La storia di Plautilla Bricci, un’artista-donna al tempo di Bernini.

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Plautilla BRICCI Protagonista femminile del Barocco romano (Gangemi Editore)

Il 16 agosto 1616 venne battezzata, nella parrocchia romana di San Lorenzo in Lucina, Plautilla Bricci, terzogenita di Giovanni e Chiara Recupita. Il padre, figlio del materazzaro Giovan Battista, era di origini liguri, mentre la mamma napoletane. Per circa un trentennio Plautilla e la sua famiglia vissero «in strata babuino», dove Giovanni esercitava con successo l’attività di pittore, maestro di musica e commediografo. Plautilla, come pure il fratello minore Basilio, ereditò dal padre la vocazione alla professione artistica, divenendo una delle artiste donne più importanti dell’intera storia dell’arte moderna. Le fonti la ricordano per essere stata «architectura et pictura celebris», accademica di San Luca e per aver esercitato, prima nel mondo occidentale, l’arte maschile dell’architettura. L’importanza del suo ruolo nella Roma del XVII secolo è confermata dai committenti per i quali lavorò, che la decretarono indiscussa protagonista della cultura artistica accanto a personalità come Bernini, Pietro Cortona, Carlo Maratta e molti altri. La famiglia Barberini, il Capitolo Vaticano, la corona di Francia, Elpidio Benedetti, i canonici e le canonichesse lateranensi e le monache benedettine di Santa Maria della Concezione in Campo Marzio sono alcune delle figure principali per le quali la Bricci eseguì alcuni dei suoi più rilevanti e significativi lavori.

L’artista si formò inizialmente a fianco del padre Giovanni, già allievo di Federico Zuccari e del Cavalier d’Arpino, con il quale anche Plautilla completò il suo percorso educativo, come denunciano, spesso molto chiaramente, stilemi stilistici soprattutto dei suoi dipinti giovanili.

Una delle sue prime opere è la Madonna con Bambino, eseguita per la chiesa dei carmelitani di Monte Santo. Il dipinto, ora perduto, è noto grazie all’incisione che nel 1792 Pietro Bombelli realizzò per illustrare la Madonna Coronata di Monte Santo nella sua Raccolta delle immagini della Beatissima Vergine ornate della corona d’oro dal R.mo Capitolo di San Pietro. Nel testo che accompagna l’immagine, Plautilla è descritta come una sorta di enfant prodige, una «giovinetta di buoni costumi» che si intendeva di pittura «per una tal’attività naturale». Si afferma anche che l’artista si era misurata con opere «in piccolo», alludendo forse a miniature, nature morte o quadrucci di piccolo formato che Filippo Baldinucci le attribuisce quando la definisce «rinomata pel valore nell’arte della pittura e architettura».

Dirette ascendenze arpinesche sono riscontrabili nella Sacra Famiglia e l’Eterno Padre, conservata nel complesso della chiesa di Ss. Ambrogio e Carlo al Corso, dove il padre Giovanni ricopriva la carica di prefetto della musica. Nella piccola tela, quasi un esercizio di miniatura, il modo di stendere il colore, saturo e denso, e il modo di rendere la luce provengono dalla conoscenza della cultura artistica arpinesca appresa nella bottega del maestro. L’accostamento dei colori azzurro chiaro/cinabro/bianco; azzurro chiaro/arancio/giallo; giallo-oro/azzurro chiaro, verde chiaro/bianco; azzurro chiaro/rosso mattone/giallo; alizarina/giallo-oro confermano l’apprendistato presso il Cesari. Nei primi anni Sessanta l’artista licenzia la Nascita della Vergine per Anna Maria Mazzarino, sorella del cardinal Giulio e badessa del monastero benedettino di Santa Maria in Campo Marzio tra il 1661 e il 1663. A curare gli interessi di Francia a Roma, soprattutto quello artistici, era l’abate Elpidio Benedetti, patrizio romano, e principale committente e sostenitore di Plautilla nella sua carriera d’architettrice. Elpidio e Plautilla si conobbero grazie a Maria Eufrasia Benedetti della Croce, sorella di Elpidio, religiosa carmelitana nel convento di San Giuseppe a Capo le Case ed essa stessa pittrice. Entrato a far parte della Curia con un ruolo secondario, Benedetti, in seguito all’incontro con il cardinale Francesco Barberini, fu inviato in Francia nel 1635, dove divenne segretario del Mazzarino, appena nominato nunzio. Come uomo di fiducia del cardinale, si occupò principalmente di svolgere sia mansioni di ordine legale ed economico, sia di scegliere e acquistare oggetti preziosi ed opere d’arte nella città papale. Fu lui ad organizzare il viaggio di Bernini in Francia; a sorvegliare l’operato e i progressi dei giovani artisti francesi a Roma, incaricati della progettazione del Louvre.

