L’anima buona della Street Art. Banksy al Chiostro del Bramante

di Giulio de MARTINO

Nella faticosa ripartenza delle mostre di pittura si segnala – a Roma, al Chiostro del Bramante l’ampia mostra dedicata allo street artist e writer inglese Banksy: “Banksy a visual protest” che si visita dall’8 settembre 2020 all’11 aprile 2021. Diverse mostre di Banksy sono state proposte in altre città italiane, ma ognuna ha cercato di proporre una raccolta originale di opere.

Negli studi a lui dedicati Banksy è identificato come “Robert Gunningham  (Bristol 1974)”, ma la sua identità personale rimane ancora largamente misteriosa. Ciò malgrado, è attivo da oltre venti anni e la sua notorietà è divenuta planetaria, innescando – oltre alla querelle intorno alla sua misteriosa figura – un diversificato e ricco mercato delle serigrafie e riproduzioni, insieme ad un imponente merchandising.

Fig.1 Banksy, Rats under the Bridge (Parigi, 2018)
Fig. 2 Banksy, Girl With Balloon (“There is always Hope”), stencil, acrilico su carta (Londra, 2002)

Dopo aver esordito come Writer e Street Artist a Bristol, Banksy si è presto distaccato da questo genere di sottocultura artistica. Si è allontanato dalla street art perché non soffriva dei complessi di inferiorità e delle manie di autoesclusione di molti suoi colleghi. Ha dato al suo logo non un carattere di spersonalizzazione e nascondimento, ma di compiaciuto mascheramento. Come lui stesso ha affermato: «non so perché le persone siano così entusiaste di rendere pubblici i dettagli della vita privata: l’invisibilità è un superpotere». Esplicitando così che la sua è, in realtà, una strategia di invasione e di colonizzazione, non di stanzialità e di localizzazione.

Banksy, inoltre, ha compreso – a differenza degli street artisti da caseggiato – che i muri di mattoni dei palazzi e dei ponti sono ben poca cosa rispetto ai muri virtuali dei display e alla polimorfia delle fotoriproduzioni su oggetti, quaderni, stickers. Questi finiscono sotto gli occhi di centinaia di milioni di persone e non soltanto dei pochi che passano per una strada. Se ha operato a Londra, a Parigi, in Palestina e in diverse città degli USA ha proposto ovunque il medesimo linguaggio replicabile e rivolto al «fanciullino» che è in ognuno di noi.

Fig. 3 Banksy, Keith Haring Dog (Choose Your Weapon) stencil, canvas, 2015.

Banksy lavora con la tecnica dello stencil. Usa sagome di acetato o di cartoncino, prima ritagliate e poi sovrapposte al muro o al supporto seriale. Poi con una bomboletta spray di acrilici colorati – o in bianco o nero – realizza una silouhette. Questa viene poi illuminata e distanziata con il bianco, mentre i particolari più importanti sono colorati con tinte vivaci. La preparazione e l’ideazione dei suoi lavori e complessa e meditata, ma la realizzazione è molto veloce. Le sua azioni di street art vengono poi autentificate tramite il sito “banksy.co.uk” e l’account instagram @banksy prima di finire nel mercato delle serigrafie, dei multipli e dei gadgets.

Quanti hanno cercato – e sono davvero tanti – di costruire un discorso critico sui lavori di Banksy oggi disseminati sui muri di mezzo mondo e riprodotti su ogni tipo di supporto, hanno sottolineato la sua discendenza dalla “pop art” degli anni ’60 e dal “graffitismo” degli anni ‘80. Hanno buoni motivi. L’inconografia di Banksy è molto semplice e popolare. È ricavata da disegni, loghi e grafiche assai comuni, prevalentemente pubblicitarie e fumettistiche. Anche la relazione dei suoi murales al contesto – l’immaginario sociale, i mass-media, la pubblicità – è molto simile a quella dei pop-artisti. Invece il gusto del macabro e del magico, l’oscenità e il primitivismo iconico e cromatico dei graffitisti, gli sono largamente estranei.

Fig. 4 Bansky “Soup Cans”, Offset lithograph on paper, 2006.

Giunti qui, però, le somiglianze di Banksy terminano. Banksy si è allontanato sia dalla Pop art degli anni ’60 che dal Graffitismo degli anni ’80: pur avendone assimilato le categorie. La sua stessa parentela con la street art – pur restando una comoda etichetta – è divenuta più labile e sfumata.

Banksy non è animato né dal nichilismo di Andy Warhol né dal desiderio di celebrità e di successo di Jean-Michel Basquiat: non è entrato in alcun modo nel sistema dell’arte, con le intrusioni della critica, delle gallerie, del mercato. Ha costruito lui stesso il metadiscorso sulle sue opere e lui stesso ha provveduto a gestirne – tramite un piccolo castello di società anonime – la vendita, nelle forme del consumo di massa enon del collezionismo di élite.

