L’antica religiosità isolana, nei “pozzi sacri” in Sardegna, da Su Romanzesu a Santa Cristina

di Nica FIORI (foto di Francesca LICORDARI)

Diceva Carlo Levi che “andare in Sardegna non è un andare, ma un ritornare” (in Tutto il miele è finito, 1964), nel senso che in questa terra sembra proprio di ritornare alle origini, alla nostra storia più arcaica. La civiltà nuragica sarda, pur mostrando diversi punti di contatto con altre civiltà megalitiche, presenta alcuni aspetti del tutto originali, sia dal punto di vista architettonico e scultoreo, sia da quello cultuale. Monumenti fondamentali per rendere meno oscura l’antica religiosità isolana sono i pozzi sacri, risalenti per lo più al periodo nuragico medio (XIII-X secolo a.C.), ovvero del bronzo recente.

1 Area sacra del pozzo- santuario di Santa Cristina

Se ne contano una trentina, situati soprattutto nella fascia sud-occidentale dell’isola. Uno di essi si trova sotto la chiesetta di San Salvatore di Sinis (frazione di Cabras, in provincia di Oristano), a testimonianza del fatto che il culto dell’acqua si trasmise di età in età fino a essere assimilato dal Cristianesimo, assumendo il significato purificatore e salvifico del battesimo.

In Sardegna è attestata una particolare devozione all’acqua fino dall’età neolitica, in quanto si riconosceva in essa il principio fecondatore e generatore di vita. Scrive a questo proposito Gin Racheli nel suo libro La Sardegna. Un’isola, un mondo (1985):

Per i Nuragici il pozzo sacro era il luogo in cui il dio Toro fecondava la dea Madre … Perciò la struttura architettonica dei pozzi è costituita da una tholos (falsa cupola) di nuraghe che penetra nel terreno emergendone solo in parte, e in un canale verticale che, dalla base della tholos, scende a imbrigliare la sorgente. L’acqua affiorava alla base, alla quale si accedeva dall’esterno mediante una ripida scala coperta …”.

Il pozzo sacro veniva costruito là dove emergeva una vena d’acqua che presentava particolari caratteristiche individuabili dai sacerdoti, come il fatto di trovarsi al centro di molteplici correnti telluriche sotterranee. Una volta scelta la sorgente considerata idonea al culto, intorno a essa veniva consacrata una vasta area, riconosciuta dall’insieme delle tribù circostanti come un luogo sacro “extraterritoriale”, almeno a giudicare dall’assenza di fortificazioni. Nell’area sorgeva un villaggio-santuario con dimore per i pellegrini, un mercato e recinti per le riunioni dei capitribù. È probabile che in queste assemblee si placassero le liti e si sancissero le alleanze, favorite dall’atmosfera sacrale del luogo. Il santuario diveniva così per i Padri sardi un punto di legame non soltanto religioso, ma anche politico e sociale.

Qualcosa di simile dovette accadere a “Su Romanzesu”, un altopiano granitico dall’aspetto selvaggio nel territorio di Bitti (Nuoro). Il nome ha qualcosa di affascinante e misterioso, proprio come il villaggio nuragico che vi si nasconde tra il fittissimo bosco di sughere, ma è dovuto in realtà alla presenza di testimonianze lasciate dai romani in età imperiale (II-III secolo d.C.). Il villaggio, scavato tra la fine degli anni ’80 e il 2001, si estende per oltre sette ettari e comprende un centinaio di capanne, tre templi (due a megaron), una struttura labirintica (interpretata come capanna dello stregone: forse un percorso iniziatico) e un vasto spazio cerimoniale delimitato da un grande recinto.

2 Villaggio nuragico di Romanzesu

Tra gli edifici sacri di Romanzesu quello che colpisce maggiormente la nostra fantasia è proprio il pozzo sacro con la sua tipica struttura a tholos in blocchi di granito.

3 Pozzo sacro di Romanzesu

La disposizione dei blocchi è molto irregolare e poggia sulla roccia da cui sgorga la sorgente. Purtroppo la scala originaria di forma trapezoidale è stata distrutta nel passato e l’acqua sorgiva deviata. Ai margini sono stati riportati alla luce dei betili di granito levigato, simboleggianti la divinità. L’originalità di questo pozzo è che dal vano scala si snodano verso l’esterno delle strutture gradonate terminanti in un grande bacino più o meno circolare. Questa grande vasca, circondata da alti filari di gradini, raccoglieva l’acqua del pozzo quando essa superava il livello della scala e probabilmente era utilizzata per abluzioni rituali e altre cerimonie del villaggio. Gli antichi sardi vi si sedevano come in un anfiteatro per assistere ai riti compiuti dal sacerdote-stregone. Il geografo Solino (III secolo d.C.) riferisce che questo tipo di vasca veniva ancora utilizzata ai suoi tempi per pratiche ordaliche, soprattutto per giudicare di delitti contro la proprietà.

4 Corridoio-canalone gradonato di Romanzesu
5 Bacino gradonato di Su Romanzesu
6 Disegno del pozzo sacro, corridoio e bacino di Romanzesu

Il pozzo nuragico meglio conservato della Sardegna si trova nel complesso sacrale di Santa Cristina a Paulilàtino (Oristano).

