La fama di Ambrogio Lorenzetti oltre gli affreschi del “buon governo”. La grande mostra di Siena

di Nica FIORI

Ambrogio Lorenzetti

Siena, Complesso museale di Santa Maria della Scala, Piazza del Duomo (fino al 21 gennaio 2018)

Ambrogio Lorenzetti (ca. 1290 – 1348), fratello minore di Pietro Lorenzetti, è stato l’ultimo grande esponente della pittura senese del Trecento, all’epoca all’apice della cultura europea. Maestro “famosissimo et singularissimo”, come lo definì Lorenzo Ghiberti nei suoi Commentarii, dotato di una vasta cultura e di una grande capacità inventiva e innovativa, ha legato il suo nome soprattutto alle Allegorie e agli Effetti del buono e del cattivo governo nella città e in campagna nel palazzo comunale di Siena (una sorta di manifesto dell’etica politica del governo senese dei Nove), oggetto di numerosi studi moderni, mentre tutto il resto è stato paradossalmente quasi oscurato dalla fama di quegli affreschi.

La mostra che gli viene dedicata a Siena, nel complesso di Santa Maria della Scala, gli rende finalmente giustizia, facendo conoscere al pubblico le altre sue sorprendenti opere, non legate all’aspetto civico della città, ma a contesti per lo più religiosi. Una mostra “senza precedenti”, che soltanto a Siena, che conserva il 70 % delle sue opere conosciute, poteva essere realizzata, come fanno notare nella premessa al catalogo i curatori Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel.

Il catalogo (Silvana Editoriale), concepito come ampia monografia, va a colmare un vuoto, visto che l’ultima monografia, quella di George Rowley del 1958, non era del tutto affidabile. Il percorso di studio e ricerca, che si è concretizzato con questa mostra, è partito nel 2015 con l’attivazione di un seminario presso l’Università di Siena e in contemporanea con l’iniziativa “Dentro il restauro”, che ha visto nello stesso complesso di Santa Maria della Scala un cantiere aperto di restauro degli affreschi staccati dalla cappella di San Galgano a Montesiepi e altri cantieri aperti nella Chiesa di San Francesco e nel Capitolo degli Agostiniani.

La scelta della sede espositiva appare particolarmente felice perché Santa Maria della Scala è un museo realizzato dentro un edificio storico, ma allo stesso tempo perfettamente a norma in seguito a un’importante operazione di recupero. Situato in piazza del Duomo, proprio davanti alla gradinata della Cattedrale (forse all’origine del toponimo Scala, anche se più tardi si diffuse la leggenda di una visione di una scala miracolosa che accoglieva i bambini abbandonati in paradiso) è stato uno dei più grandi ospedali europei, sorto sulla via Francigena per accogliere i pellegrini, oltre che i malati e i bambini abbandonati, menzionato per la prima volta in un documento del 1090. Sulla fronte dell’Ospedale Ambrogio aveva dipinto nel 1335 un ciclo di affreschi molto celebrati dalle fonti, ma purtroppo andati perduti, mentre nello stesso complesso, nel 2000, durante i lavori di restauro, è venuto alla luce nel retro di un’intercapedine murata da oltre due secoli, un ciclo di affreschi di cui non si aveva conoscenza, raffigurante una Tebaide, dell’ambito di Ambrogio Lorenzetti.

La mostra, arricchita da prestiti provenienti da importanti musei internazionali quali il Louvre, la National Gallery, i Musei Vaticani, gli Uffizi, ricostruisce la vicenda artistica di Ambrogio con opere su tavola e affreschi staccati per un totale di circa 50 opere, che saranno in mostra fino al 21 gennaio 2018.

Frammento con gruppo di clarisse

Già le prime opere di Ambrogio, messe a confronto con quelle di altri senesi illustri, rivelano la sua capacità di trarre profitto dalla pittura di Duccio di Buoninsegna e allo stesso tempo di meditare sulle novità del fratello Pietro e di Simone Martini. Nel corso degli anni Venti del Trecento Ambrogio diventa sempre più autonomo, grazie anche alla capacità di rapportarsi in modo originale alla pittura di Giotto. Gli affreschi nella Chiesa di San Francesco a Siena (già nella sala capitolare del convento di San Francesco), una commissione che condivise con il fratello, dimostrano il dominio assoluto dell’illusionismo spaziale e della narrazione in figura, decisamente coinvolgente. Ridotto in frammenti, si può con pazienza ricostruire il programma del ciclo, che comprendeva la Passione di Gesù, la Professione pubblica di San Ludovico di Tolosa, il Martirio di sei francescani, la Consegna della regola ai frati e alle clarisse. Tra i frammenti staccati che troviamo in mostra ricordiamo il Gruppo di Clarisse proveniente dalla National Gallery di Londra e Re Salomone (dal Museo diocesano di Siena) inserito in una decorazione pittorica che ricorda quelle cosmatesche realizzate con tasselli di marmi colorati.