Nel 1664 sono documentati, ma non rintracciati, un San Francesco e l’Angelo, una Natura Morta con fiori e fogliami e un panno da tavola realizzati per il cardinale Francesco Barberini senior, per i quali ebbe in pagamento la considerevole cifra di 30 scudi.

Sono questi gli anni dell’impegno nella progettazione architettonica, che le fece dar vita a Villa Benedetta fuori Porta San Pancrazio e alla cappella di San Luigi nella chiesa di San Luigi dei Francesi.

Se piuttosto chiara è ormai la formazione della Bricci come pittrice, rimane più oscura e complicata da ricostruire quella da architetto, per la quale si possono solo avanzare delle ipotesi. Sicuramente fu il padre a impartirle una prima educazione architettonica, dal momento che nella sua vasta produzione letteraria era presente anche un trattato di pittura e uno di architettura, molto noti nel Seicento, ma oggi perduti. Oltre all’apprendistato con il padre, si ritiene che l’artista possa aver intrapreso anche un’educazione da autodidatta, soprattutto in seguito alla morte di Giovanni avvenuta nel 1645. È d’obbligo ricordare inoltre che nel 1642 fu pubblicato a Roma il Thaumaturgus opticus di Jean-Francois Niceron. Il testo era un vero e proprio manuale suddiviso in due sezioni principali, ognuna delle quali fornisce due approcci diversi alla cultura artistica. Il fatto poi che il trattato fu dedicato dall’autore al cardinal Mazzarino e ad Anna di Francia ne conferma la diffusione nell’ambiente francese e filofrancese di Roma di cui sia il Benedetti che la Bricci facevano parte.

Quando Plautilla mette mano al pro getto di Villa Benedetta ha già 48 anni, è una pittrice affermata e frequenta con regolarità l’Accademia di Cassiano del Pozzo presso Sant’Andrea della Valle. La curiosità per l’architettura l’aveva sicuramente messa in contatto con Gian Lorenzo Bernini, il cui viaggio in Francia nel 1645 era stato organizzato proprio dal Benedetti. Elementi di cultura berniniana appaiono con chiara evidenza sia in Villa Benedetta che in San Luigi. In entrambi i casi, la Bricci dimostrò un’ottima conoscenza pratica e manuale del cantiere, a conferma di una frequentazione dell’architettura anche prima degli anni ’60. Anche il Benedetti si dilettava di architettura. All’inizio degli anni’ 50 Elpidio chiese alla Bricci di seguire i lavori di sistemazione del suo palazzetto collocato di fronte a San Giovanni in Ayno. Non è da escludere anche un intervento dell’abate, il cui amore per l’architettura è confermato dal ritrovamento di un regolo sullo scrittoio della sua camera da letto al momento della morte. Non solo. Sappiamo che nel 1661, alla morte del Mazzarino, predispose la cerimonia funebre per il cardinale nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio, e, nel 1666, gli apparati funebri in onore di Anna d’Austria, madre di Luigi XIV, nella basilica di San Giovanni in Laterano e, qualche giorno dopo, nella chiesa di San Luigi dei Francesi.