Come si è costruito il suo pubblico? Bansky ha come “Leitmotiv” una presunta “lotta al capitalismo” e la critica degli eventi di cronaca politica più efferati e traumatizzanti: la porta avanti in nome di un moralismo e di un sentimentalismo di ascendenza ottocentesca (pensiamo a Charles Dickens e a Hans Christian Andersen). Non trascurerei l’influsso di narratori e moralisti americani come Mark Twain o Harriet Beecher Stowe, anche se Banksy sembra apprezzare di più un certo pensiero vittoriano (e anti-vittoriano) piuttosto che le asprezze della cultura americana.

Fig. 5 Banksy, Smiling Copper, stencil spray paints and acrylic on corrugated cardboard, 200 x 78 cm., 2003

Si tratta di un punto di vista elementare, ma anche di facile presa sui bambini e sulla dimensione più fragile della psicologia degli adulti. Tale sentiment – basato, in sostanza, sul “patetico” e il “commovente” – era stato al centro della letteratura e del cinema, della pubblicità e della letteratura per i ragazzi agli albori dell’industria culturale: alla fine dell’800 e al principio del ‘900. Poi è stato abbandonato – a partire dagli anni ’30 e ancor di più nel secondo dopoguerra – a vantaggio di un più realistico culto della bellezza e del successo, del piacere e della salute. Bansky lo ha resuscitato proiettandolo nel mondo contemporaneo della cronaca televisiva e della rete di internet.

Ciò che più si evidenzia in Bansky è la sua potentissima fantasia e la fervida capacità combinatoria e citazionistica. La sua arte è un sottoprodotto dell’informazione televisiva – per ciò che attiene ai contenuti – e della “web graphic” – per ciò che riguarda l’iconografia – ma l’impasto delle figure, la pulizia esecutiva, l’immediatezza della comunicazione sono folgoranti. Le sue immagini non sono mai equivoche: trasmettono un messaggio semplice, chiaro, gratificante nella sua sgradevolezza. Allo spettatore si chiede un breve sforzo di memoria, una immediata indignazione e il compiacimento per una vignetta “ready made” che non disturba e che fa scaturire non tanto il «questo lo saprei fare anche io», ma un più accettabile: «anche io capisco questo». Chi guarda e apprezza le immagini di Bansky sente di appartenere a una comunità planetaria di buoni e di onesti, di quieti ribelli e di nobili fautori di giuste cause.

La mostra al Chiostro del Bramante, propone circa 100 disegni e serigrafie, con alcuni gadgets e una sala di filmati che documentano il lavoro originario di Banksy come street artist. Nel complesso rilancia lo stereotipo dell’artista ribelle, del Robin Hood dei muri, ma non rinuncia a un discorso analitico e critico e alla impaginazione musealizzante delle opere.

FIG. 6 BANKSY, Sale Ends (today), Screen print on paper, cm. 76 × 56, serigrafia, Pest control, 2006, 2017.

Vi sono evidenziate le citazioni dell’arte pittorica del Rinascimento. Banksy – avendo un concetto largo e inclusivo dell’immagine, che spazia dall’antico al contemporaneo – ha utilizzato spesso immagini tratte da famosi dipinti del ‘500 e del ‘600.

Fig. 7 Banksy, Grin Reaper, 300 signed print (2005)

Anche note immagini fotogiornalistiche – finite nel cosiddetto immaginario collettivo planetario – sono state da lui replicate, decontestualizzate e ricontestualizzate secondo la sua visione della realtà. In generale Bansky è animato da quel senso di ansia e di sventura planetaria che da molteplici parti viene oggi diffuso, ma si sforza di contraddirlo con un gioco di segni e di sogni.

Il linguaggio di Bansky contiene anche elementi prelevati dal retroterra letterario di fine ‘800 (la «letteratura fantastica») come l’effetto trompe l’Oeil e l’umorismo. Sia l’umorismo, che l’illusione ottica non modificano realmente il supporto o la realtà: si limitano a far balenare nella mente dello spettatore il superamento di un limite attraverso un candido meccanismo di stupore e di illusione. Consentono – per qualche attimo – l’eliminazione di un elemento opprimente. Si tratta quindi di un gioco e, come tutti i giochi, è divertente soltanto per quanti vi possono e vi sanno partecipare.

Giulio de MARTINO   Roma 13 settembre 2020

BANKSY A VISUAL PROTEST.

Chiostro del Bramante, Roma. Dall’8 settembre 2020 all’11 aprile 2021.

In collaborazione con 24 ORE Cultura. Ideata da Madeinart. Con il patrocinio di Regione lazio – Assessorato alla Crescita Culturale

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