Niccolò Tornioli, l’indagine di Rita Randolfi su un artista di primo piano nella scena romana nel quarto e quinto decennio.

di Luca BORTOLOTTI

Rita Randolfi, Niccolò Tornioli, TAU Editrice, Todi 2022, pp. 228 [FIG. 1].

Dopo la notevole stagione tardo (o post) manierista, che ebbe i suoi alfieri in Francesco Vanni e Ventura Salimbeni, e una fase più marcatamente naturalista, il cui capofila fu ovviamente Rutilio Manetti, seguito dal fratello Domenico, Francesco Rustici e Astolfo Petrazzi, la gloria della pittura senese nel pieno Seicento fu assicurata dapprima dalle eccellenti mani di Niccolò Tornioli e poi, in piena età barocca, da quelle di Bernardino Mei.

Su tutti questi artisti, di indiscutibile rango, hanno fatto luce a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo soprattutto gli studi, non meno approfonditi che amorevoli, di Marco Ciampolini, culminati negli insostituibili tre monumentali volumi pubblicati nel 2010, Pittori senesi del Seicento. Da allora non sono mancate pubblicazioni e mostre volte ad approfondire temi e protagonisti della scuola senese dell’epoca (a memoria ricordo almeno Casolani, Vanni e da ultimo Rustici): ma, se non erro, pressoché nessun volume monografico che si impegnasse a fare il punto sulla biografia e l’opera di uno specifico autore (il recente studio di Giulia Martina Weston, dedicato proprio a Tornioli, essendo specificamente riservato al tema della committenza).

Giunge ora a interrompere questa singolare vacanza il lavoro di Rita Randolfi qui in oggetto, che, pur non particolarmente ponderoso, affronta esaurientemente la ricognizione di tutte le questioni principali che riguardano l’artista, mettendo a disposizione degli studiosi uno strumento che fissa un affidabile punto fermo per ogni futura ricerca. Che Tornioli lo richiedesse è fuori discussione, come provano il livello dei suoi committenti e il suo ruolo sulla scena romana nel quarto e quinto decennio, ma soprattutto la qualità assoluta delle sue opere principali, in primis quelle ancor oggi conservate alla Galleria Spada: la Carità romana, il Caino e Abele, il Sacrificio di Mirtillo [FIGG. 2-4] e soprattutto i celeberrimi Astronomi, tra le opere più affascinanti della pittura italiana del Seicento.

2 Niccolò Tornioli Carità Romana
3 Niccolò Tornioli Caino e Abele
Niccolò Toirnioli, Il sacrificio di Mirtillo

La studiosa si era già occupata in passato del fondamentale capitolo dell’attività capitolina del pittore e dei suoi cruciali rapporti con la famiglia Spada, soprattutto con Virgilio. Con questo testo, però, ci mette a disposizione uno strumento di lavoro completo, che ha il suo cardine nel catalogo ragionato, con un’approfondita schedatura di 44 dipinti considerati autografi, due bozzetti, gli affreschi dell’anticamera di san Filippo Neri presso Santa Maria in Vallicella e un piccolo corpus di 6 disegni. Completano il catalogo 2 tele riferite alla bottega, 10 dipinti rubricati come di autografia incerta, 13 espunti, più un’appendice in cui viene dato conto di 6 nuove attribuzioni al Tornioli di opere recentemente riemerse agli studi (solo due delle quali, purtroppo, documentate fotograficamente).

L’ampio testo che precede il catalogo ragionato si articola abbastanza canonicamente, prendendo avvio dal capitolo relativo alla fortuna critica del pittore, in cui spicca la penuria di notizie provenienti da fonti seicentesche, per quanto utili a ricavare alcuni dati sicuri sulla carriera dell’artista: dalla relativamente breve e poco fortunata attività senese ai primi incarichi rilevanti dovuti al cardinale Maurizio di Savoia e al conte Federico Borromeo (al quale si deve l’arrivo a Roma del Tornioli), sino al cruciale incontro con Virgilio Spada. Cenni significativi sul pittore si rinvengono piuttosto nella letteratura artistica settecentesca (Titi, Bottari, Baldinucci e Della Valle): ma la vicenda critica dell’artista è principalmente legata alla decisa fioritura degli studi sulla pittura senese del Seicento che ha avuto avvio negli ultimi decenni del secolo scorso e a cui la mostra Bernardino Mei e la pittura barocca a Siena, a cura di Fabio Bisogni e Marco Ciampolini, tenutasi a Siena fra 1987 e 1988, ha dato un significativo impulso.