La vera avventura economica e politica del Benedetti fu però la costruzione della sua villa fuori Porta San Pancrazio, che dominava «tutta la campagna fino al mare […] havendo anco per oggetto di prospettiva il palazzo Vaticano», e fu «edificata a similitudine d’un vascello sopra uno scoglio», anzi aveva addirittura la «forma di un gran vascello da guerra, di cui rappresenta perfettamente tutte le parti esterne che non vi mancano che gli alberi e le vele». Costruita tra il 1663, anno in cui venne stabilito il capitolato tra il Benedetti, l’architetto Plautilla Bricci e il capo mastro Marco Antonio Bergiola, la villa fu terminata entro il 1667, secondo il progetto dell’«Architettrice Plautilla Bricci», citata più volte, come direttrice dei lavori e responsabile di tutte le eventuali variazioni in corso d’opera, in alcuni importanti documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Roma. Nel contratto del 1663 si evince che «la casa deve essere costruita seguendo il progetto, con tre piani, fatto dalla Signora Plautilla Bricci Arch[it]ettrice, sia sulla fronte, sui lati e nella parte posteriore così come è nei disegni fatti da Plautilla, che sono stati dati a me [Benedetti] per accompagnare questo documento» (foto). I disegni constano di quattro piante e tre studi di alzati, anche se due disegni di alzate differiscono decisamente da ciò che fu realmente costruito, e che possiamo vedere nell’incisione del Falda che è una delle poche testimonianze iconografiche della villa prima della sua distruzione avvenuta nel 1849 nel corso dei bombardamenti durante la Repubblica Romana (foto). La decorazione interna della vita è nota grazie alla descrizione che ne dà lo stesso Benedetti in un volume da to alle stampe nel 1677 e alle tante fonti di letteratura odeporica che ne ricordano lo splendore del luogo. Il Rossini narra che nella galleria al piano terra si «molti ritratti di Dame Francesi e Italiane tra le quali Madama di Montespan, Madama La Valiere, Madama Colonna, la contessa Laura Marescotti, il ritratto del Cavalier Bernini”, mentre le tre gallerie del piano nobile erano ornate con «grandissimi specchi e vari trofei messi a oro [e] nelle finestre e porte varie iscrizioni».

La galleria principale, che il Moroni dice lunga palmi 130, larga 21 e alta 22, sopra il fregio con paesi e marine, era affrescata la volta con l’Aurora di Pietro da Cortona, il Mezzogiorno di Francesco Allegrini e la Notte di Giovan Francesco Grimaldi. Alla Bricci spettò il compito di dipingere la pala d’altare della cappella.

Tra il 1664 e il 1680 Plautilla venne incaricata dal Benedetti di attendere i lavori della cappella di San Luigi, terza nella navata sinistra della chiesa di San Luigi dei Francesi, e dedicata a san Luigi, re di Francia. La cappella, ricca per decoro e per sfarzo, costituisce l’unica opera integrale dell’artista giunta fino a noi. Già dedicata a sant’Andrea, la cappella fu completamente «fatta fabbricare con ogni maggiore splendore dall’Abbate Elpidio Benedetti con l’architettura di Plautilla Bricci Romana, che fece anche quella del suo Palazzotto fuori di Porta S. Pancrazio. Il Quadro dell’Altare con S. Luigi e altre figure è opera galante della medesima Plautilla», come ricorda il Titi nella sua guida di Roma. L’ingresso, arricchito da un grande drappeggio in stucco con fiordalisi, e la corona reale e dorata sul fondo blu, cadente con pieghe ondulate, che debordano fino ai pilastri e sollevate ai lati da angeli, ospita sull’archivolto le figure allegoriche della Fede, vestita come un guerriero, con un casco in testa e il monogramma di Cristo, e della Religione che ha sotto i piedi un infedele a cui viene rotta una lancia. L’interno, di disegno classicista barocco, mostra in corrispondenza dell’altare due colonne corinzie di giallo antico ai due lati, rilievi a intaglio e sculture, tutte eseguite da Plautilla che rileva qui una fedele adesione all’opera del Bernini anche nella decorazione della cupola. La pala d’altare, raffigurante San Luigi tra la Fede e la Storia, è firmata da Plautilla Bricci, che qui mostra uno stile più coerentemente classico rispetto alle sue opere di architettura, a metà tra tradizione francese e tradizione italiana.

