“La religione del disegno”: alla Galleria del Laocoonte in mostra “La Commedia dell’Arte. Maschere e Carnevale nell’Arte del Novecento Italiano”

P d L

E’ appena stata inaugurata con vero successo di critica e pubblico alla Galleria Il Laocoonte la mostra La Commedia dell’Arte. Maschere e Carnevale nell’Arte del Novecento Italiano che proseguirà fino al 20 maggio. L’iniziativa si inserisce con grande rilievo nelle scelte che la Galleria Il Laocoonte porta avanti ormai da tempo promuovendo eventi dedicati a personalità del mondo artistico non sempre adeguatamente rappresentate o apprezzate dalla critica d’arte, se non a volte addirittura misconosciute ma che hanno operato spesso controcorrente proponendo quale caratteristica l’espressione figurativa e particolarmente il ruolo preminente del disegno soprattutto ma non solo nel periodo tra la fine dell’ ‘800 e i primi decenni del ‘900. In questa logica la Galleria ne ripropone la vicenda umana ed artistica, grazie ad un lavoro di ricerca e di approfondimento di cui la mostra appena aperta è l’ennesimo esempio, promosso direttamente dalla stessa titolare dello spazio di Via Monterone 13, Monica Cardarelli, curatrice infaticabile degli eventi, supportata dal marito Marco Fabio Apolloni.

LA COMMEDIA DELL’ARTE. Maschere e Carnevale nell’Arte del Novecento Italiano

A cura di Monica Cardarelli– Catalogo Edizioni d’Arte

Date: Dal 23 febbraio al 30 maggio 2022

Galleria del Laocoonte – Via Monterone 13  00186 Roma – tel. 06/68308994

-Dott.sa Cardarelli si è appena aperta la mostra La Commedia dell’Arte. Maschere e carnevale nell’arte italiana del Novecento. Ci puoi spiegare come nasce questa mostra e cosa ti riprometti da una scelta espositiva così caratterizzata?

R: Questa mostra è il frutto di una lunga e paziente ricerca di opere che hanno per soggetto le maschere, il lato giocoso dell’arte moderna, quello incarnato da Gino Severini per intenderci. Esse fanno appello all’animo candido e ingenuo che ogni uomo ha pure in sé, un equilibrio pacifico che dobbiamo cercare di conservare per proteggerci da questi tempi poco giocosi. La prima idea di questa mostra è nata diversi anni fa, quando abbiamo acquistato il grande pannello di Ugo Rossi, lungo quasi quattro metri, con il coloratissimo carnevale veneziano in Piazza San Marco (vedi sotto). Da allora abbiamo cercato sempre delle opere che l’accompagnassero. Alla fine è stato come dare una festa in maschera con tutti gli artisti ormai scomparsi, ma qui presenti con le loro opere.

Alberto Martini, Autoritratto, 1905, china su carta, firma in basso a destra ‘AM-Alberto Martini’

Nella Introduzione al catalogo Marco Fabio Apolloni scrive: “Al centro di questa raccolta tematica, vi è un’opera particolare dell’artista visionario Alberto Martini (1876- 1954), un precursore del surrealismo”. Martini è un artista che è stato già oggetto delle attenzioni della Galleria Il Laocoonte, perché lo ritenete tanto importante da metterlo al centro dell’evento, posto che nel panorama della pittura primo novecentesca non sembrerebbe avere ancora la considerazione che merita?

R: Martini è stato il più grande, raffinato, colto pittore e illustratore del XX secolo, non può e non deve essere misconosciuto, sarebbe l’ammissione di una troppo grande ignoranza da parte del secolo XXI.

Angelo Urbani del Fabbretto, Strumento e costumi, 1956, olio su tavola, cm 145 x 75

-La storia della Galleria del Laocoonte sembra interna alla logica del recupero di temi e figure artistiche che hanno operato principalmente a cavallo tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo alcune delle quali ben note altre invece spesso ai margini o addirittura neppure musealizzate ma capaci di significative performances figurative; viene da chiedersi perché e se sta trovando riscontri nel pubblico degli amanti delle belle arti e dei collezionisti.

