Caratteristiche del Telo Sindonico contraddicono la sua catalogazione come  manufatto e tanto meno come dipinto.

di Luciano LANOTTE

Luciano Lanotte. Dipartimento di Fisica, Ettore Pancini, Università di Napoli Federico II, Piazzale V. Tecchio 80, I-80125 Napoli, e Istituto Polimeri, Compositi e Biomateriali (IPCB), Consiglio Nazionale delle Ricerche, Mostra d’Oltremare Pad. 20, V.le J.F. Kennedy 54, I-80125 Napoli, Italia. Nato a Napoli nel 1950, ivi  ha esercitato l’intera attività scientifica e didattica, dal 1975 presso la Facoltà di Ingegneria e dal 1996 anche presso l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli (qui tra l’altro è stato il professore di Fisica della astronauta Samanta Cristoforetti), divenendo prof. Ordinario di Fisica Sperimentale nel 2000. E’ scienziato di fama sovrannazionale per la sua ricerca innovativa, e pioneristica, nel campo dei nuovi materiali elastomagnetici e delle loro applicazioni, ricoprendo anche la carica di Direttore della prima Conferenza Internazionale interamente dedicate ai materiali magnetoelastici: 1st MEA’93, Capri, 24-26 May 1993. Ha pubblicato oltre 130 lavori su riviste internazionali, oltre a testi di base sulla Meccanica dei Fluidi e La Fisica dei Materiali con l’Editore Liguori (Napoli). Relatore di svariate conferenze  dedicate  al rapporto tra Scienza e Fede, da oltre 10 anni è associato al Gruppo Collegamento pro-Sindone coordinato da Emanuela Marinelli e più recentemente collabora col Gruppo di Sindonologia Napoletano diretto da Walter Memmolo.

 In un articolo del 24 u.s. sul Venerdì di Repubblica il critico d’arte Tomaso Montanari ha sostenuto che la Sindone è un manufatto medioevale francese. A sostegno di questa conclusione ha riportato il fatto che i più antichi documenti ad essa correlati risalgono alla metà del trecento, che la tecnica con cui è stata tessuta è stata inventata intorno al mille, giungendo in Francia non prima del duecento, e che la datazione al radiocarbonio ne ha collocato l’età tra il 1260 ed il 1390.

Tutte i tre punti, concomitanti a supportare la sua tesi, e sopra elencati sono confutabili. Infatti esistono documenti bibliografici ed iconografici che si riferiscono alla Sindone ben antecedenti all’anno mille [1], vi sono reperti archeologici che dimostrano come la tecnica di tessitura del telo era nota in Cina, Mongolia, Crimea, ed anche a Palmira, sin da epoca precedente alla nascita di Cristo [2] ed, infine, è stato scientificamente dimostrato che la datazione eseguita col metodo del radiocarbonio non è attendibile [3].

Personalmente, lasciando ad esperti storici, archeologi, fisici nucleari e statistici l’ulteriore approfonimento degli aspetti specifici di cui sopra, desidero discutere un punto a mio giudizio ancora più sostanziale: Montanari parla di un manufatto, opera d’arte sacra medioevale, e di una pittura su lino (nella didascalia alla figura) come se si trattasse di un dato scontato.

Ora, il metodo scientifico contemporaneo richiede che per arrivare a delle conclusioni acclarate, qualsiasi sia l’argomento affrontato, è strettamente necessario tenere conto di quanto si conosce sul tema in base a tutti i precedenti dati accreditati ed anche, se ci sono, a nuovi comprovati risultati.

Montanari appare ignorare tutta una serie di studi analitici sulla natura della immagine sindonica che giungono a conclusioni diametralmente opposte a quanto egli afferma. Dovrebbe confutarli per sostenere la sua opinione. In verità, a tutt’oggi, non si conosce una metodologia manufatturiera che può riprodurre le caratteristiche della immagine sindonica e, per di più, si possono portare prove sperimentali che l’immagine non è dipinta.