Madonna col Bambino che allatta
Croce dipinta

Ambrogio aggiornò radicalmente, assieme a Simone Martini, la tipologia della Croce dipinta, e quella della Madonna del latte, come vediamo in una delle immagini più suggestive dell’arte italiana del Trecento, la Madonna che allatta il Bambino (dal Museo diocesano di Siena). In questa tavola del 1325 si percepisce tutto l’amore struggente di Maria per il figlio, dallo sguardo vivacissimo, che appare molto umano, anche se divino. Pure in altre Madonne il Bambino è colto in atteggiamenti più realistici rispetto al passato, come quando stringe con la manina un dito della Madre, nella tavola della Madonna con i Santi Nicola e Procolo (1332, Uffizi).

Sono relativi a un soggiorno fiorentino le Storie di San Nicola in “figure piccole” (1330-32), dalla chiesa di San Procolo a Firenze, prestate dagli Uffizi.  Sono due tavole con quattro episodi proiettati entro scenari architettonici e paesaggistici che ci incantano, come quello del Miracolo delle navi granarie, scelto come copertina del catalogo. Un paesaggio sorprendente per l’epoca, dove l’oro del cielo e il blu del mare sembrano quelli di una poetica visione.

Storie di san Nicola

Altri capolavori in mostra sono gli affreschi staccati dalla Cappella di San Galgano a Montesiepi (Chiusdino), che erano stati finanziati da Ristoro di Selvatella, un oblato dell’abbazia cistercense di San Galgano. Gli affreschi sono stati staccati nel 1966-67 per garantirne la conservazione e, grazie al distacco, è stato possibile recuperare gli eccezionali disegni tracciati da Ambrogio sull’arriccio. Nel caso dell’Annunciazione, vediamo il modo insolito in cui Ambrogio aveva pensato di raffigurare Maria, che, turbata, sembra ritrarsi, immagine che però venne fatta modificare per ricondurla a una più comune iconografia.

Tra i motivi relativi a San Galgano è raffigurata anche quella spada (ancora visibile a Montesiepi), che sarebbe stata conficcata nella roccia come rinuncia alla violenza e che sarebbe stata adorata dal santo come croce.

Un’opera notevole è quella proveniente da Massa Marittima, già nella chiesa di San Pietro in Orto, che raffigura la Madonna col Bambino in trono con Virtù teologali, angeli musicanti, santi e profeti (ca. 1335, realizzata a tempera, con oro, argento e lapislazzuli su tavole di pioppo). Larga oltre due metri (con i pannelli laterali), reca le scritte Fides, Spes, Caritas, sui gradini del trono della Vergine, mentre sul lato destro vi è un riferimento al santo locale Cerbone, accompagnato dalle tradizionali oche.

Annunciazione

Un altro capolavoro è il trittico dal museo civico di Asciano, con San Michele arcangelo che sconfigge il drago, dall’accentuato colorismo e da un efficace senso del movimento, reso anche nel mantello svolazzante.

Negli avanzati anni Trenta, di nuovo stabilmente a Siena, Ambrogio si afferma sempre di più e riceve molte commissioni, ecclesiastiche e comunali. Nel chiostro del convento di San Francesco dipinse quella che in antico fu la sua opera più celebre: un ciclo di affreschi dedicato al francescano Pietro da Siena, martirizzato in India insieme ad altri tre missionari. Ghiberti li definì “maravigliosa cosa”. Ne rimangono solo pochi frammenti tra cui quello della Tempesta nella città di Tana, che è il primo esempio nella pittura di una raffigurazione naturalistica della grandine.

L’Allegoria della Redenzione, pure in mostra, è uno dei dipinti più densi di significato e più misteriosi dell’artista. Se ne ignorano ancora la destinazione e la funzione. Forte dell’esperienza del ciclo del Buono e Cattivo Governo (1338), Ambrogio ormai esplora la realtà naturale, fino ad eliminare dal dipinto il fondo oro, che caratterizzava prima i soggetti sacri, sostituendolo con un denso azzurro, vero colore del cielo.

di Nica FIORI                    Siena    Novembre 2017

Orari: lunedì, mercoledì e giovedì dalle 10.00 alle 17.00; venerdì dalle 10.00 alle 19.00: sabato e domenica dalle 10.00 alle 20.00. Chiuso il martedì ad eccezione dei giorni 31 ottobre, 26 dicembre e 2 gennaio. Il 25 dicembre chiusura del museo e della mostra. Informazioni, prenotazioni e visite guidate 0577- 286300 http://www.ambrogiolorenzetti.it