Parla Anna Coliva: Databases per Caravaggio e Bernini, non servono troppe indagini ma ricerca e studio.

PdL

Incontriamo Anna Coliva nel suo ufficio alla Galleria Borghese, uno degli istituti museali più famosi e più frequentati, che dirige da diversi anni con eccellenti risultati, ribaditi dall’ultimo grande evento espositivo chiusosi da poco e dedicato a Bernini, uno dei simboli, con Caravaggio, come ci dice lei stessa, della Galleria. Impossibile dar conto, in questa sede, di quanto in termini di esposizioni, pubblicazioni, eventi culturali, conferenze, Anna Coliva abbia promosso e prodotto in tutto questo tempo; l’ultima iniziativa riguarda ancora i due grandi artisti per la costituzione di databases, concepiti come strumenti scientifici in grado di raggruppare ogni elemento relativo alla loro vita e alle loro opere. Ed anzi, un comitato scientifico sta lavorando su Caravaggio per il quale il database è già in composizione, ma sulle mostre, convegni, cataloghi che oggi paiono molto incentrati sulle indagini diagnostiche di alcune opere del genio lombardo, la Direttirce della Galleria Borghese espone tutto il suo scetticismo.

La prima domanda che vorrei farti riguarda questo progetto dei databases da mettere a disposizione degli studiosi nato in collaborazione con la maison Fendi; come è nata l’idea?

R: Ti spiego brevemente facendo riferimento all’ultima esposizione che abbiamo tenuto qui in Galleria, dedicata e intitolata Bernini.

-Un grande successo a quel che so.

R: Si un successo veramente oltre ogni aspettativa perché sono arrivati visitatori da tutto il mondo e questo non è accaduto in modo casuale: la campagna di comunicazione messa in atto da un partner per noi ormai abituale, cioè la maison Fendi, e che noi non ci saremmo mai potuto permettere, è stata così efficace che ha portato a risultati straordinari; in termini numerici abbiamo superato i 160 mila visitatori, ma al di la di questo abbiamo potuto verificare che per lo più si è trattato di accessi ‘mirati’, in particolare molti da New York, moltissimi dalla Spagna e da Parigi, gente che ha fatto appositamente il viaggio a Roma per vedere la mostra; peraltro sono queste le occasioni in cui si crea o si potrebbe creare un indotto molto soddisfacente se la nostra città sfruttasse le possibilità che può offrire l’occasione data da eventi del genere; ti faccio l’esempio di Londra, cioè di come riuscirono a trarre tutti i benefici possibili in occasione della esposizione su Raffaello che venne preparata con una giornata di studio alla quale intervennero le istituzioni ai massimi livelli, il Ministro della Cultura ed anche il Ministro del Tesoro; sai quale introito ebbero riguardo all’indotto, cioè alberghi, ristoranti, negozi, ecc. 30 milioni di sterline, 30 milioni!; me ne ricordo bene perché subito dopo noi realizzammo la grande esposizione Raffaello da Firenze a Roma che fece uno straordinario numero di visitatori, tanto da risultare, in proporzione, una delle più visitate al mondo ed avremmo potuto avere anche ulteriori straordinari riscontri economici se avessimo potuto replicare l’esempio londinese.

-Ecco, ma perché esempi del genere qui da noi non trovano seguito?

R: Perché ci vogliono molti più strumenti di quanti si riesca a metterne in campo, cioè usufruire di trasporti adeguati, strutture d’accoglienza idonee e convenienti e così via; la mostra, specie la ‘grande’ mostra dovrebbe essere, ed a volte lo è stato, un moltiplicatore di occasioni e di riscontri economici.

-Ma tu, come direttrice di una Galleria così importante e conosciuta, in che rapporti sei con le Istituzioni, specie con quelle locali?

R: Ottimi, abbiamo ottimi rapporti.

-Ed allora ti chiedo, perché non si riesce a coinvolgere quanto meno le Istituzioni locali in iniziative di questo tipo?

