“La bilancia e la spada”. Storie di processi, sentenze ed esecuzioni capitali a Castel Sant’Angelo. Una mostra che racconta le “storie di Giustizia” (fino al 1° Ottobre).

di Nica FIORI

Un monumento come Castel Sant’Angelo, nato come Mausoleo di Adriano nel II secolo d.C. e successivamente trasformato in fortezza papale, si presta indubbiamente a innumerevoli possibilità di visite culturali, grazie alla sua storia straordinaria e ricca di aneddoti, la sua ricchezza in opere d’arte, i suoi cortili e i passaggi labirintici su più piani che hanno ispirato a Piranesi le “Carceri d’invenzione” e a Puccini l’armoniosa musica della “Tosca”, la cui protagonista si getta dall’alto del Castello dopo che il suo amante è stato torturato e fucilato.

Proprio traendo spunto dal suo passato di carcere e di luogo di esecuzioni capitali tra il XV e il XIX secolo, è stata ideata la mostra che si tiene nei suoi spazi espositivi, “La bilancia e la spada. Storie di giustizia a Castel Sant’Angelo”, a cura di Mariastella Margozzi, Direttrice del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, con Vincenzo Lemmo, Michele Occhioni, Laura Salerno (dal 20 giugno al 1° ottobre 2023).

1 Locandina

Si tratta di un’esposizione particolarmente affascinante perché racconta le vicende di noti personaggi che vi sono stati rinchiusi, hanno subito dei processi e in alcuni casi sono stati condannati alla pena capitale. La locandina mostra una fanciulla con gli occhi bendati e dietro di lei il boia con la scure pronto a decapitarla. Il pensiero corre subito a Beatrice Cenci e in effetti è lei che è stata così raffigurata dal francese Paul De La Roche in un grande dipinto a olio (1860 ca., Germania collezione privata) presente in mostra.

2 Paul De La Roche, La morte di Beatrice Cenci per decapitazione, 1860 ca. olio su tela., Coll. privata
3 Ginevra Cantofoli, Donna con turbante, 1630 ca., olio su tela, Roma Gallerie Nazionali di Arte Anticaj

Molto più celebre è il suo presunto ritratto, un tempo attribuito a Guido Reni e ora restituito alla pittrice bolognese Ginevra Cantofoli (olio su tela, 1630 ca., Roma Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini), che la fa apparire nell’atteggiamento dolcissimo di una vergine martire, con un turbante bianco in testa.

A questa protagonista di una delle più fosche tragedie della Roma rinascimentale è dedicata la prima sala del percorso espositivo, che illustra con dovizia di particolari una storia vera, ma che nel tempo ha assunto una connotazione leggendaria.

Beatrice era una giovane romana di nobile famiglia che, non potendo più sopportare il padre Francesco Cenci, uomo violento e dissoluto che costringeva i figli e la seconda moglie a subire abusi di ogni sorta, nel 1598 organizzò la sua uccisione, con la complicità dei famigliari e del castellano Olimpio Calvetti, simulando una morte accidentale. Il fattaccio avvenne nella Rocca di Petrella Salto (Rieti), dove la famiglia viveva segregata. Inizialmente non furono svolte indagini ma ben presto voci e sospetti, alimentati dalla cattiva fama del conte Francesco e dagli odi che aveva suscitato tra i suoi parenti, indussero le autorità ad indagare sul reale svolgimento dei fatti. I sospettati dell’omicidio, che subito dopo l’uccisione erano tornati a Roma, furono imprigionati e torturati. Vennero tutti condannati a morte, tranne il fratello più piccolo, condannato a remare nelle galere perché, pur non avendo partecipato al complotto, aveva comunque taciuto la cosa.

Beatrice venne giustiziata nella piazza di Ponte, davanti a Castel S. Angelo, l’11 settembre del 1599. All’esecuzione devono aver assistito anche Caravaggio, Orazio e Artemisia Gentileschi, insieme a una gran folla che nella dura ed esemplare sentenza vide piuttosto un atto di inclemenza, finalizzata a incamerare da parte dello Stato Pontificio le proprietà della famiglia.

Lorenzo Vallés, Il cadavere di Beatrice Cenci steso sul ponte degli Angeli a Roma, 1860. Coll. privata

In mostra viene ricordata la vicenda nei minimi particolari, comprese le decapitazioni di Beatrice e della matrigna e lo squartamento del fratello più grande. L’avvocato Prospero Farinacci, un “principe del foro” del tempo, del quale è in mostra un suo ritratto del Cavalier D’Arpino, non riuscì a evitare il patibolo alla fanciulla che, pur avendo alla fine ammesso la sua colpa, passò agli occhi del popolo come una “vergine innocente” e divenne poi l’eroina di innumerevoli poeti e scrittori, tra cui P. Bessie Shelley, Alexandre Dumas padre, Domenico Guerrazzi e tanti altri. Tra l’altro la leggenda vuole che il suo fantasma inquieto, con la testa in mano, ritorni ogni sera dell’11 settembre sul ponte degli Angeli, a ricordare la sua decapitazione.

