Pietro Bracci (1700-73), un grande scultore dimenticato. Commemorazione a 250 anni dalla scomparsa ad Arpino.

di Francesco PETRUCCI

Pietro Bracci (Roma 1700 – 1773) fu il più influente scultore del 700 romano, profondo innovatore della tradizione barocca in chiave arcadica, prima dell’avvento del Neoclassicismo, costituendo una cerniera tra Bernini e Canova.[1]

Il suo linguaggio è caratterizzato da ricerca di equilibrio e misura, perseguendo una classica eleganza formale, una moderazione dei moti sentimentali e delle emozioni, in contrapposizione alla drammaticità e alla gestualità enfatica del Barocco, secondo i principi dell’Accademia dell’Arcadia, di cui fu membro, movimento letterario che, come noto, improntò di sé molti aspetti della cultura del secolo XVIII.

In linea con i princìpi arcadici e illuministi dell’erudizione, fu un artista molto colto, più di gran parte dei suoi colleghi, promuovendo un amalgama tra poesia e arte figurativa, tanto che, appena eletto nel 1756 Principe dell’Accademia di San Luca, si adoperò per accogliere nell’istituzione il Metastasio.

L’uniformità della scultura romana del ‘700 prima dell’avvento di Canova – giunto a Roma nel 1779, a sei anni dalla sua scomparsa -, tanto che risulta difficile anche per i conoscitori più attenti distinguere la mano di differenti artefici, è in parte dovuta, oltre alla vivida eredità del Barocco romano, al carisma di Bracci e alla sua forte personalità, fonte di ispirazione per molti scultori suoi contemporanei. Tra i suoi capolavori il gruppo centrale con Nettuno, tritoni e cavalli marini della più famosa fontanadel mondo: la Fontana di Trevi

Eppure, nonostante tutto questo, Bracci è un artista pressoché dimenticato. Sebbene abbia avuto una precoce e pregevole monografia edita a Milano nel 1920 a cura di Costanza Gradara, limitati sono i progressi negli studi che lo riguardano, se si escludono i contributi nella preziosa collana Studi sul Settecento romano portata avanti meritoriamente da Elisa Debenedetti (non si finirà mai di ringraziarla) e il volume di Elisabeth Kieven e John Pinto, Pietro Bracci and eighteenth century Rome: drawings for architecture and sculpture, edito nel 2001 a Montreal.

A Roma c’è solo una via a lui dedicata in località Giardinetti, zona periferica presso Tor Vergata fuori dal raccordo anulare, costituita dal breve tratto di una strada chiusa tra poche palazzine anni ’70 abitate da persone sicuramente ignare di chi si tratti, dato che sulla targa stradale non c’è scritto nulla oltre al nome e cognome.

A quanto mi risulta nessun evento nel 2023, in occasione dei 250 anni trascorsi dalla sua morte, lo ha ricordato in Italia e soprattutto a Roma, città dove è nato, vissuto e ha operato, a differenza del coetaneo Luigi Vanvitelli (Napoli 1700 – Caserta 1773), che nacque e morì lo stesso anno, lui sì adeguatamente celebrato come merita.

Risulta quindi encomiabile l’iniziativa di Vittorio Sgarbi, in qualità di Sindaco di Arpino, di organizzare in extremis, per risarcire la clamorosa lacuna, una commemorazione, con un suo intervento e una relazione tenuta dal sottoscritto presso l’auditorium Cossa dell’antichissima città laziale, commissionando anche una lapide in suo onore. Un evento che è stato celebrato il 22 dicembre 2023.

