La cattura di Matteo Messina Denaro e la “Natività” del Caravaggio: una questione d’onore

di Francesca SARACENO

La cattura del super latitante, ultimo padrino della vecchia mafia siciliana, Matteo Messina Denaro, avvenuta lo scorso 15 gennaio ad opera dei carabinieri del ROS, in una clinica oncologica di Palermo, è certamente uno di quegli eventi che fanno la storia di un Paese come il nostro. Se non altro perché chiudono un ciclo, uno dei periodi più bui e sanguinosi della nostra storia, e ripagano – sebbene solo in parte – del dolore per il sangue innocente versato. L’arresto di Messina Denaro se da un lato chiude una ferita storica, dall’altro apre le porte a una serie di nuove indagini e potenziali acquisizioni di notizie altrimenti difficili da ottenere. Messina Denaro, oggi, è un po’ come l’oracolo di Delfi da cui ci si attende – forse invano – risposte risolutorie ad annosi quesiti.

Caravaggio, Natività, 1600

Tra questi, non può mancare la triste vicenda che riguarda il furto della Natività con i santi Lorenzo e Francesco eseguita a Roma nel 1600 dal maestro Michelangelo Merisi da Caravaggio; opera trafugata nella settimana tra il 12 e il 18 ottobre del 1969 (la data esatta non è mai stata accertata) dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, al cui altare il dipinto era destinato sin dalla sua committenza. La splendida tela (fig.1), il cui valore economico mai potrà eguagliare quello artistico, è a tutt’oggi ai vertici della Top Ten Art Crimes, l’infausta classifica dei maggiori crimini d’arte stilata dall’F.B.I., e oggetto di complesse indagini ancora in corso.

A tal proposito, la cerimonia del conferimento ufficiale a Bergamo e Brescia del titolo di “Capitale della Cultura 2023”, è stata – qualche giorno fa – occasione, per il neo ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, per auspicare il ritrovamento e la restituzione dell’opera al patrimonio artistico del Paese:
È un settore nel quale siamo impegnatissimi col Nucleo Tutela Patrimonio dei Carabinieri che è un’eccellenza italiana, al momento comandato dal generale Molinese che è una persona di grande qualità, un conoscitore dell’arte. È chiaro che siamo impegnatissimi su questo fronte”,
ha detto il ministro.

Ciò che riaccende le speranze di pervenire al ritrovamento della pala d’altare del Caravaggio, grazie a eventuali rivelazioni dell’ex latitante appena catturato, è probabilmente il fatto che – a suo tempo – il padre di Matteo Messina Denaro, oltre alla sua attività di agricoltore, pare “arrotondasse” con il commercio di reperti archeologici appositamente saccheggiati dai siti di Selinunte e dintorni, alimentando un traffico illecito, ma molto redditizio, che negli anni ha nutrito perfino importanti collezioni museali. Tale attività illegale induce a credere che Messina Denaro junior, il quale all’epoca del furto – è bene ricordarlo – aveva solo 7 anni, sia ancora depositario memoriale, se non attivo, di quei canali di transito attraverso i quali i reperti trafugati e commerciati dal padre prendevano le vie più disparate in giro per l’Europa e il mondo. Questi percorsi di transito si sono sviluppati spesso tra la Sicilia e la Svizzera; e proprio in Svizzera, com’è noto, si sono perse le tracce della Natività del Caravaggio, intorno al 1970.

Ora, il fatto che il criminale di Castelvetrano possa realmente custodire informazioni utili alle indagini sul furto della Natività, non implica di conseguenza che egli abbia intenzione di fornirle agli inquirenti; è notizia di pochi giorni fa, infatti, che Messina Denaro molto probabilmente non collaborerà con la giustizia.

In un’intervista rilasciata a Fanpage.it il 19 gennaio scorso, Sebastiano Ardita, consigliere del Csm, faceva notare che le uniche condizioni per cui un criminale come Messina Denaro, posto al più alto grado di detenzione nonostante un tumore in avanzato grado di sviluppo, potrebbe decidere di collaborare, sarebbero solo quelle in cui gli venisse proposto in cambio un allentamento del regime di carcere duro. Ma il 41bis, se da un lato limita fortemente le sue possibilità di contatti all’interno e all’esterno del carcere, dall’altro gli assicura però tutte le cure di cui la sua malattia necessita e forse anche migliori di quelle che potrebbe ricevere altrove. Dunque, secondo Ardita, l’ex latitante deve ora decidere

se farsi il carcere lungo e restrittivo, dove sarà curato e anche meglio che all’interno della clinica La Maddalena di Palermo, oppure collaborare e uscire dal 41-bis.”