5 Francesco Ferrucci detto del Tadda, Probabile ritratto di Benvenuto Cellini, 1555-70, Firenze Musei del Bargello

Andando avanti nel percorso nelle Armerie superiori incontriamo un personaggio come Benvenuto Cellini (1500-1571), grande scultore e orafo, la cui fama è dovuta forse più alle avventurose vicende della sua “Vita” pubblicata nel 1728 (più di un secolo e mezzo dopo la sua stesura), che non alle opere d’arte. Proprio a Castel Sant’Angelo egli si trovò in momenti gloriosi, come quando, sparando da un balcone, uccise il comandante delle truppe imperiali che nel 1527 assediavano Roma e che avrebbero dato luogo al celebre Sacco (ma il suo racconto potrebbe essere un po’ fantasioso), e in altri casi come prigioniero. Nel 1538 infatti Cellini vi venne imprigionato, in quanto accusato di furto nella tesoreria del papa. Fu rinchiuso in una cella riservata alle persone di riguardo, da dove riuscì a evadere facendo una corda con le lenzuola; fu nuovamente catturato e questa volta temette di essere gettato in una delle celle più spaventose della prigione, detta Sammalo o San Marocco. Il condannato vi veniva calato dall’alto e lo spazio era talmente stretto che il prigioniero non poteva stare né in piedi né sdraiato. Cellini, per sua fortuna, non vi fu rinchiuso e fu poi perdonato e liberato.

5 Sala dedicata a Benvenuto Cellini

La sua fama viene ricostruita attraverso la prima edizione della sua Vita, un ritratto eseguito da un suo allievo e una serie di dipinti, tra cui quello che lo raffigura convalescente a letto mentre suona il flauto e un altro che lo mostra mentre presenta il bozzetto del Perseo a Cosimo I de’Medici.

7 Amos Cassioli, Benvenuto Cellini presenta il bozzetto del Perseo a Cosimo I de’ Medici, 1876 ca., Siena Coll. Roberto Bianchi
8 Il conte di Cagliostro.

Il Conte di Cagliostro, il cui vero nome era Giuseppe Balsamo (1743-1795), è stato pure lui incarcerato a Castel Sant’Angelo in seguito alla denuncia della moglie Lorenza Feliciani e, dopo la condanna per eresia da parte del Sant’Uffizio, venne trasferito nella Rocca di San Leo, dove avrebbe finito i suoi giorni. Anche Cagliostro è un personaggio talmente famoso come mago, alchimista e ciarlatano, fondatore di logge massoniche e frequentatore di alcune corti europee, da aver ispirato numerosi letterati, tra cui Dumas padre, autore dei romanzi “Giuseppe Balsamo” e “La collana della regina”.

La sua passione per l’esoterismo lo accomuna al medico e alchimista Francesco Borri (1627-1695), il quale, dopo una vita avventurosa e un processo per eresia, fu arrestato a Vienna e condotto a Roma, dove fu rinchiuso in Castel Sant’Angelo una prima volta nel 1672 e poi dal 1691 fino alla sua morte.

A lui viene attribuita la famosa “Porta alchemica” (detta anche “Porta magica” o “del cielo”) attualmente visibile nei giardini di Piazza Vittorio, vicino ai cosiddetti Trofei di Mario. Sarebbero sue le formule (in realtà misteriose scritte in latino e una in ebraico, accostate a simboli planetari) riprodotte sulla porta, che apparteneva un tempo alla villa del marchese Massimiliano Palombara (anche lui appassionato cultore di alchimia e frequentatore del circolo romano di Cristina di Svezia) e che secondo la leggenda avrebbero permesso la trasmutazione del piombo in oro.

Una delle cose più affascinanti della mostra è proprio l’installazione digitale dedicata alla Porta magica (collocata alla fine della “rampa diametrale” del Castello), il cui linguaggio ci catapulta nella Roma esoterica del Seicento, a partire dal vistoso medaglione circolare posto sull’architrave, che contiene al suo interno l’esagramma della stella a sei punte, ottenuto mediante l’intersezione di due triangoli, l’uno inverso all’altro, simbolo della perfetta complementarità dei principi opposti. Questo legame tra gli opposti trova riscontro nelle epigrafi in latino disposte nel cerchio, dove figurano tre delle antitesi più frequenti nell’alchimia medievale e che, sia pure con altro spirito, sono presenti nella poesia del Paradiso di Dante: il Dio e l’Uomo, la Madre e la Vergine, il Trino e l’Uno.

