di Nica FIORI
Quando l’8 gennaio del 1198, in un ambiente del Settizonio sul Palatino, fu eletto papa all’unanimità il cardinale Lotario, dei Conti di Segni, egli assunse il nome di Innocenzo III (1198-1216). Era figlio del conte Trasmondo, di antica stirpe di signori del Lazio che avevano i propri beni ad Anagni e a Ferentino, ma soltanto a partire da allora il titolo di conte divenne il cognome fisso della famiglia: de Comitibus o dei Conti, come ci fa sapere Gregorovius nella sua Storia della città di Roma nel Medioevo.
Per quanto molto giovane (era nato nel 1160), il neo eletto aveva una solida base teologica e culturale, avendo studiato teologia e arti liberali a Parigi e diritto a Bologna, ed era convinto assertore della pienezza della sovranità del papa, che a Roma con gli ultimi pontefici era un po’ svanita. Egli divenne, sempre secondo Gregorovius
il vero Augusto del papato, sicuramente uno degli uomini più importanti del Medioevo, statista dall’intelligenza penetrante, sacerdote pieno di sincero ardore di fede e al tempo stesso dotato di sconfinata ambizione, tanto che egli fece del papato una forza così potente che la sua corrente irresistibile trascinò necessariamente con sé gli stati, le chiese, la società civile.
A questo pontefice è dedicata la bella mostra “BRONZO & ORO. Roma, Papa Innocenzo III: racconto immersivo di un capolavoro”, a cura di Alessandro Tomei, uno dei massimi studiosi dell’arte del Duecento e Trecento.
L’esposizione, ospitata fino al 1° ottobre 2023 nel Vittoriano, nella Sala Zanardelli, è incentrata sulla Lunetta della Nicchia dei Palli: un raro manufatto di oreficeria medievale in bronzo dorato, che attualmente è la più importante opera d’arte connessa a Innocenzo III e costituisce una preziosa testimonianza della decorazione perduta della San Pietro medievale.
Racconta a questo proposito il curatore Tomei:
«Nel corso dei lavori di riedificazione della basilica in età rinascimentale venne integralmente cancellato l’immenso patrimonio di opere d’arte che per più di un millennio erano state commissionate da papi, cardinali, re, principi, per rendere sempre più sontuoso il luogo dedicato al santo. Ne rimane parziale memoria nelle fonti grafiche e scritte e, nello svolgersi dei lavori, pochi frammenti di quelle opere si salvarono, a volte essendo trasferite nelle Grotte Vaticane, a volte acquisite da prelati che le trasferirono, per conservarle, nelle chiese di famiglia, anche fuori Roma».
La lunetta, in particolare, è stata conservata per lungo tempo nel Santuario di Santa Maria delle Grazie in Venturella (più nota come Mentorella) a Capranica Prenestina e solo nella seconda metà del secolo scorso venne depositata a Palazzo Venezia.
Realizzata nel primo decennio del XIII secolo da maestranze di Limoges che al tempo risiedevano a Roma, la lunetta, in bronzo dorato con inserti a smalto, è lavorata su entrambi i lati. Sul recto la lamina mostra a rilievo dodici personaggi dell’Antico Testamento e i dodici apostoli e, al centro, il Cristo è raffigurato come Agnello di Dio e Porta della Salvezza (vi si legge infatti: Ego sum ostium in ovile ovium, che letteralmente vuol dire “Io sono la porta per l’ovile delle pecore”) ed è circondato dai simboli degli Evangelisti, tratti dal Libro dell’Apocalisse. Al di sopra, è raffigurato entro un clipeo il trono vuoto di Cristo, su cui è appoggiata la mitra, il copricapo dei vescovi. Si tratta dell’Etimasia, simbolo della seconda venuta di Cristo, il quale siederà su quel trono dopo il Giudizio Universale.
Sul verso della lunetta si trovano, invece, figure di vescovi entro arcate su colonne, eseguite a incisione, e al centro la raffigurazione di un pontefice con mitra e pallio (presumibilmente lo stesso Innocenzo III) e dello Spirito Santo sotto forma di colomba.
Secondo alcuni studiosi, la lunetta in origine coronava la cosiddetta Nicchia dei Palli, situata nella Confessione (luogo che segnala la tomba di San Pietro) dell’antica basilica vaticana, al di sotto dell’altare maggiore. La nicchia serviva per collocarvi i palli, ovvero quelle strisce di lana, decorate con croci, che il pontefice donava e dona tuttora agli arcivescovi metropoliti in segno di onore e di giurisdizione, e si indossano sulle spalle a ricordare la pecorella smarrita che il Buon Pastore mette sulle spalle per ricondurla al gregge.
Queste stole bianche vengono consegnate nel corso di una solenne cerimonia di vestizione la sera del 28 giugno, vigilia della festa dei santi patroni di Roma Pietro e Paolo. Secondo una consuetudine plurisecolare sono tessute dalle monache di Santa Cecilia in Trastevere con la lana di due agnellini, allevati dai monaci trappisti delle Tre Fontane e benedetti nella basilica di Sant’Agnese fuori le mura il 21 gennaio, in occasione della festa della santa, il cui simbolo iconografico è proprio un agnello.