Ma c’è da chiedersi, perché mai dovrebbe voler collaborare con la giustizia un criminale gravemente malato, catturato dopo trent’anni di “onorata” latitanza, le cui aspettative di vita si riducono al tempo di uno starnuto, rispetto agli innumerevoli ergastoli che pendono sulla sua testa? Cosa vieta che, qualora decidesse di “parlare”, egli non fornisca – invece – elementi fuorvianti atti a depistare invece che indirizzare? Che cos’ha da perdere, o da guadagnare? Peraltro, informazioni da “offrire” in cambio di migliori condizioni di detenzione, Messina Denaro ne possiede innumerevoli e certamente di molto, molto importanti, anche al di là della vicenda del Caravaggio trafugato a Palermo; dunque nulla impone che, qualora decidesse di “parlare”, egli debba necessariamente fornire risposte sul dipinto. E non possiamo nemmeno pensare che le domande degli inquirenti verterebbero solo (o primariamente) sul ritrovamento della Natività.

D’altra parte, c’è da credere, anche nell’eventualità di una nuova pista da seguire, che il lavoro di investigazione non sarebbe di certo semplice o immediato, né scevro da opportune verifiche, qualora vi fossero riscontri. I reparti investigativi che da anni seguono le indagini sulla sparizione del dipinto, sono sicuramente memori delle tante dichiarazioni senza valore ottenute negli anni dai collaboratori di giustizia.

I pentiti, che sulle sorti del dipinto del Caravaggio, hanno fornito – pensando di poterne trarre un qualche vantaggio – indicazioni che si sono poi rivelate inattendibili o sono state oggetto di rimaneggiamenti romanzeschi, di certo non hanno giovato alla causa. A partire dal travisamento delle dichiarazioni di Giovanni Brusca, nel 1996, da cui prese corpo l’ipotesi di un possibile negoziato in corso per la restituzione della Natività; mentre, invece, dalle trascrizioni della deposizione, risulta che Brusca si riferiva a non meglio specificate intenzioni di trattative con lo Stato per generiche opere d’arte, in cambio di benefici carcerari in favore di alcuni detenuti, senza alcun riferimento specifico all’opera del Caravaggio. Oppure le fosche e immaginifiche teorie, prodottesi successivamente alle dichiarazioni di un testimone anonimo, che avrebbero voluto la tela ora calpestata, ora bruciata, utilizzata come scendiletto, o tagliuzzata e rivenduta un tanto al pezzo … O ancora, il racconto “cinematografico” del pentito Salvatore Cangemi, il quale avrebbe riferito agli inquirenti che la Natività veniva esposta come un trofeo durante le riunioni della cupola dei corleonesi, per poi essere puntualmente smentito da Francesco Marino Mannoia (probabilmente tra gli esecutori materiali del furto insieme ad altri) con parole sprezzanti:

Tutte queste leggende metropolitane […] Tutte queste buffonate. Non esistono queste cose! Cosa Nostra è una delle organizzazioni più serie che esistano sul pianeta!”

E già … non si perdeva certo in queste “raffinatezze”, la mafia… In ogni caso, nulla che abbia mai davvero portato, non dico a una svolta, ma quanto meno a un progresso significativo nelle indagini.

Peraltro è bene precisare che il furto della Natività, si produsse probabilmente su richiesta di personalità estranee a Cosa Nostra, anche se, nelle fasi immediatamente successive, il dipinto venne custodito presso basi logistiche riconducibili alla criminalità organizzata locale. Il supposto committente, forse un antiquario dedito alla ricettazione, che probabilmente non aveva nemmeno richiesto specificamente la pala d’altare dell’Oratorio di San Lorenzo, ma più generiche opere d’arte, non appena si accorse che il dipinto trafugato non era certo oggetto che potesse girare agevolmente sul mercato, e per di più furioso con i malviventi perché la tela era stata danneggiata dall’arrotolamento, lasciò sfumare l’affare. La mafia dei “quartieri alti”, capeggiata a quel tempo da Gaetano Badalamenti, entrò in gioco solo in un momento successivo, probabilmente dopo che i media diedero notizia che il dipinto sottratto all’Oratorio aveva un altissimo valore di mercato.

Sulla questione del furto e delle vicende che hanno accompagnato le ricerche del dipinto, oltre che dei significati artistici e iconografici in esso espressi, la pubblicazione di Michele Cuppone “Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro” (Campisano editore, 2021, seconda edizione con ampia bibliografia e riporti documentali), si configura – ad oggi – come lo studio più completo e aggiornato, al quale rimandiamo per ulteriori approfondimenti. Tra le diverse testimonianze, puntualmente riportate da Cuppone, un’ampia rassegna stampa con le pagine dei giornali dell’epoca in cui viene data notizia del furto. Il 20 ottobre 1969, a pochi giorni dalla scoperta del trafugamento della tela, il “Giornale di Sicilia” riferiva di un “Caravaggio da un miliardo rubato a Palermo”.