Il più importante studio su queste questioni è stato sviluppato dal progetto internazionale Shroud of Turin Research Project (STURP), che ha coinvolto a tempo pieno per 5 anni (1978-1983) ben 26 ricecatori convenuti dagli USA a Torino, oltre altri 7 nei rispettivi laboratori esteri (https://www.shroud.com/78team.htm). Il principale obiettivo del progetto è stato quello di capire da cosa è formata l’immagine. I test scientifici effettuati, insieme alle analisi successive, hanno dimostrato [4-6] i seguenti punti:

I- L’immagine non contiene pigmenti, elementi portanti, segni di pennellate, nessun materiale tra le fibre e i fili, nessuna screpolatura in corrispondenza delle pieghe e nessuna evidenza di capillarità – assorbimento di un liquido-. Ciò significa che l’immagine non può essere dovuta a vernice, coloranti, imbibendi o liquidi.

II- Il gradiente di temperatura dovuto all’incendio nel 1532 non alterò l’intensità dello scolorimento della fibra, quindi l’immagine non è dovuta a sostanze chimiche organiche o inorganiche.

III- L’immagine non è fluorescente alla luce ultravioletta, quindi non è una bruciatura a causa del contatto con un oggetto caldo.

IV- Non sono presenti sostanze chimiche sensibili alla luce, quindi l’immagine non è una fotografia.

V- Al di fuori delle macchie di sangue e siero, non sono stati trovati sul panno prodotti di decomposizione biologica, quindi l’immagine non è stata causata della decomposizione del corpo.

VI- L’immagine non esite al disotto delle macchie di sangue: si è formata successivamente ad esse. Inoltre non vi è nulla di depositato sulle fibre che formi uno spessore su di esse. L’immagine, infatti non è visibile in controluce, quindi non è dovuta ad alcuna sostanza sovrapposta alle fibre che opacizza il lino (vedansi sul sito www.shroudphotos.com  le  foto in luce trasmessa eseguite ad alta definizione da Vernon Miller).

VII- L’origine fisica che produce l’effetto visivo della immagine risulta dovuto ad una decolorazione delle fibre superficiali del tessuto di lino che le porta verso una tonalità di colore seppia. Ci sono circa 100-200 fibre in un filo di lino ma solo uno o due strati superiori di fibre sono scoloriti. Le fibre interne al filo non sono scolorite.

IX- Le fibre di lino hanno un diametro di circa 20 micron, ma solo la superficie esterna di una fibra è scolorita. Lo spessore di questo scolorimento è di circa 0,2 micron (micron = un milionesimo di metro). Questo spessore di scolorimento è più sottile di una lunghezza d’onda della luce ed è disposto a 360 gradi attorno all’esterno delle fibre con la parte interna delle fibre non scolorita affatto.

X- Tutti le zone decolorate delle fibre hanno la stessa intensità di colore seppia. I cambiamenti nell’intensità complessiva che caratterizzano l’immagine, osservabili ad occhio, sono dovuti al numero di fibre scolorite e alla lunghezza di tale scolorimento sulle fibre. Poiché lo scolorimento su una fibra è lo stesso per l’immagine frontale come per l’immagine posteriore, il meccanismo di inscurimento deve essere indipendente dalla pressione effettuata (l’immagine frontale dovrebbe essere stata formata con il solo lino sul corpo, mentre l’immagine posteriore è stata formata con il peso del corpo sul tessuto).

XI- Le fibre che sono scolorite in un filo non sono disposte uniformemente lungo il filo ma sono raggruppate insieme, formando striature.

XII- Questo strato scolorito estremamente sottile su una fibra è causato da un cambiamento nei legami elettronici degli atomi di carbonio presenti nelle molecole di cellulosa delle fibre di lino.

Per spiegare quest’ultimo punto, consideriamo che ogni atomo di carbonio ha quattro elettroni nella sua orbita esterna che vengono usati per legarlo agli atomi circostanti in una molecola. Nella molecola di cellulosa nella fibra di lino, ciascuno di questi quattro elettroni lega ogni atomo di carbonio a un altro atomo, in modo tale che ciascun atomo sia legato ad altri quattro attorno ad esso (Figura 1). Ciò consente a ciascun atomo di carbonio di vibrare in modo da riflettere producendo il normale colore, praticamente bianco, delle fibre di lino.