Gli anni ’70 sono per l’artista anni importanti. Il successo arriso grazie ai lavori di architettura le diede la possibilità di ottenere altri importanti e prestigiosi incarichi. Nel 1673 dipinge due tele a monocromo per l’Oratorio della confraternita del Ss. Sacramento al Laterano, collocato nel fianco destro dell’ingresso alla Scala Santa. L’Oratorio, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 1662, era suddiviso in quattro campate e aveva otto pilastri rivestiti di stucchi e ricoperti da tele dipinte a chiaroscuro raffiguranti otto santi: nel «terzo pilastro S. Domenico della Sig.ra Plautilla Bricci Romana, ed incontro S. Francesco mano della medesima». Prima dei danneggiamenti sette e ottocenteschi, l’oratorio doveva avere un’immagine di una particolare valenza artistica a giudicare dell’impianto decorativo in generale, i cui otto pilastri definivano lo spazio con quattro volte a crociera e con quattro archi fatti di stucchi, con riquadramenti, e cornici con cimase, e membretti. Nel 1675 esegue per i canonici lateranensi un lunettone con l’Eterno Padre, che firma con orgoglio «Plaut.a Briccia Rom.a Invenit» (foto). Il dipinto rappresenta un angelo che offre il Cuore di Gesù con la corona di spine all’Eterno Padre. Dio ha uno scettro nella sua mano sinistra, circondato da angeli di cui uno tiene in mano il globo, e un altro il libro con l’Alfa e l’Omega. In occasione del giubileo del 1675, la Compagnia o Società della Misericordia di Poggio Mirteto incarica « la Signora Plautilla Briccia Pittrice» della pittura dello stendardo processionale della chiesa di San Giovanni Battista, per il quale fu pagata la considerevole cifra di 100 scudi. La tela raffigura la Nascita del Battista nel verso e la Decollazione del Battista nel recto, testimoniando ancora nel terzo quarto del secolo la sua ascendenza arpinesca. La Nascita soprattutto sembra desunta da una stampa o da un’incisione della Natività della Vergine che il Cesari eseguì per la chiesa di Santa Maria di Loreto a Roma. Riaffiora nell’anziana artista l’esperienza della pratica della bottega, che si manifesta attraverso la grande eredità dei disegni, che l’Arpino aveva lasciato ai suoi allievi, il ricorso all’uso dei cartoni che permetteva una sapiente e dosata regia degli spazi anche nel caso di costruzioni di macchine complesse. Nella bottega dell’arpinate era possibile apprendere tutto il percorso che portava dal piccolo disegno al gigantesco cartone e seguire, sul cammino verso il disegno finale, tutte le fasi creative della nascita dell’opera.

Non è quindi un caso se Plautilla appose su due della tele più importanti della sua carriera la firma «Plaut.a B riccia Rom.a Invenit et Pinxit», dimostrando la completa consapevolezza dell’importanza del disegno in riferimento al primo momento della creazione artistica, così come appreso dal suo maestro.

La architetta e la pittrice celebre morì a Roma quasi novantenne nella casa di Trastevere che le aveva lasciato in usufrutto Elpidio Benedetti. La sua attività di architetto nella Roma del XVII secolo la pone tra le precorritrici di un cammino di emancipazione delle donne i cui esiti veri e concreti si sarebbero visti solo a partire dalla seconda metà del XVIII secolo successivo.

pdl Roma dicembre 2017