davide Banzato[13], che ne fu curatore assieme a Pier Luigi Fantelli, giustamente si è rammaricato che a quasi vent’anni dalla mostra di Padova il nome di Damini stenti ad entrare negli argomenti abituali delle ricerche storiche. Non si è ancora compreso, anche a mio avviso, il portato innovativo della sua dolcissima poetica, anticipatrice di una linea purista che solo dopo la sua morte si svilupperà a Roma, tra gli allievi di Domenichino, penso al Sassoferrato (Foto 18), al Cerrini (Foto 19), ma anche a Mattia da Farnese (Foto 20) e a Luigi Gentile[14] (Foto 21).

 

Eppure Pietro Damini, molto meglio di altri pittori ben più celebrati, rappresenta un passaggio epocale per la controriforma cattolica, una iniezione di gioia e di candore che la pittura veneta aveva smarrito da più di un secolo.

 

Ma sappiamo per esperienza che le note felici della pittura hanno riscosso sempre minore fortuna di quelle drammatiche e grevi, soprattutto nel corso del Novecento si è teso a sottovalutare quelle pitture secentesche che trattavano in forma delicata tematiche di cronaca, preferendo a queste il grottesco o il pauperismo bambocciante.

Non rientrando in tali schemi Damini è rimasto tagliato fuori dalla critica di un’arte sociale che ha finito per privilegiare il ‘contro’, bollando come encomiastiche certe serenità rappresentative.

Concludo questo mio contributo, alla conoscenza di un raffinatissimo quanto sfortunato artista, con una serie di figure singole e di ritratti, un genere meno noto, ma abitualmente trattato dalla bottega di Pietro, Giorgio e Damina Damini. Proprio da quest’ultima tematica ritengo potranno invece venire prossime novità a migliore percezione della duttilità professionale di questa famiglia di pittori.

A Lubiana, presso la Galleria Nazionale della Slovenia è conservato, senza nome, un David con la testa di Golia (Foto 22),

22) Pietro Damini (qui attribuito), Davide con la testa di Golia, Lubiana, Galleria Nazionale della Slovenia

che credo possa essere una preziosa aggiunta al catalogo di Pietro Damini, quasi una via di mezzo tra Caletti e Forabosco, risulta vicino al Buon Samaritano della collezione Papafava di Padova (Foto 23).

23) Pietro Damini, Buon Samaritano, Padova, collezione Papafava
24) Pietro Damini (qui attribuito), Sant’Antonio da Padova, Padova, Diocesi
25) Pietro Damini (qui attribuito), Beato Girolamo Polfranceschi, Verona, Diocesi

Si scorge la tenerezza di Pietro anche in un Sant’Antonio da Padova (Foto 24) inedito e sempre collocato in una chiesa di Padova[15], mentre a Verona ho ritrovato un Beato Girolamo Polfranceschi[16] (Foto 25),

che ha l’aria di una ripresa dal vero, vicina al bellissimo e già noto Ritratto di Cesare Cremonini della collezione Luigi Cremonini di Castelvetro (Foto 26), del quale esiste una redazione conservata presso la Pinacoteca di Cento e una variante più frontale a Padova, presso il Palazzo del Bo (Foto 27).

26) Pietro Damini, Ritratto di Cesare Cremonini, Castelvetro, collezione Luigi Cremonini
27) Pietro Damini, Ritratto di Cesare Cremonini, Padova, Palazzo del Bo

Troviamo in questi frangenti un artista che, avendo il soggetto in posa, si comporta in modo analogo ai pittori che aderivano al naturalismo, al punto che la redazione della Collezione Cremonini ha certi passaggi pittorici di un Tanzio da Varallo.

 

28) Pietro Damini (qui attribuito), Ritratto di Daulo Dotti, già Firenze, aste Pandolfini maggio
2019
29) Pietro Damini, Ritratti ideali della famiglia Tiso di Camposampiero, 23 novembre 1994
30) Pietro Damini, Ritratto ideale di Ugo Alberti, già Londra, Christie KS, 29 maggio 2001 e 18 aprile 1997

Ma risulta prossimo anche a un Ritratto di condottiero veneziano[17] (Foto 28), a sua volta vicino alla serie conosciuta dei Ritratti ideali della Famiglia Tiso da Camposampiero (Foto 29). Quando Pietro può inventare, come in codesti ritratti storici post mortem, ritroviamo intatta una cifra stilistica più sognata[18] (Foto 30-31).

31) Pietro Damini, Ritratto ideale di un condottiero, già Vienna, Dorotheum 13 ottobre 2010
32) Pietro Damini (qui attribuito), Madonna col Bambino e santi, Bergamo, Diocesi

Infine segnalo, pur nel precario stato di conservazione, anche un’ultima pala d’altare conservata in una chiesa della diocesi di Bergamo. Una complessa sacra conversazione con la Madonna col Bambino e santi (Foto 32), nuovamente gremita di figure, ma alterata da assorbimenti dell’imprimitura, quasi fosse stata contaminata dall’incipiente peste.

Anche da opere di questa natura è curioso constatare che del suo più illustre conterraneo, il Giorgione, non abbia raccolto più di tanto ed è semmai Paolo Piazza (Foto 33), il frate folle, che a tratti faceva suonare le trombe del Paradiso con azzardate invenzioni e caleidoscopie cromatiche, a suggerirgli qualche preziosa nota compositiva.

33) Paolo Piazza, Paradiso, Sansepolcro, San Michele Arcangelo
34) Pietro Damini, Il transito delle anime pie, Treviso, Museo Civico

Il sogno a colori del nostro artista si infranse troppo presto, tra il 1630 e il 1631 tutto il Veneto era invaso dalla peste, ma Padova registrava una quantità impressionante di decessi, molti benestanti scapparono verso Venezia, dove esistevano presidi sanitari più rigorosi e avanzati, anche a Pietro e alla sua famiglia venne offerta una via di fuga ma scelse di rimane in città dove purtroppo, il 28 luglio del 1631, la cronaca del Tomasino lo registra tra i deceduti, assieme al fratello Giorgio.

