“La bellezza è la vita quando la vita si rivela” (Kahlil Gibran). Dalle Matres di Capua alla genesi dell’arte come dono.

di Francesca PIROZZI

Dal 13 febbraio al 26 marzo 2023 la Sala delle Matres Matutae del Museo Provinciale Campano di Capua (CE) ospita bi-personale di Clara Garesio e Giuseppe Pirozzi dal titolo Genesi, a cura di Lorenzo Fiorucci.

La mostra – che ha il Matronato dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee di Napoli e i Patrocini del Comune di Capua, della Provincia di Caserta, dell’AiCC – Associazione Italiana Città della Ceramica e della rivista La Ceramica Moderna & Antica – propone al pubblico un duplice itinerario attraverso l’ampia e variegata produzione espressa dai due maestri nel lunghissimo percorso della loro attività artistica. Si tratta di un’accurata selezione di sculture prevalentemente fittili – tutti esemplari unici, tra cui alcuni bronzi e alcune opere storiche inedite – che dialogano tra loro, con gli spazi e con gli straordinari reperti museali, così da stabilire rimandi di senso e di forma-colore-materia.

La collezione delle Matres Matutae del Museo di Capua costituisce una tra le più interessanti raccolte esistenti di sculture riproducenti l’antica divinità italica, venerata come dea dell’aurora, del principio e della nascita e come protettrice delle partorienti. Essa è ospitata nello storico Palazzo Antignano di Capua, nelle sale della sezione archeologica del museo che recentemente sono state oggetto di una elegante ristrutturazione e di un nuovo percorso/allestimento minimale, che valorizza l’insieme dei reperti scultorei, consentendo al visitatore di coglierne la persistenza del tema iconografico e l’omogeneità degli essenziali aspetti stilistico-formali.

Clara Garesio, Piatti-dono, terracotta dipinta con smalti policromi, c. 1980

Si tratta, in effetti, di statue in tufo dal carattere vigoroso, riproducenti una donna seduta su una sedia gestatoria in posa ieratica, con uno o più bambini in fasce in braccio e sul grembo. Risalenti presumibilmente a un arco di tempo che va dal VI al II sec. a.C., esse furono realizzate per essere donate al santuario dedicato alla Mater Matuta, con finalità propiziatoria e/o di ringraziamento per la concessione della fecondità e della salute della puerpera e della prole, pertanto rappresentano la testimonianza più toccante del culto col quale gli antichi popoli campani onoravano il mistero della vita, considerando la maternità come un dono divino e proiettando l’evento della nascita umana, al pari di ogni altra forma di generazione, in una dimensione di poetica spiritualità.

Clara Garesio, Offertorio, terracotta dipinta con smalti policromi, 2000-2015

I temi della genesi e del dono appaiono centrali nella mostra, in quanto, non soltanto le sculture delle Matres Matutae sono esse stesse, in quanto simulacri votivi, un dono dell’uomo al divino in segno di riconoscenza per la sua benevolenza, ma anche perché la vita, nei suoi multiformi aspetti, è celebrata attraverso le opere custodite in questo luogo come dono celeste e il benessere di ogni essere vivente è ricondotto alla possibilità di fruire della grazia e delle preziose risorse che la Madre Natura elargisce nei suoi eterni cicli di nascita, morte e rinascita.

Nelle società arcaiche il dono è, infatti, il riflesso di una particolare visione del mondo caratterizzata dalla percezione dell’ambiente naturale come entità viva, che concede abbondanti regali agli esseri viventi a patto di essere ricambiata con rispetto e gratitudine. In tal senso, il dono è il tramite attraverso il quale l’uomo stabilisce una relazione con il divino e tutela l’equilibrio tra il proprio mondo e le energie cosmiche, ma esso è anche, in generale – come scrive Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono (1924) –  la modalità attraverso cui si organizza il sistema di scambi e di reciprocità tra l’individuo e gli altri membri della comunità, nella misura in cui il paradigma dei tre gesti circolari del donare-ricevere-ricambiare costituisce un obbligo morale capace di generare e mantenere in vita le relazioni, determinando in questo modo l’identità del gruppo sociale.

In campo estetico il concetto di arte come dono rimanda al bisogno innato dell’artista di donare sé stesso, il frutto della propria ispirazione e del proprio lavoro creativo – che sono entrambi per tradizione a loro volta doni elargiti dalle muse – e di mettersi in relazione con il fruitore della propria opera. In tale prospettiva l’arte è prima di tutto ricerca ed esplorazione della profondità dell’essere, quindi è azione e trasformazione e, infine, è partecipazione e comunicazione e quindi dono.