5 Niccolò Tornioli Crocifissione

Il capitolo seguente della monografia è riservato alla formazione del Tornioli nel contesto della coeva scena artistica senese. Poche le notizie certe al riguardo: la Randolfi si allinea cautamente alla plausibile, seppur ipotetica, tesi di una fase di apprendistato presso Francesco Rustici, artista culturalmente assai aggiornato grazie ai lunghi e reiterati soggiorni nell’Urbe, dove il suo linguaggio pittorico si era potuto arricchire di stimoli tanto caravaggeschi quanto classicisti. Come che sia, gli anni senesi di Tornioli furono incredibilmente avari di soddisfazioni, con l’unico relativo successo della pur acerba Crocifissione, eseguita tra 1631 e 1632 per la chiesa di San Niccolò in Sasso, ancora incerta fra suggestioni baroccesche, reniane e timide aperture naturaliste [FIG. 5].

Il successivo approfondimento della lunga stagione romana del pittore ci porta decisamente nel vivo della sua produzione maggiore e dei suoi committenti di più alto prestigio, a partire dal conte Federico IV Borromeo, che in seguito avrebbe percorso la carriera clericale sino a essere creato cardinale nel 1670. Come già accennato, fu con quest’ultimo che Tornioli raggiunse Roma al principio del 1635. Ma, come emerge dallo scambio epistolare del pittore con l’amico Andea Cioli, segretario del Granduca Ferdinando II, i rapporti umani e lavorativi col Borromeo furono piuttosto travagliati, caratterizzati da pretese al limite della tirannia da parte dell’alto prelato, sino alla rottura del legame professionale nei primi mesi del 1636: in tempo, comunque, per far vedere la luce a opere significative del pittore, come la Visione di San Giovanni a Patmos e il San Sebastiano curato dalle pie donne [FIGG. 6-7], entrambe di proprietà della Pinacoteca del Castello Sforzesco a Milano.

6 Niccolò Tornioli Visione di San Giovanni a Patmos, Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco
7 Niccolò Tornioli, San Sebastiano curato dalle pie donne, Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

Nel 1637, a sancire il sempre migliore inserimento di Tornioli nella vita artistica capitolina, prese avvio il rapporto di committenza col cardinale Maurizio di Savoia, amico di Federico III Borromeo e del medico senese Giulio Mancini, grande conoscitore e storico della pittura romana dell’epoca. Dal Savoia il pittore ricevette il prestigioso incarico di realizzare il progetto per gli apparati effimeri in occasione dell’entrata trionfale nell’Urbe del nuovo imperatore Ferdinando III d’Asburgo. Sebbene il rapporto col cardinale Maurizio fu di breve durata, esso fu propedeutico alla crescita professionale del pittore, sigillato dalle nuove relazioni con i Barberini e con artisti del rilievo di Algardi, Mochi e Pietro da Cortona. In questi anni Tornioli mostra una più matura riflessione sulla lezione di Caravaggio (nonché, in subordine, una certa influenza di Manfredi, Spadarino e Riminaldi), come si nota in modo flagrante, tra l’altro, nella Vocazione di San Matteo oggi al Musée des Beaux Arts di Rouen [FIG. 8].

8 Niccolò Tornioli, Vocazione di San Matteo, Rouen, Musée des Beaux Arts.

Fu così che, nel 1643, si arrivò all’incontro con gli Oratoriani della Vallicella, grazie anche a un’efficace opera di autopromozione compiuta dal pittore. Nacquero allora i notevoli affreschi per la cosiddetta Anticamera rossa di San Filippo, raffiguranti nell’ovale centrale la Madonna che risana san Filippo Neri in punto di morte [FIG. 9] e attorno a questo altri episodi della vita del santo.

9 Nuìiccolò Tornioli, Madonna che risana san Filippo Neri in punto di morte, Roma, Anticamera rossa di San Filippo

Proprio grazie alla frequentazione con l’ambiente oratoriano Niccolò ebbe l’occasione di entrare in contatto con Virgilio Spada e, tramite questi, avviare anche la felice partnership con il fratello, il ricco e potente cardinale Bernardino, che, il 14 novembre dello stesso 1643, gli acquistò ben sette dipinti per la ragguardevole cifra di 200 scudi.

Grande spazio, inevitabilmente, viene riservato da Randolfi al rapporto con Virgilio Spada, a cui si deve nel 1645 la commissione, oltre che del Caino e Abele oggi presso la Galleria Doria Pamphilj in Roma, dei celeberrimi Astronomi (Roma, Galleria Spada, FIG. 10), da molti punti di vista il capolavoro assoluto del pittore:

10 Niccolò Tornioli, Gli Astronomi, Roma, Galleria Spada

una sorta di idealizzata traslazione pittorica della controversia fra le teorie eliocentrica e geocentrica, alla quale vengono convocati nel ruolo di protagonisti Aristotele, Tolomeo, Copernico e Galileo, circondati da varie figure allegoriche: una composizione complessa che trasse probabilmente spunto dal frontespizio ideato da Stefano Della Bella per la prima edizione del Dialogo dei massimi sistemi di Galileo (Firenze, 1632).