“[…] la cifra – scrive Cuppone – era più che sufficiente a destare l’interesse generale, compresi quelli meno leciti. Fu così che il boss Gaetano Badalamenti […] apprese il fatto e chiese al suo braccio destro Gaetano Grado di attivarsi per rintracciare la preziosa tela. Egli, insensibile all’aspetto estetico del capolavoro, vi guardò come a una mera fonte di guadagno […]”

E mentre gli inquirenti brancolavano nel buio, gli uomini di Cosa Nostra, in pochi giorni, rintracciarono uno dei ladri. A fronte di un esiguo riconoscimento in denaro agli esecutori del furto, il dipinto del Caravaggio venne consegnato, e transitò prima nei nascondigli del capo mandamento della zona, Stefano Bontade, per poi approdare a Cinisi presso il capo dei capi don Tano Badalamenti. Ed è solo in questo frangente che iniziarono ad arrivare le prime richieste di riscatto, tramite un intermediario, al soprintendente Scuderi e al Comando dei Carabinieri; ma fu chiaro che lo Stato non intendeva trattare con la mafia. Quindi, Cosa Nostra probabilmente decise di disfarsi della scottante refurtiva e cominciò a negoziare la vendita della Natività con il famoso mercante d’arte elvetico, il cui nome non è mai stato reso noto ma che fu riconosciuto tramite una fotografia da Gaetano Grado. Don Tano si riempì le tasche di franchi svizzeri e la Natività del Caravaggio prese la via del Canton Ticino. Siamo nel 1970.

Ma sempre dall’ottima ricerca di Cuppone, sappiamo per certo che pochi anni dopo, nel 1974, ancora tramite lo stesso intermediario, ulteriori contatti erano avvenuti tra i ricettatori e le forze dell’ordine, e si valutava adesso l’opzione del riscatto; forse perché in quel frangente, Cosa Nostra era ormai fuori dai giochi. Ma non è improbabile che la cosa si fosse rivelata una falsa pista e anche per questo, alla fine, non se ne fece nulla. Peraltro i dirigenti del Comando Tutela Patrimonio Culturale hanno riferito di altri possibili tentativi di vendita del dipinto fino alla fine degli anni settanta. Ma nemmeno un segugio come Rodolfo Siviero, investigatore professionista in forza all’Ufficio Restituzioni del Ministero per gli Affari Esteri, riuscì a rintracciare la tela, seguendo anche piste alternative che conducevano in Inghilterra e risultate poi inutili.

Il tempo e gli eventi, hanno ovviamente raffreddato le urgenze, sebbene le indagini sulle sorti del Caravaggio palermitano non si siano mai fermate. Ed è chiaro che adesso, avendo l’opportunità di interrogare un personaggio di spicco come Messina Denaro, a cui i percorsi di transito svizzeri (e forse non solo quelli) di opere d’arte trafugate, dovrebbero essere quanto meno noti, un tentativo vada certamente fatto; se non altro per capire se, nel frattempo, nella faccenda ci sono stati sviluppi. Ma senza voler per forza smorzare la speranza, contare su rivelazioni eclatanti e risolutive, sembra quanto meno semplicistico. La “latitanza” (sebbene forzata) della Natività del Caravaggio, supera di oltre vent’anni quella di Messina Denaro, e va tenuto conto che in tutto questo tempo, la tela potrebbe essere stata trasportata ovunque. Ed è per questo che nulla va lasciato di intentato, né sentiero non battuto.

L’auspicio è, anzitutto, che il dipinto sia ancora presente da qualche parte, nel mondo, che sia opportunamente conservato e che non abbia subito danni irreparabili; e poi, che qualunque informazione venga fornita, essa non interrompa o sostituisca i percorsi delle ricerche in corso, né precluda la possibilità di intraprenderne altri a prescindere dalla quantità e qualità delle eventuali dichiarazioni di Messina Denaro. Il ritrovamento di un’opera di immenso valore per il patrimonio artistico italiano, come la Natività del Caravaggio, non sarebbe soltanto la “soluzione di un caso”, e la costanza con cui sono state condotte le indagini, nel tempo, è già indicativa che la questione va ben oltre la mera ottemperanza giuridica.

L’arte, ma la cultura in generale, sono elementi fondanti e identitari del nostro Paese, valori che si oppongo – non solo concettualmente – all’oscurantismo e alla povertà intellettuale su cui poggia l’intera impalcatura del crimine organizzato. Qualche tempo fa ho scritto che

«la Natività paga un prezzo altissimo alla sua assenza. Non ci hanno portato via un quadro ma un pezzo della nostra storia, della nostra identità culturale. Qualcosa che ci appartiene anche più della vita perché ci sopravvive. Chi di dovere, ai piani alti di questo assurdo paese, dovrebbe cominciare a riflettere seriamente sul concetto di “patrimonio artistico” e sul dovere imprescindibile di preservarlo. Ne va dell’ONORE di un’intera nazione.»

Ebbene, aver assicurato alla giustizia l’ultimo padrino di Cosa Nostra sancisce la vittoria della legalità sul malaffare; riportare a casa la Natività sarebbe la vittoria della cultura, che arricchisce e nobilita un popolo, su ogni forma di ignoranza, che lo rende servo.

Francesca SARACENO  Catania, 29 gennaio 2023.