Pietro Bracci dopo gli studi in lettere e filosofia, fu allievo dello scultore Camillo Rusconi, mentre secondo Francesco Maria Gabburri sarebbe stato contemporaneamente seguace per sei anni del pittore Giuseppe Bartolomeo Chiari, da cui avrebbe acquisito la pratica del disegno. Quindi una cultura classicista di impronta marattesca.[2]

Per i suoi precoci interessi letterari nel 1724 venne accolto in Arcadia a soli 24 anni col soprannome di Giliso Niddanio, pastore arcade di Numidia. Forse è riferibile al periodo giovanile un curioso disegno passato in asta Capitolium Art nel 2002, firmato in basso a sinistra “Pet. Bracci Inv. et Delin.”, illustrante un episodio del libro VI dell’Eneide, ove Enea affigge il ramo d’oro alle porte dell’Ade, rappresentato come un ninfeo barocco al cospetto di Plutone, Proserpina e Cerbero che sembrano statuine di bisquit (fig. 1).[3]

1. Pietro Bracci, Episodio del libro VI dell’Eneide (1720-25). Già Brescia, Capitolium Art, 13-14 dicembre 2022, lotto 10

Nel 1726 vinceva il primo premio del concorso clementino con la terracotta Giosia consegna il denaro per il tempio, mentre nel 1740 fu dichiarato accademico di merito dall’Accademia di San Luca, di cui venne acclamato Principe nel 1756, mentre dal 1753 faceva parte della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon.[4]

2. Pietro Bracci, Porta dei Granai (antico Orfanotrofio romano). Roma, Piazza della Repubblica

Oltre che esimio scultore, Bracci fu anche architetto, probabilmente allievo di Filippo Barigioni, un’eredità assunta dal figlio Virginio e dal nipote Pietro junior. Aveva scritto anche dei trattati sugli ordini architettonici e sull’architettura militare, rimasti manoscritti e perduti, sebbene la sua attività in tale settore sia documentata prevalentemente dall’attività grafica, con disegni e progetti in gran parte rimasti irrealizzati. L’unica sua progettazione certa è la Porta dei Granai (antico Orfanotrofio romano) con stemma di Clemente XIII Rezzonico in piazza Esedra (fig. 2).[5]

Antonella Pampalone ha documentato anche la sua attività di intagliatore di carrozze a servizio pontificio, in continuità con l’attività del padre Bartolomeo Cesare, ma forse produsse o disegnò anche mobilia e arredi.[6]

Cimentatosi come restauratore di marmi antichi, era stimato anche quale fine conoscitore e perito, come quando venne chiamato assieme a Filippo della Valle, suo unico vero rivale a Roma, a stimare la famosa Venere capitolina acquisita dalla Camera Apostolica nel 1750, dopo essere stata ritrovata nell’Orto Stati presso la chiesa di San Vitale.[7]

Si occupò di importanti restauri, tra cui quelli dell’Arco di Costantino, del cosiddetto Antinoo capitolino o dell’Apollo Albani. Eseguì interventi su sculture antiche per i marchesi Rondinini, che conservavano nella loro raccolta anche una gran quantità di suoi bozzetti in terracotta, oggi purtroppo dispersi, se si esclude l’allegoria della Fortezza, confluita, dopo il passaggio alla collezione Farsetti, nelle collezioni del Museo dell’Ermitage.[8]

Fu l’unico scultore, assieme a Bernini, a mettere in opera due monumenti funebri papali: quello di Benedetto XIII, ideato da Carlo Marchionni (Roma, Santa Maria sopra Minerva, 1734-37, fig. 3), e quello di Benedetto XIV, da lui stesso progettato e scolpito (Basilica Vaticana, 1763-69, fig. 4).[9]

3. Carlo Marchionni, Pietro Bracci, Deposito di Benedetto XIII (1734-37). Roma, S. Maria sopra Minerva
4. Pietro Bracci, Deposito di Benedetto XIV (1763-69). Roma, Basilica di San Pietro

Le sue immagini dei pontefici, caratterizzate da ricerca di movimento e vitalità, sono innovative rispetto alla tradizionale iconografia papale: papa Orsini si sta sollevando dal cuscino-inginocchiatoio con la mano al petto in atto devozionale rivolto verso l’immagine di san Domenico sull’altare, mentre papa Lambertini è eretto in piedi con il braccio destro benedicente in attitudine potente e solenne.