R: Ti rispondo con un esempio; noi abbiamo dei rilevatori di gradimento del pubblico e riguardo all’ultima esposizione su Bernini, visitata come dicevo da oltre 160 mila persone -peraltro con il numero chiuso, altrimenti ne avremmo contati il doppio- abbiamo verificato che quando c’era il turno serale i visitatori uscivano ancor più soddisfatti, anche perché potevano andare al ristorante, o al cinema, insomma vivevano il ‘dopo mostra’. Dunque, per tornare alla tua domanda: prima di tutto occorre preparare le condizioni per far vivere l’indotto, bisogna lavorarci e crederci; iniziative del genere presuppongono determinati mezzi tramite i quali progettare gli interventi adatti e le partnership.

-E la partnership con Fendi? Non potrebbe sostenervi sotto questo punto di vista?

R: Ma loro già fanno molto e non possiamo delegar loro tutto, inoltre far funzionare un indotto è un compito più di natura istituzionale. In ogni caso quello che voglio sottolineare è che la mostra Bernini ha portato ad un avanzamento degli studi che ritengo molto significativo, con dati nuovi e spunti di discussione che mi paiono interessanti specie riguardo alla proposta di rivedere alcune datazioni dei primi lavori dell’artista che so che hanno fatto discutere; ma questo sta nell’ordine delle cose: gli autori del resto si sono presi la responsabilità di ridiscutere certi dati sulla base di convinzioni maturate tramite studi molto seri. Tuttavia non tutti mi sono parsi convincenti per le conclusioni, anche se le loro osservazioni mi sono sembrate assolutamente ben argomentate.

È vero, alcune parti del catalogo hanno fatto discutere, ma è anche stato criticato il fatto stesso che la Galleria Borghese realizzi queste mostre, dal momento che ha un patrimonio tanto ricco che rischia di finire ridimensionato con l’esposizione di altri capolavori; cosa rispondi al riguardo?

R: Cosa vuoi che risponda? E’ una polemica vecchia e stantia che risale addirittura al tempo della prima esposizione; non capisco perché non si dovrebbero fare mostre qui alla Borghese che è un luogo fruibile in tutta la sua eccezionale visibilità; queste critiche ignorano che proprio grazie alle mostre la nostra Galleria ha potuto sviluppare studi e ricerche che fin quando non è stata varata la legge sull’autonomia erano impensabili; per me parlano i risultati ottenuti, e non dico tanto di risultati in termini di pubblico –che pure sono esaltanti- ma soprattutto mi interessano i risultati scientifici; posso dire che non c’è stata una mostra che non abbia portato ad un’acquisizione scientifica nuova, che fosse documentaria, che fosse stilistica, filologica, archivistica, comunque estremamente importante. Perfino su Canova, addirittura su Raffaello, dove sembrava non ci dovesse essere più nulla da ricercare, senza dire di quelle più specifiche, come la mostra sulla Natura Morta (L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford, NdA) chiusa lo scorso febbraio, che ha segnato un momento significativo di contatto e confronto tra grandi studiosi e specialisti.

E su Bernini?, cosa si può dire che sia uscito di maggiormente rilevante, a parte le nuove discusse datazioni?

R: La mostra su Bernini ha avuto un’importanza straordinaria proprio dal punto di vista scientifico; l’artista è stato inserito non in un luogo qualsiasi ma nel ‘suo’ luogo, nel ‘suo’ ambiente, nella Roma degli anni in cui emergono quelle novità di stile che lo influenzeranno e lo vedranno primeggiare; Bernini si capisce molto più e molto meglio proprio qui, c’è come una sorta di empatia che unisce tutte le cose e come hanno detto bene i curatori ma anche molti addetti ai lavori che conoscevano bene il linguaggio dell’artista :“Le opere del Bernini non ci erano mai apparse così belle!”. E sai perché? Perché si è assistito ad un’autentica esaltazione della ‘sua’ formazione e in genere della sua cultura. Cosa voglio dire? Che una esposizione si fa anche per questo, si fa anche per resuscitare sensazioni e ragioni, le più intime, relative al ‘fare’ di un artista, ed io sono convinta che se Bernini ha realizzato certe determinate opere è perché era qui ed ha potuto osservare quanto lo circondava. È un aspetto che giudico rilevantissimo. Quindi, le mostre sono sempre un’occasione di ricerca e di approfondimento e in primo luogo concorrono allo studio e all’analisi proprio della collezione della Galleria stessa.