9 Installazione digitale della Porta Magica

Sempre inquadrato in questo gusto dei contrari è il verso palindromo in latino inciso sulla soglia: Si sedes non is (Se stai fermo non vai avanti), che letto da destra verso sinistra suona: Si non sedes is (cioè, se non stai fermo vai avanti), un chiaro invito a proseguire instancabilmente nella via della ricerca, solo mezzo per raggiungere ciò cui si aspira.

In questa prima sezione vediamo anche come, a partire dal XVII secolo, Castel Sant’Angelo perde un po’ alla volta il ruolo di residenza pontificia per diventare quasi esclusivamente un carcere politico, dove oppositori del dominio temporale, carbonari e patrioti finiscono i loro giorni di prigionia, almeno fino al settembre del 1870, quando Roma viene annessa al Regno d’Italia. Le sue celle hanno conservato numerose iscrizioni a graffito, che ci appaiono oggi come crude e disperate testimonianze di vita e di dolore. Le esecuzioni venivano svolte nella Piazza delle Fucilazioni, davanti alla Cappella dei Condannati.

10 Michele Tripisciano, Giuseppe Gioachino Belli, gesso 1911, CaltanissettaMuseo Tripisciano

Un focus è dedicato al celebre poeta Giuseppe Gioachino Belli, autore del sonetto “La madre der condannato”, e un altro è riservato alla “Tosca” di Giacomo Puccini, un’opera lirica in tre atti con libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica derivato dall’omonimo dramma di Victorien Sardou. Il protagonista (di fantasia) è il pittore Mario Cavaradossi, che nel 1800 viene fucilato nel Castello per aver aiutato un rivoluzionario. Suo antagonista è il famigerato conte Scarpia, davanti al quale “tremava tutta Roma”, che Floria Tosca, la cantante amante di Cavaradossi, riesce ad uccidere, senza tuttavia riuscire nel suo intento di salvare l’amato e sé stessa.

11 Locandina della Tosca
12 Focus dedicato a Giordano Bruno

Nelle altre sezioni della mostra, che proseguono nella Sala di Clemente VIII e in altri ambienti, ci colpiscono il settore dedicato al monumento di Ettore Ferrari a Giordano Bruno, il celebre filosofo e frate domenicano condannato al rogo per eresia nel 1600, quello relativo alle armi e duelli al tempo di Caravaggio, la storia del brigante Gasparone (rievocata su queste pagine da Francesco Petrucci Cfr https://www.aboutartonline.com/un-raro-ritratto-del-brigante-gasbarrone-di-bartolomeo-pinelli-a-palazzo-chigi-in-ariccia/  ) e gli oggetti di giudizio e della pena a Roma nel XIX secolo, con le testimonianze di Mastro Titta il boia di Roma.

14 Ascia per le decapitazioni proveniente da Castel Sant’Angelo, Roma Museo Criminologico
Bartolomeo Pinelli, Ritratto del brigante Antonio Gasbarrone, 1825, acquaforte acquerellata su carta, Ariccia, Palazzo Chigi

Di straordinario impatto artistico è la serie delle incisioni di Giovanni Battista Piranesi delle Carceri d’invenzione (ottenute dalle matrici originali settecentesche) e qui il mio pensiero va ad alcuni versi del poema Clarel (1876) del grande Herman Melville, che riescono a rendere poeticamente l’atmosfera cupa di luoghi come Castel Sant’Angelo o il Carcere Mamertino, nei quali Piranesi vedeva forse una prigione interiore, più che fisica:

Nelle più rare incisioni di Piranesi / gl’interni sconfinatamente strani, / dove il sospettoso pensiero / può spaziare con cupi, continui presentimenti, / a che cosa fanno accenno? Scale / su scale foscamente salgono / in successione dalle infossate cupe Bastiglie. / Pozzo sopra pozzo; ordini su ordini / di gallerie ombrose, sospese / su loggiati, loggiati senza fine: / altezza e profondità – il prossimo, il remoto; / cerchi di ferro ai pilastri in camminamenti / coperti, e, infisse in essi, catene / di Radamanto; e tutto ciò è meno stregato / di certe allusive camere chiuse.

(…)

La cosa cui qui si allude è l’uomo stesso, / i penetrali in cui si ritrae, / il suo cuore fitto di labirinti: / nelle grottesche dei segni discerni / il mistero d’iniquità di San Paolo: (…)”.
15 Giovanni Battista Piranesi, acquaforte della serie Carceri d’invenzione 1761, Roma Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo

Ed è proprio una parola come “iniquità” che potremmo contrapporre alla Giustizia, a volte troppo dura, di un passato nel quale la simbolica “bilancia” non sempre era imparziale e la “spada” del potere faceva forse troppe vittime.

Nica FIORI   Roma  25 Giugno 2023