Bracci, eccellente ritrattista, mise in posa, sulla traccia del Bernini, tutti i pontefici che regnarono durante la sua vita professionale, caratterizzando i suoi ritratti per una cruda resa fisiognomica, scevra da alcuna idealizzazione, fortemente caricata dal punto di vista espressivo, accostandosi alla ritrattistica a tratti grottesca di Pier Leone Ghezzi e al realismo di Marco Benefial, come emerge nei busti di Benedetto XIII, Clemente XII e Benedetto XIV che gli vengono riferiti (figg. 5, 6, 7).[10]

5. Pietro Bracci, Ritratto di Benedetto XIII. Albano Laziale, Palazzo Lercari, Episcopio
6. Pietro Bracci, Busto di Clemente XII. Roma, Galleria Borghese
7. Petro Bracci attr., Busto di Benedetto XIV. Venezia, Fondazione Cini

Si occupò di vari monumenti funebri collocati in chiese, trasformandoli in opere profane per la presenza di voluttuose figure femminili librate in volo o posate sui sarcofagi con straordinaria leggerezza, allegorie della Fama, della Storia o di complicate virtù, sostenenti il ritratto pittorico incorniciato del defunto, con una piramide di memoria raffaellesca sullo sfondo. Figure in marmo, non in stucco, così leggiadre da aver evocato per le sue statue di Mafra porcellane rococò (Honour).

Sono in effetti celebrazioni della gloria terrena del defunto in terra, più che esaltazioni del premio celeste, tra nubi, raggi, angeli e scheletri gesticolanti in basso allusivi alla caducità terrena, come nella scultura funeraria barocca.

Tale schema, fissato nel giovanile deposito del cardinale Fabrizio Paolucci (Roma, San Marcello al Corso, 1726, fig. 8), è riproposto con variazioni nei monumenti dei cardinali Innico Caracciolo (Aversa, Cattedrale, 1736-38), Giuseppe Renato Imperiali (Roma, Sant’Agostino, 1741), Pierluigi Carafa e Leopoldo Calcagnini (Roma, Sant’Andrea delle Fratte, fig. 9).

8. Pietro Bracci, Deposito del cardinale Fabrizio Paolucci (1726). Roma, San Marcello al Corso
9. Pietro Bracci, Deposito del cardinale Leopoldo Calcagnini (1748). Roma, S. Andrea delle Fratte

D’ispirazione berniniana è il monumentale gruppo scultoreo con l’Assunzione della Vergine per l’altare maggiore del Duomo di Napoli, che rivisita la gloria della Cattedra di San Pietro.

Per il monumento funebre a Maria Clementina Sobieski Stuart nella Basilica Vaticana, progettato da Filippo Barigioni, scolpì parti scultoree di straordinaria finezza e pittoricismo, plasmandole con la luce che penetra nella navata (1739-42, fig. 10).

10. Pietro Bracci, Deposito di Maria Clementina Sobieski Stuart (1742). Roma, Basilica di San Pietro
11. Pietro Bracci, Statua onoraria di Clemente XII (1733-38). Ravenna, Museo Civico, Chiostro di San Vitale

Sfortunata la vicenda delle sue statue onorarie di Clemente XII. La prima, scolpita in marmo nel 1733-35 per la piazza Maggiore – ora piazza del Popolo -, di Ravenna, dopo alterne vicissitudini, culminate nella rimozione definitiva dalla piazza nel 1867, fu infelicemente trasferita nel chiostro di San Vitale del Museo Nazionale della città (fig. 11).[11]