 FIGURA 1

Lo scolorimento della fibra si verifica quando la disposizione degli atomi di carbonio nella molecola di cellulosa viene alterata in modo che alcuni di essi siano circondati solo da tre altri atomi, con uno degli elettroni dell’orbita esterna legato al primo atomo, un altro elettrone che lo lega al secondo atomo, ed i rimanenti due elettroni che lo legano al terzo atomo (Figura 1). Questa nuova disposizione fa vibrare l’atomo di carbonio in un modo diverso, il che fa riflettere la luce diversamente dal consueto, facendo apparire la fibra di colore più scuro (seppia). In altre parole, lo scolorimento è causato da alcuni dei legami a singolo elettrone del carbonio che vengono cambiati in legami doppi.

La decolorazione delle fibre di lino può essere causata per processi naturali quali disidratazione e ossidazione su lunghi periodi di tempo, ma sulla Sindone le fibre sono scolorite secondo uno schema tale da formare l’immagine di un uomo crocifisso e questo non può essere frutto di un processo spontaneo casuale.

La energia deve essere stata rilasciata al lino con una scarica estremamente breve per scolorire solo uno o due strati superiori di fibre senza coinvolgere strati più profondi delle fibre interne ai fili dell’ordito.

Alla luce d’indagini recenti [7,8], un modo efficace per avere una costituzione della immagine come quella presente sul Telo Sindonico risulta un impulso di luce intensa a frequenza ultravioletta ottenuto mediante laser. Gli esperimenti sono ripetibili, e capaci di formare parti limitate della immagine (come ad esempio il volto); ma sarebbero necessari numerosi laser ad eccimeri per riprodurre l’intero telo, e soprattutto dovrebbero essere coordinati e programmati, in modo per ora difficilmente realizzabile, per dare un simulacro dell’intera immagine.

Al contrario di quanto affermato da Montanari, numerosi studi scientifici dimostrano che l’immagine presente sul Telo Sindonico non è certo un dipinto. Per di più, alla luce dei dati sinora acquisiti, appare davvero inverosimile che possa essere un manufatto: un artista o un falsario non avrebbe potuto formare un’immagine con le caratteristiche di cui sopra in qualsiasi epoca passata e neanche uno scienziato realizzarlo al presente.

Luciano LANOTTE   6 maggio 2020

Riferimenti bibliografici

[1] Marinelli E., Zerbini L., La Sindone Storia e Misteri, Odoya Librery 244, Bologna 2017.
[2] vedasi quanto scritto da Generoso Urcioli, su Facebook il 27 aprile 2020.
[3] Casablanca T., Marinelli E., Pernagallo G. and Torrisi B., RADIOCARBON DATING OF THE TURIN SHROUD: NEW EVIDENCE FROM RAW DATA, Archaeometry, March 2019. https://doi.org/10.1111/arcm.12467
[4] Jackson John and The Turin Shroud Center of Colorado, “The Shroud of Turin, A critical Summary of Observations, Data, and Hypotheses”, 2017. ISBN 978-0-692-88573-4
[5] Antonacci, Mark, “The Resurrection of the Shroud”, M. Evans and Company, 2000. ISBN 0-87131-890-3
[6] Heller John H., “Report on the Shroud of Turin”, Houghton Mifflin Company, 1983. ISBN 0-395-33967-7
[7] Donnet, C., J. Granier, G. Verge, Y., Bleu, S. Reynaud, and F. Vocanson, “2D Reproduction of the Face on the Turin Shroud by Infrared Femtosecond Pulse Laser Processing”, Applied Optics, March 20, 2019. https://doi.org/10.1364/AO.58.002158
[8] di Lazzaro Paolo et al., Applied Optics vol. 57, num. 23, 1918.