Se gli artisti milanesi che morirono in quella pandemia avevano affinità cromatiche e turbate assonanze con la peste, la pittura di Pietro Damini non aveva preannunciato nulla di mortuario, di quella macerata cupezza e se la Storia fosse stata coerente con l’arte avrebbe dovuto raggiungerlo a Padova uno dei suoi angeli ragazzini a salvarlo o almeno a indicargli la via, come nel quadro da lui dipinto per la chiesa padovana di Sant’Agostino e che ora si trova nel Museo Civico di Treviso[19]  (Foto 34).

Massimo PULINI  Montiano, 9 agosto 2020

NOTE

[1] Mi riferisco agli interventi critici che Francesco Arcangeli dedicò a Giovan Francesco Nagli detto il Centino, un artista operante a Rimini dal 1629 al 1675. Si veda F. Arcangeli, Ricordo del Centino, in “Paragone” 1954.
[2] Il Miracolo della messa di Santa Francesca Romana è conservato nella Diocesi di Padova e ha misure (cm. 250×160) del tutto simili alle tele ora a Vigonovo e provenienti dalla chiesa di San Benedetto Nuovo di Padova (cm. 240 x 160). Non credo appartenga invece a questa serie l’Angelo custode della chiesa di San Nicolò dei Tolentini di Venezia, che Davide Banzato ha più volte accostato al gruppo di Santa Francesca Romana. Vedi il fondamentale catalogo della mostra Pietro Damini. 1592-1631. Pittura e controriforma, a cura di Davide Banzato e Pier Luigi Fantelli, Padova 1993, pp. 194-197. A Banzato e Fantelli si deve un grande lavoro di ricostruzione e disamina delle fonti e del tracciato stilistico di Pietro Damini. Con questo mio contributo, nato in questa primavera di clausura, non mi è stato possibile condurre indagini sistematiche sul campo, molte delle opere che presento sono individuate dall’archivio bewebchiesacattolica, che non riporta le precise collocazioni chiesastiche delle opere, ma ho ritenuto ugualmente di renderle note, rimandando a un prossimo tempo il ritrovamento dei luoghi di conservazione.
[3] Nell’archivio on line bewebchiesacattolica il dipinto è schedato come anonimo di ambito veneto e misura cm. 170×100.
[4] Pietro Damini, San Domenico resuscita Napoleone Orsini, Padova, Museo diocesano, datato 1622 e firmato, il telero misura cm. 340×520.
[5] Già Milano, Sotheby, asta 14 e 15 giugno 2011, cm. 83,5 x 133,5 già collezione Marchese Nicola Santangelo, giudicato opera di “scuola ferrarese circa 1600”.
[6] Pietro Damini, Beata Giacoma che scopre il pozzo dei martiri, Padova, Basilica di Santa Giustina
[7] Pietro Damini, Resurrezione di Lazzaro, Senigallia, Diocesi, nel bewebchiesacattolica, dove l’ho rintracciata, è considerata di ambito romano, olio su tela, cm. 64×61.
[8] Pietro Damini (attribuito a), Madonna col Bambino coi santi Niccolò e Vito, Concordia Pordenone, Diocesi, olio su tela, cm. 174 x 127, considerata di “ambito veneto friulano”.
[9] Vedi nota numero 2.
[10]  Pietro Damini, Madonna del Rosario e Nascita della Vergine, olio su tela cm. 200 x 107 catalogata come ambito veneto, Padova, Diocesi.
[11] Pietro Damini, Madonna col Bambino e i santi Domenico e Caterina, Udine, Diocesi, nell’archivio bewebchiesacattolica figura come scuola del Varotari, olio su tela, cm. 230 x 106.
[12] Pietro Damini, Cristo versa il sangue assistito da due angeli, Ravenna, collezione privata. Lo avevo già segnalato, senza commento, nel mio libro “Gli inestimabili”, Carta Canta editore, 2011, p. 129.
[13] Davide Banzato, Pietro Damini. Maddalena, in “Dipinti inediti del barocco italiano”, a cura di Francesco Petrucci e Ferdinando Peretti, Ariccia 2014, pp. 267-282.
[14] A puro titolo di confronto pubblico alcune opere di artisti che, partendo da principi di grazia classicheggiante si sono spinti in territorio purista. Di Luigi Gentile pubblico un’opera inedita, un Amore che gioca con un passero, già Londra Christie South Kensingthon, 24 aprile 2001 come anonimo.
[15] Pietro Damini, Sant’Antonio da Padova, olio su tela, cm.126 x 82, Padova, Diocesi nell’archivio bewebchiesacattolica è considerato di “ambito veneto”.
[16] Pietro Damini, Beato Girolamo Polfranceschi, Verona, Diocesi, olio su tela, cm. 120 x 100. Nell’archivio bewebchiesacattolica è considerato di “ambito veronese”.
[17] Pietro Damini, Ritratto di Daulo Dotti de Dauli, già Firenze, Pandolfini maggio 2019, olio su tela, cm. 122 x 98 transitato in asta come opera anonima di scuola veneziana.
[18] Pietro Damini, Ritratto ideale di un condottiero, già Vienna, Dorotheum 13 ottobre 2010 e già Genova, Wannenes, 8 marzo 2017, olio tela, cm. 128×77.
[19] Il dipinto del Museo civico di Treviso raffigura il Transito delle anime pie, olio su tela e misura cm. 317 x 171.