7 Villaggio cristiano di Santa Cristina
8 Nuraghe nel villaggio nuragico di Santa Cristina

Percorrendo il sentiero che conduce al villaggio nuragico, immerso in una lussureggiante vegetazione di piante secolari d’ulivo, olivastro e lentisco, si scorgono i resti più recenti di frequentazione del sito, ovvero il villaggio cristiano di Santa Cristina, e proseguendo si giunge all’insediamento più antico che comprende un nuraghe monotorre (diametro di m 13 e altezza residua di m 6), costruito con blocchi di pietra basaltica disposti su filari irregolari, una capanna circolare per le riunioni dei nuragici, una capanna allungata con soffitto di lastroni di basalto (un tempo facenti parte del ballatoio del nuraghe) di epoca successiva.

9 Interno della capanna allungata nel villaggio nuragico di Santa Cristina

Si giunge quindi al tempio a pozzo, che segna il culmine dell’architettura religiosa nuragica, tanto che Giovanni Lilliu, il fondatore dell’archeologia sarda, parlò in questo caso di magistra barbaritas (civiltà barbarica maestra).

 Secondo le ipotesi fatte dagli studiosi questa costruzione, risalente all’XI-IX secolo a.C, attirava folle di devoti da ogni parte della regione, così come adesso attira molti visitatori amanti dell’archeologia misteriosa. Gianfranco Pintore, nella sua guida Sardegna sconosciuta (1986), sostiene che

l’ideale è arrivarvi verso il tramonto, quando la luce darà al pozzo sacro e agli altri edifici megalitici del complesso un fascino del tutto particolare”.
10 Recinto del Pozzo sacro di Santa Cristina
11 Pozzo sacro di Santa Cristina

Quando, alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso, venne riportato alla luce il pozzo, l’ingegnere che ne stava rilevando le proporzioni rimase sconcertato, perché gli sembrava impossibile ottenere tali risultati di perfezione senza una strumentazione moderna.

12 Gradini di accesso al Pozzo sacro di Santa Cristina
13 Interno a tholos del Pozzo sacro di Santa Cristina

La tecnica costruttiva, in effetti, ci riempie di meraviglia per la sua precisione, tanto che le pietre, magistralmente scalpellate, aderiscono tra loro in modo perfetto, al contrario di quanto avviene nelle altre costruzioni vicine. La camera a tholos, larga m 2,5, è costituita da perfetti cerchi concentrici, che si restringono man mano che si procede verso la sommità, che termina con un foro circolare di cm 35 di diametro, e ha un’altezza di m 7. L’acqua del pozzo attualmente ha un livello costante di cm 50. Al suo interno sono stati trovati numerosi oggetti votivi, tra cui una navicella in bronzo e altri bronzetti.

14 Parte superiore del pozzo di Santa Cristina con oculus circolare

Il vano della scala, a forma di trapezio o di triangolo isoscele con uno spigolo tagliato da un lastrone, si raccorda perfettamente con la camera ipogea, creando l’impressione dall’alto di un’apertura di serratura, inserita nel cerchio allungato del recinto esterno: un’apertura che indubbiamente fa pensare a una simbologia magico-sessuale.

Ma la cosa più straordinaria è che questo edificio mostra precise conoscenze scientifiche e astronomiche da parte dei suoi costruttori. Negli anni ’70 del secolo scorso due professori dell’Università di Cagliari, l’antropologo Carlo Maxia e l’astronomo Edoardo Proverbio, hanno ipotizzato che in particolari circostanze la luna viene a specchiarsi per un breve periodo sul fondo del pozzo e, poiché durante i mesi invernali, in particolare in dicembre e in gennaio, questo fenomeno viene a corrispondere al periodo del plenilunio e delle eclissi lunari, si ha che almeno una volta all’anno durante il passaggio al meridiano, circa a mezzanotte, nello specchio del pozzo viene a riflettersi l’immagine della Luna piena. Ciò è stato verificato direttamente da Proverbio in occasione del solstizio invernale del 1972.

I due studiosi hanno riscontrato caratteristiche simili anche in un altro pozzo, quello di Santa Vittoria di Serri (Nuoro), sia pure con qualche incertezza, a causa della mancanza della parte superiore dell’edificio. Maxia e Proverbio sostengono pertanto che:

se le costruzioni nuragiche sembrano strettamente connesse al culto solare e astrale, i pozzi sacri potrebbero essere invece considerati luoghi di osservazione legati al culto della Luna e dell’acqua”.

E poiché alla Luna e all’acqua è legato il ciclo della vita animale e vegetale, queste particolari costruzioni potrebbero essere considerate come luoghi atti a favorire la fertilità nel momento della penetrazione dei raggi lunari, sommando questo effetto cosmico lunare a quello geotellurico dell’elemento acquatico.

Un magnifico esempio di un’ancestrale concezione olistica, che vede una civiltà considerare come un tutt’uno l’armonia del cosmo, la vita umana e i cicli della natura.

Nica FIORI  Cagliari  15 Maggio 2022