di Rita RANDOLFI
Si è conclusa venerdì 11 marzo l’esposizione fotografica di Michele Simolo, intitolata “Obiettivo no violence”, patrocinata dal Municipio V di Roma Capitale e ospitata nella sala consiliare di via dell’Acqua Bullicante, n. 2, nello storico quartiere Prenestino Labicano, conosciuto per le sue aree geografiche Torpignattara, Certosa e Pigneto spesso considerate quartieri distinti.
Le fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero, esplicitano gli intenti dell’omonima associazione, di cui Simolo è il fondatore, che gioca sul termine “obiettivo” sia per identificare lo scopo per cui è nata, sia per indicare la modalità con cui realizza l’azione di documentazione, prevenzione, assistenza e protezione delle vittime di soprusi.
L’occasione è stata, ovviamente, l’8 marzo, festa delle donne, che ha dato all’associazione l’opportunità di organizzare una serie di conferenze, dibattiti, proiezioni di film e filmati, che hanno sviscerato l’argomento, considerandolo da più punti di vista.
In particolare sono intervenuti il presidente del V Municipio Mauro Caliste, dei consiglieri Antonio Liani, Tatiana Procacci, Gianmarco Palmieri e Cristina Michetelli, dell’avvocato Antonio Castellani, cassazionista esperto in diritto Civile e Penale per la Famiglia, di Flavia Rotilio, psicologa clinica e Psicodiagnosta dell’Età Evolutiva e di Barbara Calabrese docente dell’Università la Sapienza, che hanno illustrato come il Covid abbia avuto ripercussioni importanti sia sugli adolescenti, sia sulle donne che vivono in situazioni di difficoltà, delle psicologhe Monica Grassi e Titti D’Amato, quest’ultima anche istruttrice di autodifesa, delle attrici Lucia Batassa e Claudia Conte, protagonista del film Resilienza, finalista al Ciak Film Festival, che ha raccontato come sia stato difficile interpretare alcune scene, per l’inevitabile coinvolgimento emotivo, evidenziando il messaggio indirizzato alle donne, che devono imparare a non sottovalutare gli atteggiamenti oppressivi dei loro compagni.
Ma tutti questi eventi hanno rappresentato la cornice attorno al cuore della mostra, le fotografie di Simolo, che raccontano storie che arrivano come un pugno nello stomaco.
Sul filo conduttore della violenza subita dalle donne nei diversi contesti, familiare, lavorativo o più genericamente culturale, ogni immagine si ispira ad un fatto realmente accaduto, uno stupro domestico oppure di gruppo, facendo emergere la solitudine che talvolta arriva a far desiderare la morte.
Le foto sono tutte in bianco e nero in quanto l’autore non ha voluto concentrarsi tanto sulla crudeltà del sangue, che inevitabilmente sarebbe saltato agli occhi del fruitore, quanto sulla sofferenza fisica e psicologica delle protagoniste, sulla distruzione della dignità personale, sulla disperazione dipinta sui volti deturpati dal dolore e dalla delusione.
Le inquadrature, dall’alto, dal basso, a seconda dei casi, la resa dei particolari, la luce e le ombre studiate per rendere la drammaticità del momento, i corpi scomposti delle vittime, ritratti nelle posizioni più assurde ed inquietanti trasmettono tutto l’orrore che si nasconde dietro una concezione distorta dell’amore.
Simolo ha lavorato insieme ad attrici, artisti o semplicemente persone che hanno aderito all’idea di farsi fotografare, per mettere in scena una sorta di “psicodramma”, in cui la violenza subita viene riproposta per dare la possibilità allo spettatore di identificarsi in quel contesto e prenderne le distanze, far riflettere e al contempo avvisare le donne sui pericoli che corrono nel fidarsi delle persone sbagliate, ma anche permettere a coloro che hanno vissuto realmente situazioni del genere di iniziare un percorso catartico di liberazione dal dolore, dai complessi di colpa, dalla bassa autostima.
In effetti, come è venuto chiaramente a galla dai dibattiti, esiste un substrato culturale molto complesso, che spinge l’uomo e la donna a comportarsi, talvolta inconsapevolmente, in un certo modo.
Alla base c’è una percezione alterata della realtà, con persone fragili, cresciute in ambienti aggressivi e deficitari di amore, che si convincono che la gelosia sia un segno di appartenenza, o si incolpano di aver scatenato le reazioni esagerate dell’altro, costantemente perdonato e accolto, dando origine ad un crescendo di rabbia che parte magari da un insulto, uno schiaffo e piano piano degenera in veri e propri attacchi fisici.
In un certo senso Simolo ha creato un laboratorio in cui fotografo e protagonisti dello scatto interagiscono insieme e studiano location, posizioni, espressioni, per trasmettere, anzi gridare un messaggio chiaro ed inoppugnabile, una denuncia di quanto accade quotidianamente talvolta in ambiti insospettabili.
Colpisce la sottile analisi psicologica dell’autore che attraverso l’obiettivo sintetizza in un’immagine una miriade di sfumature, di atteggiamenti, di contraddizioni. Colpisce il fatto che le donne delle fotografie siano tutte bellissime oppure anziane, a significare che la violenza, purtroppo, non guarda all’età e lascia strascichi per tutta la vita.
“Obiettivo no violence” è un progetto che Michele Simolo ha ideato casualmente un 25 novembre di circa dieci anni fa, quando era stato invitato ad un evento per la giornata contro la violenza sulle donne.
Ascoltare le testimonianze delle persone intervenute ha fatto “scattare” in lui il desiderio di contribuire con quello che sapeva fare meglio, le fotografie ed i filmati, per spingere a denunciare, ma anche per prevenire o fornire un supporto legale a chi ne aveva bisogno. Michele ha portato le sue fotografie nelle scuole, nelle mostre, in televisione, ha ascoltato tante storie, ha costituito questa associazione no profit, ricevendo il contributo di avvocati, psico terapeuti che gratuitamente mettono a disposizione le loro competenze per chi si trova in questi frangenti e spesso non ha i mezzi per difendersi.
Concludendo “Obiettivo No Violence” vuole svolgere una funzione espressiva, artistica terapeutica e sociale, in cui la fotografia diventa uno strumento per dare voce, per riflettere, per educare e magari “guarire” quella malattia culturale che si chiama maschilismo e che è ancora troppo radicata anche in Occidente.
Di fronte a questi scatti viene da chiedersi “Ma davvero la bellezza salverà il mondo o in questo caso è una colpa?”
Rita RANDOLFI Roma 20 Marzo 2022