R: Al centro della Galleria del Laocoonte nella sua sede romana c’è una statua del Laocoonte del ‘500 opera di Vincenzo de Rossi. La scoperta della statua antica del Laocoonte coincide con lo zenit del pieno Rinascimento italiano in arte. E’ la religione del disegno e noi siamo dei fedeli e amiamo quel che di questa tradizione sopravvie nel Novecento. Pensiamo che sia un valore tutto italiano e che sia nostro dovere conservarlo e valorizzarlo, anche contro tutte le mode e le quotazioni del generale conformismo critico ed economico.

Vittorio Petrella da Bologna, Rosa Rossa Venezia, 1923, olio su vetro, cm 30×40

Da questo punto di vista, vorrei sapere -se possibile- quale artista ha dato maggiori soddisfazioni e quale invece speravate avesse un riscontro di pubblico e critica superiore a quanto poi è stato.

R: Tutti gli artisti di cui ci siamo occupati hanno destato nel pubblico grande interesse e ammirazione e persino un senso di mortificazione per non averli conosciuti prima. Ma un artista in particolare voglio ricordare, Pietro Gaudenzi, fondatore del Civico Museo d’Arte Moderna e contemporanea di Anticoli Corrado, il paese delle modelle dove egli si ritirò a vivere, la cui memoria abbiamo resuscitato da un oblio totale, grazie ai meravigliosi cartoni a pastello relativi al Castello dei Cavalieri di Rodi.

Gli artisti che presentate hanno operato in un lasso di tempo caratterizzato dall’esplosione delle Avanguardie e tuttavia questo clima non sembra penetrare nei loro lavori; come ha scritto ancora Marco Fabio Apolloni nel catalogo della mostra Nudi Maschili dedicata all’opera di Publio Morbiducci (un altro dei vostri ‘recuperi’, detto per inciso) questi esordì con prove “pari ai mostri sacri della pittura europea” poi in realtà se ne allontanò ma a dire bene fu “il maestro Cambellotti  ad allontanarlo dairischi di contaminazione con l’avanguardia”. Fu una scelta dettata da ragioni ‘politiche’, dal ‘provincialismo’ o dalla volontà di salvaguardare le tradizioni nazionali?

R: Ogni maestro tanto più è grande, merita che i migliori allievi si ribellino a lui. Morbiducci lo fece nel suo breve momento secessionista che è perciò ancora più prezioso. Va precisato però che il richiamo di Cambellotti alla tradizione non aveva ragioni politiche se non l’amore per la tradizione stessa e per la continuità della nostra antica memoria.

Anche In questa esposizione intitolata al carnevale compaiono nomi poco noti quali Umberto Brunelleschi, Ugo Rossi (che compare con un sorprendente dipinto di grandi dimensioni : quasi 4 metri),

Ugo Rossi, Carnevale di Venezia, 1949 ca., olio su tela incollata su tavola, cm 138×383

il pittore francese Jean-Gabriel Domergue, e Giovanni Marchig definito “pittore incantevole”,

Giannino Marchig, Giovane attore nei panni di Arlecchino, 1933, olio su tela, cm 69×54

accanto a personalità affermate come Gino Severini, Oscar Ghiglia, Aligi Sassu e Pino Pascali per citarne solo alcuni. Si tratta di una scelta senz’altro non casuale, vuoi chiarircene le motivazioni?

Pino Pascali, Arlecchino, 1964, tecnica mista e collage su carta fotografica, cm 23,8×18

R: In realtà le scelte sono sempre casuali, perché dipendono dalle opportunità che il mercato ci offre di acquisire le opere. Noi non facciamo le mostre facendoci prestare le opere dai musei caso mai succede il contrario.

-Come in alcune delle altre ‘collettive’ la Galleria mette assieme dipinti appartenenti a stagioni artistiche differenti, dal “ritorno all’ordine”, alla stagione “tonale”, dalla “scuola romana” e così via, dove la modernità s’incrocia con la tradizione, tra linguaggi che sfiorano la retorica e altri fortemente realistici; c’è un filo rosso che rende unitario l’evento espositivo oppure la scelta verte unicamente sul recupero di nomi e stagioni che pensi siano immeritatamente ridimensionate?

R: La mostra è tematica, il messaggio è uno, cambiano i linguaggi in cui esso viene espresso.

P d L  Roma 23 Febbraio 2022

  • Luogo: GALLERIA DEL LAOCOONTE
  • Indirizzo: Via Monterone 13/13 A 00186 – Roma
  • Quando: dal 23/02/2022 – al 30/05/2022
  • Curatori: Monica Cardarelli