Decisamente più tragica la storia della statua onoraria in bronzo di papa Corsini che, dopo essere stata collocata nel Salone grande del Palazzo Nuovo in Campidoglio, di fronte alla statua di Innocenzo X dell’Algardi – poi trasferita nel Salone degli Orazi e Curiazi del Palazzo dei Conservatori -, sul lato corto della sala entrando a destra, venne rimossa e fusa nel 1798 durante la prima Repubblica Romana. Ne rimane come unico documento visivo un’incisione a bulino di Stefano e Rocco Pozzi dedicata la cardinale Neri Corsini (fig. 12).[12]

12. Stefano e Rocco Pozzi, da P. Bracci, Statua onoraria di Clemente XII (incisione). Già Roma, Palazzo Nuovo, Campidoglio

Disgraziato anche il destino dei monumentali quattro grandi angeli che aveva scolpito nel 1749, assieme a un gruppo di putti modellati e fusi in bronzo, con corona, palme e croce, per sovrastare, come quello vaticano, il Baldacchino di Ferdinando Fuga nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Rimossi nel 1932 per iconoclasta avversione verso l’arte barocca, con il pretesto di far vedere meglio i mosaici absidali, furono collocati in deposito permanente sulla Loggia delle Benedizioni (figg. 13-15).[13]

13. Ferdinando Fuga, Pietro Bracci, Baldacchino (foto ante 1932). Roma, Santa Maria Maggiore
14. Ferdinando Fuga, Baldacchino. Roma, Santa Maria Maggiore
15. Pietro Bracci, Angeli del Baldacchino (1749). Roma, Santa Maria Maggiore, Loggia delle Benedizioni