-E questo vale anche per le mostre dedicate al contemporaneo?

R: Ma certamente; gli artisti contemporanei ci aiutano a comprendere l’arte antica molto più di quanto si creda e nel nostro intento le mostre di arte contemporanea vanno proprio in questa direzione, cioè allargare la conoscenza  delle nostre opere, della nostra collezione, ed è sempre stato così, nel senso che molto spesso è stato possibile vedere cose che prima non avevamo potuto vedere; insomma, un luogo così denso di cultura e pieno di risorse, presenta grandi di possibilità di studio e non metterle in campo significa castrare ogni possibilità di approfondimento. La polemica cui accennavi tu, del resto, mi pare proprio una polemica tipicamente romana, che non mi pare abbia mai suscitato consensi fuori del raccordo anulare. La verità vera è che la Galleria Borghese è ben dentro i circuiti del turismo internazionale come poche realtà museali italiane, grazie proprio a questa politica culturale che stiamo portando avanti da tempo e che l’hanno valorizzata, resa più desiderabile e addirittura, se posso dirlo, un luogo ambito e ricercato, cosa che costituisce per noi che ci lavoriamo motivo enorme di soddisfazione, al di là del gradimento di pubblico che, come dicevo, è comunque altissimo; credo che chi verrà dopo di me giustamente si regolerà come meglio crede ma questi dati restano scritti.

Come? Non mi dire che hai idea di lasciare la Borghese?

R: Dico semplicemente, che chiunque verrà dopo di me opterà per una sua personale conduzione, com’è giusto che sia. E però un’altra cosa ci tengo a sottolineare. Oggi si parla tanto di indagini scientifiche per definire il modus operandi di un artista: bene, noi questa pratica l’abbiamo sperimentata già con la prima mostra su Bernini nel ’98 (Bernini scultore. La nascita del Barocco in Casa Borghese, NdA) in occasione della quale facemmo una quantità enorme di ricerche, che furono soprattutto a livello materico. L’idea partì dalla necessità di capire da quali cave provenissero i marmi usati da Bernini per tentare di verificare le analogie o le diversità con i procedimenti che adottava Michelangelo. Di qui la necessità di capire quali fossero le cave di provenienza dei materiali, quali i modi di estrarre il marmo, quali gli strumenti di lavoro che Bernini utilizzava e quindi determinare tutte le fasi della lavorazione, potendo così rendersi conto addirittura di come procedeva la mente stessa dell’artista. Certo, abbiamo utilizzato gli strumenti diagnostici a disposizione in quel periodo, mentre oggi la tecnologia si è evoluta, tant’è vero che le indagini ci hanno addirittura fatto praticamente riscoprire la santa Bibiana che abbiamo esposto nell’ultima mostra. Però quell’esperienza di qualche tempo fa, che tra l’altro si è tradotta in una pubblicazione (Bernini scultore. La tecnica esecutiva, NdA) ci ha fatto nascere l’idea della costituzione di un database che desse conto di tutto quanto era a disposizione sull’artista e di quanto sarebbe venuto fuori.

Di qui anche l’idea di un database per Caravaggio, scommetto.

