L’eterno battito di ciglia; il fascino del volto femminile nell’arte di Michelino Iorizzo

di Carmen d’ANTONINO

L’ETERNO BATTITO DI CIGLIA

Michelino Iorizzo è un Artista romano che esprime la sua forza espressiva attraverso la realizzazione di volti femminili, che dominano tele di ogni dimensione con una tecnica altrettanto innovativa.

Tempera grassa ed olio su carta kraft incollata successivamente su tavola, con la successiva definizione pittorica dei dettagli. La sua tela presenta più ritratti su carta, sovrapposti, incollati l’uno sopra l’altro, indice di una irrequietezza creativa, di ripensamenti e modifiche, fino al raggiungimento del risultato desiderato.

Tuttavia gli strati sottostanti riacquisiscono la loro fondamentale importanza attraverso un processo di rivelazione che il pittore attua asportando parti della superficie attraverso la spatola.

I ritratti nascono dalla fantasia e dall’immaginazione del pittore, fotogrammi dei sogni più profondi dell’artista, riportati in superficie con un velo di mistero, eppure così concreti e realistici negli sguardi penetranti, nelle labbra socchiuse, nel battito delle ciglia, nelle espressioni incerte, spesso sorprese quasi a volerci rivelare un segreto nascosto.

Michelino Iorizzo, Luce, cm 70 x 67, 2022

Da sempre, nell’arte, la donna è stata fonte d’ispirazione per vari artisti, così come per molti scrittori che, attraverso i secoli, l’hanno immortalata in memorabili versi o in splendide opere d’arte. Andando alla ricerca di volti femminili e raffigurazioni, uno dei dipinti più affascinanti della donna nell’arte che si avvicina per l’assoluta eleganza a quelli di Michelino Iorizzo è la “Ragazza con l’orecchino di perle” di Vermeer.  Da più parti nella moderna critica, è stato ipotizzato che questo dipinto sia, in realtà un finto ritratto e che l’immagine sia di pura fantasia. L’opera sarebbe insomma una tronie, una sottocategoria della ritrattistica dell’Epoca d’Oro olandese, che raffigura volti d’invenzione e non persone reali. Nelle opere di Iorizzo è evidente la matrice dell’arte fiamminga, nell’attenzione particolare ai giochi di luce che, in maniera silenziosa, accendono i copricapi di tocchi sgargianti di colore contrastando con il vivace e naturale scintillio degli occhi delle diverse figure femminili. Le labbra sono rappresentate delicatamente carnose, dischiuse in un accenno di sorriso, donando ritratti intensi e intimamente veri.

Michelino Iorizzo, I giardini di marzo, cm 80 x 94, 2022

I suoi ritratti presentano una composizione equilibrata e misurata.  Le donne da lui raffigurate assumono pose eleganti ed armoniose. Si respira quel concetto di “bellezza ideale” da uno spiraglio di luce, di uno sguardo che ci porta oltre l’infinito, di mondi immaginari che nutrono l’artista e che egli rende reali. Michelino Iorizzo può essere, infatti, considerato l’erede dei maestri classici e fiamminghi con un tocco di contemporaneità; nelle sue opere ogni viso, se ci si sofferma a leggerlo, svela delle storie, dando vita ad una pittura che provoca un dialogo riflesso con l’osservatore, una pittura che va vissuta con il cuore e non con gli occhi.

La sua pittura nasce dallo stesso pennello e dallo stesso rigore della scrittura e le tecniche artistiche sono il risultato, sempre, di una raffinatissima semplificazione e di una lunga pratica riflessiva di auto dominio.

 L’artista, come il saggio, opera in un’atmosfera che nasce da una profonda meditazione, da un ‘artisticità’, dunque, che è nella vita e nel pensiero e che traccia il proprio segno come vita e del pensare. Per una tale configurazione dell’esperienza artistica, si coglie un altro degli aspetti fondamentali dell’arte, per cui essa è visione: una visione nel senso forte del termine; di un lampo improvviso di luce che penetra, per tutte le fibre, la cosa nel suo essere. Entro certi limiti potremmo dire che l’artista è in bilico, costantemente, tra le leggi della fisiognomica che conosce bene, con l’impegno a rispettarne i canoni e l’interpretazione del modello, man mano che lo ritrae e conosce.

Michelino Iorizzo, Le tre grazie, cm 45 x 41, 2022

Perché in fondo sente che il suo lavoro ha più senso e significato nel momento in cui riesce a far emergere l’identità profonda della persona ritratta pur soggiacendo alle leggi della rappresentazione pittorica. C’è, indubbiamente, in questa operazione la proiezione dell’io dell’artista sul modello che “serve”, in ogni caso, a creare un ritratto più personalizzato, vissuto. Potremmo dire che tanto più l’artista avrà saputo descrivere nella rappresentazione della figura un’emozione tanto più sarà possibile per chi la guarda e ha provato un analogo stato d’animo, ritrovare nell’opera la medesima sensazione.

E l’emozione può finanche giungere a far rivivere un senso di innamoramento in chi guarda, pensiamo alle figure botticelliane, alle modelle dei preraffaelliti (un viso, uno sguardo, una chioma) che probabilmente richiamano alla mente e al cuore sentimenti provati per persone che abbiamo amato.

Un caso letterario esemplificativo ci viene offerto nel racconto di W. Jensen, Gradiva, dal delirio del personaggio dell’archeologo Norbert Hanold, che si innamora di una fanciulla ritratta in un bassorilievo, proiettando nella bellezza della rappresentazione artistica il suo sentire fino a considerare la figura stessa come una rappresentazione della realtà, restandone ipnotizzato.

Carmen D’ANTONINO  10 Aprile 2022