Il Museo dell’antica Fregellae intitolato al grande archeologo Amedeo Maiuri

di Nica FIORI

A Ceprano il 24 giugno 2017 è stato intitolato all’archeologo Amedeo Maiuri il museo archeologico dell’antica città laziale di Fregellae.

 

Il celebre archeologo Amedeo Maiuri (1886-1963) ha legato il suo nome soprattutto agli scavi di Pompei e di Ercolano, che ha diretto per ben 37 anni. Oltre che archeologo di grande spessore scientifico, egli era allo stesso tempo un uomo di lettere, molto portato per la scrittura, tanto che, a soli sedici anni, aveva già scritto una serie di racconti ambientati nel suo paese di origine, a Ceprano (anche se in realtà nacque a Veroli), in Ciociaria. Proprio nel ricordo di questa sua origine, il Comune di Ceprano (Frosinone) ha deciso di intitolargli il museo archeologico locale e per l’occasione sono stati rievocati gli episodi salienti della sua lunga carriera, ed è stata inaugurata una piccola mostra sulla sua vita nella Torre di Ceprano.

La nuova titolazione è stata l’occasione per visitare il Museo archeologico di Fregellae, diretto da Pier Giorgio Monti, particolarmente interessante perché ci fa conoscere una città romana di età repubblicana, cosa abbastanza rara per la scarsezza di ritrovamenti così antichi in altri abitati ben più appariscenti da un punto di vista monumentale, ma quasi esclusivamente di età imperiale. Il museo ricorda anche il rinvenimento del più antico cranio umano in Italia (è in mostra il calco), databile a 800.000 anni fa, detto l’uomo di Ceprano, o anche Argil, perché ritrovato in uno strato di argilla.

Fregellae, fondata dai romani nel 328 a.C. sulla riva sinistra del Liri, era una colonia di diritto latino che venne parzialmente distrutta nel 125 a.C. dal pretore Lucio Opimio, in seguito ad una rivolta contro Roma. Da allora venne abbandonata, anche se lì vicino si sviluppò l’insediamento di Fabrateria nova, presumibilmente con materiale smontato dalla città vecchia.

Gli scavi di Fregellae iniziarono nel 1978 nel territorio di Arce e proseguirono soprattutto negli anni ‘80 del secolo scorso sotto la direzione scientifica di Filippo Coarelli. Sono venuti così alla luce l’area del foro, alcuni santuari sia urbani che extraurbani e una zona residenziale che si sviluppa lungo un asse principale nord-sud, da identificare probabilmente con un tratto della via Latina. Al di sotto di esso è stato individuato un acquedotto le cui pareti sono realizzate con blocchi di tufo, mentre come fondo e come copertura sono state usate lastre di calcare. Le domus erano abbastanza omogenee, anche se di diversa grandezza, caratterizzate da un grande atrio, con impluvium al centro per la raccolta dell’acqua, e dotate di un piccolo giardino (hortus) sul retro.

Nel museo sono esposti esempi dei materiali più significativi provenienti dagli edifici fregellani. Particolarmente interessante è la tecnica dell’opus signinum, usato come rivestimento, che creava l’effetto di un tappeto a due colori con l’inserimento di tessere bianche inserite nel cocciopesto (ovvero frammenti di cotto amalgamati con malta di calce e sabbia con funzione impermeabilizzante). Un pavimento ha al centro un emblema, raffigurante un fiore a sei petali. Realizzato con tessere a due colori, in calcare e terracotta, è forse il mosaico romano più antico, databile all’inizio del III secolo a.C.

Le decorazioni in terracotta testimoniano l’esistenza di un notevole artigianato di questo tipo nel territorio fregellano. Una bellissima serie di maschere teatrali ad altorilievo spicca per l’ottimo stato di conservazione: era relativa a un tablinum, l’ambiente di rappresentanza della casa, dove erano conservati i documenti della famiglia (tabulae). Le maschere sembrano confermare un’attività teatrale cittadina, già nota per l’esistenza del fregellano Terenzio Libone, autore di commedie proprio come il più noto Publio Terenzio, che invece era nato a Cartagine.

Come decorazione dei tablini vi erano pure fregi di tipo eroico-militare, che possono essere considerati tra i primissimi esempi di rilievi storici romani. In uno sono raffigurate due navi, una in entrata e l’altra in uscita dal porto, che alludono evidentemente a una battaglia navale. Essendo Fregellae lontana dal mare, non dovevano essere state molte le occasioni di battaglie di questo tipo. Come ha spiegato Pier Giorgio Monti, si potrebbe pensare alla guerra in oriente contro Antioco III, e in particolare alla battaglia navale di Mionneso del 191 a.C. La presenza di un elefante, invece, è una chiara allusione alla battaglia di Magnesia dell’anno successivo. In un altro fregio sono illustrati i trofei sottratti ai nemici, in particolare il tripode sacro ad Apollo (onfalos). Anche in questo caso si può pensare alla vittoria su Antioco III, che aveva come divinità tutelare proprio Apollo.

Con queste decorazioni si volevano evidenziare i servigi resi dall’aristocrazia locale alla città di Roma e allo stesso tempo ricordare e celebrare il valore e le virtù dei propri antenati.

I manufatti fittili più appariscenti sono indubbiamente i telamoni, o atlanti, relativi a un complesso termale, che si affacciava sulla strada principale con un colonnato. Di questo complesso sono documentate due fasi costruttive, delle quali la prima, relativa alla fine del IV secolo a.C., è l’esempio più antico di terme di età repubblicana che si conosca.

I telamoni esposti nel museo, che recano ancora tracce di colore, dovevano far parte della decorazione in entrambi i periodi costruttivi dell’edificio. Se ne riconoscono, infatti, due tipi differenti, quello di aspetto più giovane appartenente alla fase più antica, e l’altro, più vecchio, appartenente a quella più recente.

Una sala del museo è dedicata al luogo di culto più importante di Fregellae, ovvero il santuario di Esculapio, esterno al centro abitato. Trattandosi del dio della medicina, il santuario ha restituito diverse migliaia di pezzi di materiale votivo, depositato in un lungo arco di tempo sin dalla fase in cui non aveva ancora l’aspetto che conosciamo. Il grandioso complesso templare era posizionato su una collina, in modo da poter controllare una delle strade di accesso alla città, ma di esso rimangono soltanto le fondazioni dei muri laterali. Il plastico ricostruttivo esposto nel museo mostra un tipico santuario di derivazione ellenistica, articolato scenograficamente su più livelli, con il tempio e una cavea teatrale sulla terrazza superiore. Si tratta di un’architettura che trova il suo prototipo nei santuari di Lindos, Delos e Cos e che nel Lazio si ritrova in altri santuari coevi a quello di Fregellae, come quello di Ercole a Tivoli e quello di Giunone a Gabii, accomunati dalla presenza di una cavea teatrale davanti al tempio. Da considerare successivo è, invece, quello della Fortuna Primigenia a Praeneste.

La dedicazione a Esculapio del santuario, realizzato probabilmente nel 189 a.C., risulta dal ritrovamento di un’epigrafe incisa su un altare, rinvenuta in tre frammenti nell’area. Ma già in precedenza il sito era dedicato a un’altra divinità guaritrice e salvifica, Salus, come attestato dal rinvenimento di una statuetta fittile col nome della dea. Salus corrisponde alla greca Igea, il cui culto era associato a quello del greco Asclepio, corrispondente a sua volta al dio romano Esculapio.

di Nica FIORI     giugno   2017