R: Esattamente; Caravaggio e Bernini sono i simboli stessi della Galleria Borghese ed è quasi un dovere, se posso dire, raggruppare tutte le documentazioni acquisibili, tutti i riferimenti possibili e ogni dato inerente alle loro vicende umane e artistiche. Per Caravaggio poi il discorso vale ancora di più e credo che sia importante che un database che lo riguardi nasca proprio qui, nella Galleria Borghese, dove sono presenti opere che riflettono la prima fase e l’ultima della sua poetica, testimonianze precise del cambiamento della sua tecnica esecutiva, non della evoluzione, perché Caravaggio non si evolve. Mi sono spesso domandata come sia possibile che un progetto del genere non sia ancora stato messo in opera, ed oggi grazie all’aiuto di uno sponsor privato –perché si tratta di progetti assai costosi- ed in partnership con il Getty Research, cioè il più grande centro di ricerca e produzione di strumenti digitali applicati agli studi storico artistici, abbiamo finalmente iniziato a colmare questa lacuna.

Puoi chiarire come è stata impostata la cosa? E quali obiettivi perseguite?

R: Un lavoro del genere dev’essere quanto più possibile neutro, seguito da un comitato scientifico di alto profilo; il nostro scopo è assolutamente e dichiaratamente scientifico, vale a dire raccogliere tutti i dati a disposizione che riguardino le opere di Caravaggio, collegandoci con tutti quei musei e istituzioni che possiedono opere di Caravaggio, come il Louvre, ad esempio, con cui siamo già in contatto; l’obiettivo è creare una vera rete istituzionale che metterà a disposizione degli studiosi, affinché possano prenderne visione e trarne spunti di lavoro, tutto quanto è possibile: bibliografie, aggiornamenti filologici e storico critici ed ogni altro tipo di documentazione; insomma, scheda per scheda, opera per opera, metteremo in rete tutti gli elementi di studio che concernono il genio lombardo, comprese naturalmente le analisi diagnostiche.

Mi dai l’occasione per chiedere cosa ne pensi di questa serie di iniziative espositive e convegnistiche, l’ultima a Milano con la mostra Dentro Caravaggio, incentrate proprio sui rilevamenti diagnostici.

R: Penso che si stia giocando un po’ troppo su questo terreno con il rischio di ridimensionare il ruolo e la figura stessa dello storico dell’arte; mi pare che le analisi diagnostiche non sempre siano bene interpretate se non a volte addirittura ‘forzate’, ed in ogni caso non mi pare affatto, proprio a vedere le ultime mostre, che possano fare chiarezza, al contrario; ma dov’è la risoluzione degli annosi problemi circa le repliche, le copie ecc? Guarda i ‘doppi’ di Caravaggio, il san Francesco in meditazione e il Ragazzo morso dal ramarro, io ovviamente ho le mie convinzioni, ma i dubbi su quale sia l’originale sono stati tutt’altro che sciolti, tanto da chiedersi a che servano convegni, mostre, cataloghi anche piuttosto dispendiosi; ma poi guarda le pubblicazioni: ci sono sempre le stesse cose; ora si parla di disegni preparatori, ma sono in realtà dei segni che indicano dei posizionamenti operati dall’artista, e dove la cosa che fa impressione è che sono sempre dei tratti uguali sia nei lavori che sicuramente sono di Caravaggio sia in quelli che non lo sono; insomma, alla fine se non si ha un riscontro altamente specialistico capace di riconoscere la mano dell’artista, cioè dello storico dell’arte, con le analisi puoi fare quello che ti pare; come diceva il compianto Gigi Spezzaferro:Perché è Caravaggio? Perché se vede!”. Quindi per rispondere alla tua domanda, personalmente credo che non ci sono ancora stati grandi avanzamenti negli studi, anche perché per capire devi sapere e per sapere devi studiare, studiare molto, vedere molto, confrontare, avere sensibilità ed occhio alla materia, ma soprattutto avere lo sguardo sgombro, non rivolto ad un attribuzionismo molto spesso mercantile.

Personalmente ho assistito a parte del convegno milanese seguito alla mostra Dentro Caravaggio ed effettivamente devo dire che proprio sui ‘doppi’ le posizioni erano molto distanti nonostante il profluvio di analisi, pentimenti, incisioni e così via; mi è sembrato quasi che studiosi pure molto preparati tendessero a ribadire semplicemente i loro punti di vista.