Nella sua studiata articolazione tematica, il dipinto testimonia in Tornioli uno spessore intellettuale non comune, per quanto sia senz’altro da ipotizzare un ruolo significativo svolto da Virgilio nella definizione del suo programma iconografico. Virgilio fu del resto una personalità di spicco assoluto della vita intellettuale romana nel secondo quarto del Seicento: collezionista di antiquaria, naturalia e mirabilia, fu cultore di matematica, scienze naturali, musica e astronomia, nonché principale artefice della formazione della celebre raccolta di pittura di famiglia.

11 Niccolò Tornioli, Lotta di Giacobbe con l’angelo, Bologna, chiesa di San Paolo

Il suo rapporto con Niccolò fu certamente speciale, frutto di una rara sintonia intellettuale e capace di determinare in gran parte le fortune di cui godette il pittore negli ultimi anni di vita. Ancora Virgilio, tra l’altro, gli commissionò tra il 1647 e il 1648, le due notevoli tele d’altare per la cappella di famiglia nella chiesa di San Paolo a Bologna, Caino e Abele e la Lotta di Giacobbe con l’angelo [FIG. 11].

All’appoggio ormai consolidato degli Spada si aggiunse, di lì a pochi anni,  quello non meno prestigioso dei Pamphilj, sino a permettergli di guadagnare, nel 1647, un’ambita commessa da parte della Reverenda Fabbrica di San Pietro per la realizzazione dei cartoni dei mosaici e del fregio della cupola della cappella del Santissimo Sacramento: un’impresa, peraltro, che si sarebbe conclusa ingloriosamente per il Tornioli, rimosso infine dall’incarico con l’accusa di aver eseguito l’opera non a mosaico, come previsto (tecnica di cui in effetti egli non vantava alcuna esperienza), ma in pittura: una vicenda tanto controversa quanto interessante nell’ottica dell’analisi delle dinamiche produttive e commerciali della Roma barocca, che, sebbene già nota agli studi, viene ricostruita dalla Randolfi in modo assai dettagliato.

Il catalogo ragionato presenta per ogni opera ampie e accurate schede, che combinano come si conviene ricostruzione documentaria, analisi iconografica e lettura stilistica, sebbene non sarebbe spiaciuto un più approfondito resoconto della letteratura critica precedente. La sequenza prevalente delle opere certe è inframezzata da un piccolo nucleo di inediti e nuove proposte, che purtroppo il volume documenta solo attraverso foto b/n, di qualità talora modesta: e invero sarebbe stato apprezzabile un corredo iconografico che includesse un numero maggiore di tavole a colori, considerando anche la contenuta quantità di opere autografe proposte in catalogo e, non ultimo, il prezzo piuttosto elevato al quale il volume, con copertina flessibile, viene proposto in vendita (€ 80). Decisamente commendevoli gli apparati a complemento della monografia: dalla capillare appendice documentaria, agli indici delle opere e dei nomi, sino a un’esaustiva bibliografia.

Senza l’ambizione di costituire l’impossibile monografia “definitiva” su Tornioli, o di promuovere una lettura radicalmente nuova della sua produzione, la fatica di Rita Randolfi ben restituisce la posizione non facilmente circoscrivibile, e in ultima analisi decentrata, occupata dall’artista sulla formidabile piazza capitolina nei decenni che sanciscono il tramonto della stagione caravaggesca e l’avvento trionfale della civiltà del barocco.

La monografia di Randolfi ci restituisce così un artista complesso, non sempre facile, né di immediato appeal, di forte e riconoscibile personalità eppure percepibilmente legato a vari e diversi orientamenti della pittura italiana della sua epoca, talora perfino in conflitto tra loro.

Fu Tornioli un pittore senese o romano? Fu Caravaggesco, classicista o Barocco? Tornioli non si lascia incasellare e proprio la difficoltà ad iscriverlo pienamente all’interno di specifiche scuole, tendenze e tradizioni figurative – con la conseguente trascuratezza nei suoi confronti della coeva letteratura artistica – può forse essere considerata la ragione prima della sua relativamente modesta notorietà e considerazione nell’Olimpo dell’arte italiana del XVII secolo.

Luca BORTOLOTTI  Roma  17 Settembre 2023