Come scrive Lewis Hyde, nel suo saggio Il dono. Immaginazione e vita erotica della proprietà (1983):

«La creazione artistica che ci tocca, che commuove il cuore, vivifica l’anima, delizia i sensi o ci dà il coraggio di continuare a vivere, in qualunque modo vogliamo descrivere l’esperienza, viene ricevuta come si riceve un dono»,

nel senso che quando l’opera d’arte diventa oggetto di contemplazione da parte del pubblico essa risveglia in chi la osserva sentimenti ed emozioni gratuiti e ciò ne testimonia la natura autentica ed “erotica” al pari di un dono.

Giuseppe Pirozzi, Buio, terracotta ingobbiata, 2021

Ciò è senza dubbio vero per le opere di Garesio e di Pirozzi, nelle quali la maestria esecutiva – frutto di eccellenti percorsi formativi e di lunghi anni di ricerca e di pratica diligente –, unita all’intensità espressiva delle forme e dei valori materici e cromatici, produce nell’osservatore, di riflesso all’esperienza creativa vissuta dall’artista, una moltitudine di sensazioni, che dal livello estetico si riverberano alla sfera personale e più intima delle emozioni, risvegliando immagini e ricordi e schiudendo nuovi orizzonti di coscienza. Infatti, al di là della diversità dei linguaggi adottati dai due artisti e dell’autonomia delle loro ispirazioni, inclinazioni e modalità di indagine ed elaborazione dell’universo (interiore e cosmico), nel loro comune approccio non-razionale al processo artistico esiste un unico principio creativo che si basa sull’amore incondizionato e sulla piena libertà del lavoro.

Giuseppe Pirozzi, Respiro, terracotta ingobbiata, 2018, foto Angelo Marra

Questa condizione, per entrambi assolutamente connaturata, li ha tenuti, in tutto l’arco della loro esperienza artistica e di vita, al riparo dalla logica corrente utilitaristica dell’economia di mercato, la quale comporta l’assimilazione dell’opera d’arte a una merce e la sua valenza ridotta a mero valore commerciale, e ha preservato il carattere “erotico” – per dirla con Hyde – del loro atto creativo, in quanto gesto eversivo di apertura, fiducia e gratitudine nei confronti dell’altro da sé, nella misura in cui, nel loro caso, l’opera racchiude in qualche modo l’energia vitale dell’autore, il suo tempo, la sua immaginazione, la sua storia, ed è per questo espressione dell’offerta – del dono – del proprio Io all’altro.

Come scrive il curatore Fiorucci: «La scultura di Clara Garesio ricorre al valore emotivo del colore come elemento di connessione con un mondo immaginale, dove la sterminata fantasia dell’artista non trova soluzione di continuità in una produzione quanto mai ampia ed emozionalmente travolgente. L’artista nata a Torino, ma napoletana d’adozione, sembra aver fatto suo il paesaggio cromatico mediterraneo, pur mantenendo nelle sue invenzioni quel rigore formale e quell’attenzione al dettaglio propri del carattere piemontese. Una ceramica, la sua, generata dalla libera creatività della mente e dalla sapiente guida delle mani, che rinsalda la tradizione del felice connubio tra materia e colore e nella quale, più che alla forma, l’impianto costruttivo e narrativo dell’opera è affidato ai segni e ai valori tattili e luministici di superfice, generativi di immagini spesso fantastiche a cui i vivi cromatismi degli smalti donano un’intensa liricità.

Giuseppe Pirozzi, sculture, terracotta, bronzo, 1979-2015

Giuseppe Pirozzi viene da un’altra storia, che vede nella modellazione dell’argilla il primo esercizio dello scultore e impronta pertanto la propria ricerca nel dialogo tra la materia e l’oggetto, pervenendo negli anni a una sintesi personale attraverso una narrazione che procede per associazioni affioranti liberamente dalla memoria, ossia ricorrendo a un codice espressivo basato sulla composizione di frammenti figurativi e oggettuali, “saldati” dall’elemento organico della materia. In lui la materia ceramica è denudata da ogni riferimento cromatico complesso, cosicché la forma plastica si esprime pienamente nel colore naturale della terra, talvolta con l’aggiunta essenziale di ingobbi, sotto forma di un apparente caos compositivo, omaggio estremo alla fluidità della mente che si affida al sentimento autentico del pensiero magico, più che alla fredda rigidità di uno schema razionale predeterminato».

Clara Garesio, Achille e Aiace, terracotta dipinta con smalti policromi, 2007, foto Angelo Marra

In questo senso la mostra testimonia, attraverso il dialogo stretto tra le Matres Matutae e le opere di Garesio e di Pirozzi, che, oggi come in antico, donare è un’arte e l’arte vera è un dono, in quanto non risponde (soltanto) alle esigenze del mercato o al soddisfacimento di bisogni e interessi personali, ma esiste nella sfera del dono in cui essa miracolosamente si compie e in cui si dà.

Francesca PIROZZI  Roma 19 Febbraio 2023