Francesco PETRUCCI  Roma 31 Dicembre 2023

NOTE

[1] In linea generale sull’artista cfr. C. Gradara, Pietro Bracci scultore romano 1700-1773, Milano 1920; Il Settecento a Roma, catalogo della mostra, Roma 1959, pp. 68-69; H. Honour, Bracci, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, 13, Roma 1971, pp. 620-623; E. Kieven, Pietro Bracci, in In urbe architectus. Modelli, Disegni, Misure. La professione dell’architetto a Roma 1680-1750, catalogo della mostra, a cura di B. Contardi, G. Curcio, Roma, Castel Sant’Angelo, Roma 1991, pp. 326-327; E. Kieven, J. Pinto, Pietro Bracci and eighteenth century Rome: drawings for architecture and sculpture, Montreal 2001; J. Montagu, I monumenti papali nei refettori della Ss. Trinità de’ Pellegrini, in Sculture romane del Settecento, I, a cura di E. Debenedetti, “Studi sul Settecento Romano”, 17, Roma 2001, pp. 11-35; A. Pampalone, Note su Pietro Bracci intagliatore di carrozze, in Sculture romane del Settecento, III, a cura di E. Debenedetti, “Studi sul Settecento Romano”, 19, Roma 2003, pp. 183-199; R. Carloni, Pietro Bracci, Francesco Antonio Franzoni, Vincenzo Pacetti: questioni di committenza e di attribuzioni, in Sculture romane del Settecento, III, a cura di E. Debenedetti, “Studi sul Settecento Romano”, 19, Roma 2003, pp. 201-231; R. Randolfi, Bracci, Pietro I, in Architetti e ingegneri a confronto, I, l’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di E. Debenedetti, “Studi sul Settecento Romano”, 22, 2006, pp. 163-165; A. Agresti, Pietro Bracci e la protezione degli Orsini: dal monumento a Benedetto XIII al monumento a Benedetto XIV, in “Paragone”, 61, 2010, pp. 53-70; I. Haist, Opere fatte di scultura da Pietro Bracci. Skulptur im Kontext des Römischen Settecento (Thesis), Inauguraldissertation der Philosophisch-historischen Fakultät der Universität Bern zur Erlangung der Doktorwürde, Muggensturm Von der Philosophisch-historischen Fakultät, Prof. N. Gramaccini, Prof. M. Hesse, Universität Bern, Bern 2015 (https://boristheses.unibe.ch); A. Agresti, Domenico Orsini e le arti a Roma alle soglie della Rivoluzione, Roma 2019, pp. 178-193; R. Randolfi, Aggiunte a Gaspare Sibilia ed i suoi rapporti con Pietro Bracci e figli, in Aspetti dell’arte del disegno: autori e collezionisti, I. Antico, Città, Architettura, V, a cura di E. Debenedetti, “Studi sul Settecento Romano”, 36, Roma 2020, pp. 173-180; A. Pampalone, “Là sorge il gran Clemente”: la statua ravennate di Clemente XII di Pietro Bracci, con una nota su Alessandro Bracci, in “Ravenna Studi e ricerche”, XXVII-XXVIII, 2020-21, pp. 91-109.
[2] F. M. N. Gaburri, Vite de Pittori, Firenze, Biblioteca Nazionale, cod. Pal. E.B.9.5: F.M., 1739, f. 2136 (https://grandtour.bncf.firenze.sbn.it/Gabburri/consultazione.html); C. Gradara, 1920, p. 12; H. Honour, 1971.
[3] Brescia, Capitolium Art, 13 dicembre 2002, lotto 10, penna, inchiostro e acquerello su carta, cm. 31,50 x 43,50.
[4] C. Gradara, 1920, pp. 14-15. Per il bozzetto conservato presso l’Accademia di san Luca cfr. C. Gradara, 1920, p. 81; Aequa potestas. Le arti in gara a Roma nel Settecento, catalogo della mostra, a cura di A. Cipriani, Roma, Accademia di San Luca, Roma 2000, pp. 96-97, n. III.13.
[5] C. Gradara, 1920, pp. 13, 91-96; E. Kieven, 1991, pp. 326-327; E. Kieven, J. Pinto, 2001.
[6] A. Pampalone, 2003, pp. 183-199.
[7] C. Pietrangeli, Come fu acquistata la “Venere Capitolina”, in “Strenna dei Romanisti”, XVI, 1955, pp. 263-266; id., Roma, questa nostra città, Roma 1997, pp. 4, 6.
[8] C. Giometti, L. Lorizzo, Per diletto e per profitto. In Rondinini le arti e l’Europa, Milano 2019, pp. 166-170, 267-268.
[9] Sui due monumenti vedi ad ultimo A. Agresti, 2019, pp. 178-193.
[10] Per riferimenti ai busti di Benedetto XIII vedi A. Agresti, 2019, pp. 16-17, 182-184, fig. 50, pp. 196-197 nota 32, 33 (lo studioso riferisce ragionevolmente a Bracci un busto in marmo del papa già in asta Sangiorgi, 1896, n. 526). Ritengo sia da restituire allo scultore, ritrattista ufficiale di casa Orsini e di Benedetto XIII (A. Agresti, 2010; id., 2019), come peraltro riporta la bibliografia storica (H. Honour, 1971), anche per il crudo realismo che lo caratterizza, il busto nel Battistero di Santa Maria Maggiore e conseguentemente il suo bozzetto in terracotta di Palazzo Venezia (cfr. C. Giometti, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia. Sculture in terracotta, Roma 2011, pp. 92-93, come Giuseppe e Bartolomeo Mazzuoli). Un ritratto a rilievo in marmo del papa, dal sottoscritto riferito a Bracci, con un profilo identico a quello della terracotta e quindi al marmo di Santa Maria Maggiore, si conserva presso l’Episcopio di Albano Laziale (F. Petrucci, Marchionni e Bracci nel Palazzo Lercari di Albano, in “Documenta Albana”, II serie, n. 22, 2000, pp. 87-95).
[11] A. Pampalone, 2020-21, pp. 91-109.
[12] C. Pietrangeli, Tre statue papali nel “Palazzo Nuovo” del Campidoglio, in “Strenna dei Romanisti”, XXIV, 1963, pp. 347-350; id., Roma, questa nostra città, Roma 1997, pp. 39, 41, 44.
[13] C. Gradara, 1920, pp. 62-63, 105-106.