La Sindone incoraggia gli artisti; la vicenda e il significato dell’affresco di Voragno

di Franca GIUSTI

Franca Giusti, giornalista, consigliere dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, autrice di varie pubblicazioni tra cui  Pellegrinaggio d’autore presidente dell’associazione ChaTo in viaggio con la Sindone. Fa parte dell’ associazione OdV  che ha potuto mappare e tracciare alcune antiche mulattiere interne al ducato di Savoia utilizzate per il trasferimento della capitale da Chambéry a Torino nel XVI secolo.

CRONACHE AN PLAN AIR

L’ambizione di voler riprodurre il creato nel tentativo di avvicinarsi alla perfezione rende l’artista sempre attento ad ogni dettaglio e mai pienamente soddisfatto del suo lavoro, nemmeno quando è un capolavoro. I tentativi di riprodurre la Sindone sono stati clamorosi fallimenti giustificati dall’utilizzo di tecniche promettenti ma pur sempre umane.

La Sindone è l’impronta divina che da duemila anni incoraggia artisti di ogni estrazione ad interpretarla, avvicendando tecniche e stili moderni a quelli classici per ottenere i migliori risultati umanamente possibili.

Una quarantina sono le copie, teli realizzati con la figura di Gesù, sparsi per il mondo.

Copiosa è la produzione di opere sindoniche, affreschi e dipinti. Oltre alla collezione conservata a Ginevra presso la Fondazione Umberto e Maria José di Savoia, vi sono circa un centinaio tra dipinti ed affreschi in Italia, per lo più nel nord Italia, con singolare concentrazione in Piemonte lungo le vie di collegamento interne al Ducato di Savoia, tra Chambéry e Torino e tra Torino e Genova, a testimonianza dei trasferimenti della Sindone al seguito della famiglia ducale.

L’affresco di Voragno è unico per fattura, dimensioni e narrazione. Voragno è una borgata del Comune di Ceres, in alta val di Lanzo, a 50 km da Torino, in quell’area conosciuta come Terre di Margherita. Il nome  Terre di Margherita è di per sé eloquente, è l’antico nucleo di casa Savoia, prima della costituzione del ducato. Quelle terre delle valli di Lanzo furono, ad inizio ‘500, tutto ciò che rimase per una manciata d’anni, del ducato di Savoia. Le vie interne di collegamento da e per la Moriana e Chambéry  passavano da lì, da Voragno dov’è posto l’affresco sindonico.

Lungo mt 6,20, risale alla terza decade del ‘500 ed è stato dichiarato dal Ministero dell’Istruzione, nel 1910, “monumento pregevole di arte e storia”. È il primo affresco che rappresenta una Ostensione ufficiale, l’unico che racchiude in sé tutte le vicende di casa Savoia degli anni intorno al 1530.

C’è la Sindone ostesa alla Savoia, ovvero sorretta da vescovi ed alla presenza dei duchi. È presente il cardinal Ludovico Challant Vescovo di Gorrevod, al centro con il cappello rosso. Fu lui a presenziare al  certosino lavoro di rammendo della Sindone, delle suore clarisse, dopo l’incendio della Saint Chapelle di Chambéry  nel dicembre 1532.

I delatori della Fede, copiosi ed operosi in quel tempo, impavidi ma astuti, non potendo negare la straordinarietà di quel telo, tentarono almeno di spargere la voce che fosse andato bruciato durante l’incendio e quello che i Savoia facevano vedere non era la Vera Imago bensì una copia. Pur non essendo credibile la diceria, qualcuno si lasciò trarre in inganno e ci credette. Ecco perché nell’affresco di Voragno è ritratto il cardinale di Gorrevod. Lui è la firma in calce ad un documento, è il testimone che la Sindone non andò persa né sostituita con un fac simile. Per i cristiani non cambiava nulla né sarebbe cambiato nulla. Per i Savoia sì. L’esser in possesso della reliquia delle reliquie li rendeva già di per sé rafforzati nella convinzione che la loro investitura regale scendesse dall’Altissimo ed il fatto che la prova dell’esistenza di Dio e della Resurrezione del Figlio, fosse salva nonostante le alte fiamme e le dicerie, li rese piuttosto generosi con gli artisti della scuola vercellese del Defendente Ferrari.

Nell’affresco di Voragno, in basso a sinistra, in posizione orante, sono rappresentati i duchi Carlo III detto il Buono e la sposa Beatrice di Portogallo. Accanto lo stemma partito con entrambi i casati Savoia e Braganza. In basso a destra, sempre in posizione orante, rivolti alla Sindone, il pittore ed il signorotto locale che aveva anticipato la somma promessa all’artista. Ancora altri stemmi del casato, il motto FERT (ormai appena percettibile) in alto ed altri due vescovi. L’affresco è impreziosito da una greca con il classico nodo sabaudo. A corredo del grande affresco narrativo en plain air, vi sono quattro riquadri con i santi Cristoforo, Sebastiano, Claudio e Giacomo. I colori prevalenti dell’affresco sono il rosso ed il blu, colori di casa Savoia nonché della Passione e della Vergine.

Scampato il pericolo del fuoco di Chambéry  e dalle maldicenze calviniste, esuli dalla loro città, i duchi giunsero a Milano ospiti della principessa Cristina di Danimarca senza sapere come sarebbe stato il loro futuro. Ciò di cui erano certi era il fatto che l’Uomo della Sindone amava loro ed il loro popolo ed avevano voglia di farlo sapere a tutti. Così la cronaca di quel loro miracoloso viaggio, attraverso la valle di Lanzo, costituisce oggi un patrimonio sconosciuto al mondo eppure “monumento pregevole di arte e storia”.

Franca GIUSTI  6 maggio 2020