R: Qui tocchi un punto dolente: questi convegni, simposi, conferenze, che tra l’altro sono sempre ristretti alle stesse persone, in realtà servono veramente? Io credo proprio di no, come dici tu, ognuno va a ripetere le sue posizioni; qual è il grande problema degli studi caravaggeschi? Forse quello relativo alle repliche, alle riproduzioni delle opere dell’artista? Noi qui alla Borghese siamo pieni di analisi diagnostiche ed anzi abbiamo un dipinto la Madonna dei palafrenieri che probabilmente è l’unico dove è venuta fuori un’autentica novità; in tutti gli altri casi i riscontri sono assolutamente sovrapponibili.

Tu quindi neghi o comunque non credi che le indagini diagnostiche possano aiutare a risolvere l’annoso dilemma se Caravaggio replicasse o no i suoi lavori?

R: Sono ormai vent’anni che personalmente sto seguendo lo sviluppo di queste analisi e che prendo atto e mi confronto con tutto quanto è stato e viene ancora fatto, e dopo tanti anni una cosa ho capito, ma dovremmo averla tutti capita, cioè prima di tutto che con le analisi scientifiche l’autografia di un’opera non si è in grado di stabilirla, e quindi continuando a seguire questo percorso il problema delle repliche resterà senza soluzione, perché alla fine quello che dimostrano le analisi è questa sorprendente –ma altrettanto ovvia e banale a mio avviso- somiglianza di risultati, fatte salve pochissime eccezioni che però non riguardano quadri di Caravaggio sub judice, ossia quelli dubbi o attribuiti, confrontati con uno ‘buono’; quelli tali rimangono e questo mi pare già un dato significativo che dovrebbe fare statistica.

Il Ragazzo morso dal ramarro (sx National Gallery Londra; dx Fondazione Longhi Firenze)

E quindi?

R: Quindi ne deduco che quello delle repliche caravaggesche sia un falso problema e che la cosa davvero importante sarebbe non trovare una impossibile soluzione ma stabilire che la questione esiste ed è presente, che non è stata risolta in alcun modo se non con attribuzioni ‘forzate’ che lasciano il tempo che trovano; ti dico -al di là ora di Caravaggio– che quando un’attribuzione è giusta e riuscita dà soddisfazione, altrimenti lascia insoddisfatti; quindi è inutile stare a scarabocchiare questi dipinti con le analisi: se ho gli occhi azzurri, per quante analisi del Dna mi possano fare, azzurri restano.

Un’altra cosa su cui vorrei sentire il tuo parere riguarda i ritrovamenti archivistici che sembrano ridisegnare i primi tempi di Caravaggio a Roma –spostandone l’arrivo non prima del 1595/96- e quindi delle opere realizzate prima dell’ingaggio presso il cardinale Del Monte.

R: Beh, anche qui, non mi pare che si possa andare oltre un’ipotesi ed anzi secondo me quello che molti validi studiosi hanno proposto sulla prima fase romana del Merisi, compresa la realizzazione delle prime opere, resta valido, come pure sulle datazioni delle opere successive non mi pare ci sia troppo da ridiscutere. Si tratta in ogni caso di aspetti intorno ai quali il database potrà essere molto utile dal momento che presenterà l’insieme dei dati disponibili, compresi i pareri degli esperti riguardo a questo tema delle datazioni, una sorta di punto di partenza indispensabile, in sostanza, che, voglio ribadirlo, dev’essere considerato come uno strumento di studio.

Sarà uno strumento che potranno consultare tutti?

R: Si, ma naturalmente con diversi livelli d’accesso; ad esempio, se ci sono dati che un eventuale proprietario ritiene particolarmente delicati, ci si potrà entrare solo con delle chiavi d’accesso prestabilite e autorizzate.

Quindi mi dici che ci saranno anche eventuali opere di privati? Anche nel caso che il proprietario ritenga possano essere attribuite al Merisi? Come sai, questo sta diventando un vero problema.