Intorno alla lunetta, la mostra ricostruisce e narra la figura di un papa capace di condizionare l’intero Medioevo. Viene ricordato anche da Dante (nell’XI canto del Paradiso), in particolare, che fu lui ad approvare nel 1209 la prima Regola di San Francesco, evento centrale della spiritualità del tempo, divenendo anche il protagonista di un episodio della Legenda major, la biografia di Francesco redatta da Bonaventura da Bagnoregio. La Legenda racconta di un sogno in cui il papa vide la basilica di San Giovanni in Laterano (la cattedrale di Roma) in rovina, che veniva miracolosamente sostenuta sulle spalle da un uomo poverello, ovvero Francesco, il cui operato avrebbe tanto contribuito al risanamento della Chiesa. Episodio questo raffigurato da Giotto nella basilica superiore di Assisi, insieme all’Approvazione della Regola, dove Innocenzo III appare mentre benedice Francesco.
Un altro personaggio che incontriamo è Federico II di Svevia, di cui Innocenzo III fu tutore e ne favorì l’elezione come re di Germania nel 1212, in opposizione a Ottone IV: elezione che avrebbe poi portato Federico a essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. Nella concezione di Innocenzo III la pienezza del potere pontificio derivava direttamente da Dio, mentre quello dell’imperatore derivava sì da Dio, ma attraverso il suo vicario, cioè il papa, che pertanto aveva un’autorità superiore a qualsiasi altro potere.
Proprio sul concetto della supremazia e del potere della Chiesa di Roma era incentrata l’iconografia del mosaico absidale della basilica di San Pietro in Vaticano, che egli fece rinnovare, ma che non ci è pervenuto, a parte tre frammenti (il ritratto di Innocenzo III, la Fenice, con il capo coronato dal disco solare, e l’Ecclesia romana), e di altri elementi decorativi della basilica, di cui la lunetta faceva parte.
Possiamo farci un’idea della decorazione musiva dell’abside prima della sua demolizione, grazie a un disegno di Giacomo Grimaldi (conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana), che mostra nella parte superiore del catino Cristo in trono tra San Pietro e San Paolo, mentre inferiormente un corteo di agnelli, che escono dalle città sante di Gerusalemme e Betlemme, convergono verso il monte solcato dai quattro fiumi paradisiaci, affiancato dalle figure di Innocenzo III e dell’Ecclesia. Il nuovo mosaico di Innocenzo III proponeva, quindi, la sostituzione della Traditio legis paleocristiana con la Maiestas Domini e la figura del pontefice, raffigurato sullo stesso piano dell’Ecclesia, contribuiva a lanciare un preciso messaggio di potere.
Altri interventi innovativi a Roma, che vengono ricordati in mostra, sono la copertura argentea dell’icona del Salvatore, ritenuta acheropita e conservata nella cappella del Sancta Sanctorum al Laterano (ora inserita nell’edificio della Scala Santa), e la costruzione della Torre dei Conti, come abitazione fortificata della sua famiglia, nel Foro della Pace. Si ricorda anche che Innocenzo III sancì la fondazione nel 1204 dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia, nei pressi della basilica di San Pietro, mentre nel 1209 donò la chiesa e il monastero di San Tommaso in Formis all’Ordine della SS. Trinità, che si occupava del riscatto dei prigionieri e della cura degli infermi.
Fuori Roma si ricorda, invece, la prima significativa trasformazione del Sacro Speco di Subiaco, fondato da San Benedetto, dove il pontefice soggiornò nel 1202. È di quell’anno una bolla, nella quale concedeva speciali privilegi al monastero del Sacro Speco, il cui testo è riprodotto in un affresco celebrativo sublacense, sorretto da un lato da San Benedetto, davanti al quale è inginocchiato l’abate Romano, dall’altro dal pontefice, col nimbo quadrato dei viventi. Nella lunetta alla fine del Duecento il magister Consolus aggiunse una grande immagine del papa.
La mostra, caratterizzata da gigantografie e da pannelli con testi leggibili e comprensibili da tutti, termina con la visita emozionante della Sala Immersiva. Grazie a un’installazione realizzata con le più moderne tecnologie di modellazione digitale 3D e realtà virtuale, l’antica basilica di San Pietro si materializza sulle pareti e sul pavimento, così come doveva apparire ai tempi di Innocenzo III. Il visitatore si trova così catapultato all’interno della basilica medievale, ricostruita grazie allo studio di antiche fonti iconografiche e descrizioni dell’epoca. Mantenendo un solido rigore scientifico, l’installazione intende evocare un passato lontano e coinvolgere lo spettatore in un susseguirsi di immagini, suoni e animazioni varie.
Questo evento, a ingresso gratuito, rientra nel ricco programma di conoscenza dell’immenso patrimonio culturale che il VIVE (Vittoriano e Palazzo Venezia), costituito nel 2020 e diretto da Edith Gabrielli, sta lanciando con riaperture, ristrutturazioni, riallestimenti e mostre, oltre all’avvio del restauro dell’Altare della Patria e alla rivalutazione di Piazza Venezia come “luogo d’incontro e di attività culturale”.
Nica FIORI Roma 23 Luglio 2023
Vittoriano, Sala Zanardelli, dal 1° giugno al 1° ottobre 2023
Orario: da lunedì a domenica, dalle 9.30 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 18.45)