R: No, è chiaro che non possiamo accettare tutti e tutto; noi opereremo una scrematura che interesseràtutte le opere che siano conosciute o che emergano e ci sarà un settore dove compaiono i lavori sicuri e uno per le altre proposte presentate con una certa autorevolezza. Sia che questa autorevolezza derivi dal molto tempo passato rispetto alla prima proposta attributiva, sia che derivi dai dati a corredo dell’attribuzione; insomma per essere chiari, se un’opera diciamo così ‘discussa’ presenta vari elementi a favore, quali possono essere i pareri degli esperti, i documenti e così via, è ovvio che verrà considerata; al contrario tutto l’attribuzionismo giornalistico, se posso dire così, non interessa, lascia il tempo che trova. A questo aggiungerei che nostro scopo è anche quello di riunire databases parziali che pure esistono e collaborare con altre istituzioni, senza chiuderci su noi stessi.

Ad esempio?

R: Ad esempio con l’Hertziana che ha in cantiere un progetto di database, o anche con musei stranieri che coltivano progetti settoriali con i quali si aprono delle collaborazioni perché studi di questo tipo si arricchiscono con le collaborazioni.

Pensi che costituendo un database così ricco, ampio e, come dicevi tu, neutrale sarà possibile arrivare a sciogliere quegli enigmi che, nel caso di Caravaggio, si trascinano da tempo e continuano a dividere gli esperti? Ad esempio, pensi che sarà possibile individuare l’originale nel caso di opere molto simili che se ne contendono il titolo?

R: No, come dicevo prima non sarà una macchina, per quanto tecnologicamente avanzata e moderna, e neppure un esperto di diagnostica a sciogliere i dubbi, anche per il motivo che non sempre c’è certezza nei riscontri. Perché i grandi istituti di ricerca vogliono che le indagini scientifiche si svolgano nei loro laboratori? Perché il protocollo che si segue in un istituto quasi sempre differisce da quello di un altro; noi l’abbiamo sperimentato con Bernini: abbiamo dovuto fare tutte le indagini noi per non rischiare di avere risultati disomogenei. E poi lasciami dire che non esiste un deus ex machina capace di risolverci i problemi; se un dipinto di Caravaggio è ‘dubbio’ da vent’anni vuol dire che c’è qualcosa che non va, hai voglia a fare analisi!

-Puoi dirmi qualcosa ora sui tempi entro cui pensi che i dati possano essere a disposizione degli studiosi?

R: Beh, noi stiamo lavorando già da tempo; quest’anno abbiamo siglato l’accordo e il finanziamento del progetto (evito di raccontarti i soliti ritardi e intralci burocratici riscontrati) e intanto si inseriscono i dati; tanto per dire, ci vorrà credo un anno per immettere i dati dei nostri quadri.

-Diciamo che entro il 2019 se io ne avessi bisogno potrei venire in Galleria a far ricerche con il database?

R: Si, certo, però ovviamente va tenuto presente che questi non sono progetti a tempo, dato che i dati vanno aggiornati di continuo; io poi voglio lasciare alla Galleria qualcosa che sia utile per sempre, anche perché un database non si esaurisce in un determinato periodo di tempo.

Insomma stai pensando di lasciare la Borghese? C’è qualcosa del genere che dobbiamo aspettarci? -Difficile pensare ad una Galleria Borghese senza Anna Coliva …

R: Credi? Basta abituarsi all’idea … ma devo riconoscere che ad un certo punto viene anche il momento in cui ti può nascere l’idea di fare qualcosa di diverso e non mi dispiacerebbe un’alternativa del tutto differente.

Senti, un’ultima cosa che non c’entra però devo chiedertela perché è finita sui giornali, ossia la storia che non eri impegnata sul posto di lavoro; cosa c’è di vero?

R: Proprio nulla, ero presente in convegni ed è tutto regolarmente registrato come richiedono le norme. Quello che è certo è che è in atto un tentativo di nuocermi gravemente.

PdL   Roma aprile 2018