“Il Tocco di Pigmalione”. Rubens e l’avvio del Barocco. Alla Galleria Borghese una grande mostra sugli anni romani del genio fiammingo.

di Nica FIORI

IL TOCCO DI PIGMALIONE. La mostra alla Galleria Borghese sul rapporto di RUBENS con la scultura a Roma

Uno dei miti antichi più affascinanti è quello di Pigmalione, uno scultore di Cipro che avrebbe modellato una statua femminile di incomparabile bellezza, della quale si sarebbe ardentemente innamorato.

Avendo lui chiesto agli dei di concedergli in sposa una donna uguale alla sua scultura, Venere s’impietosì ed ecco che la statua perse la sua rigidità, si scaldò e cominciò a respirare.

Traendo spunto da questa mitica trasformazione della materia inerte in carne viva, la Galleria Borghese propone la mostra Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, incentrata sul rapporto del genio fiammingo Peter Paul Rubens (Siegen 1577 – Anversa 1640) con la scultura e in particolare con i grandi gruppi berniniani della Collezione Borghese. È solo avvicinandosi alla statuaria antica attraverso il tocco, il disegno e l’amore che si acquisisce la capacità di far diventare il marmo carne e di suscitare emozione. E questo vale sia per uno scultore del calibro di Gian Lorenzo Bernini sia per un grande pittore come Rubens, che nel suo trattato incompiuto De imitatione statuarum (scritto probabilmente intorno al 1610) spiega come sia possibile il processo di trasposizione di valori formali dalla scultura alla pittura, annullando i confini tra queste forme artistiche.

Una trasposizione che appare straordinariamente evidente nell’immagine guida della mostra, il doppio ritratto di Agrippina e Germanico (1614 ca., olio su tavola, National Gallery of Art, Washington), che ricalca la nitidezza delle medaglie e delle gemme antiche, vivificando i due volti.

Locandina

L’esposizione romana, a cura della direttrice della Galleria Borghese Francesca Cappelletti e di Lucia Simonato, costituisce la seconda tappa di Rubens! La nascita di una pittura europea, un grande progetto realizzato in collaborazione con Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova, che intende raccontare i rapporti tra la cultura italiana e l’Europa attraverso gli occhi del grande Maestro della pittura barocca.

Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma. Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli ©Galleria-Borghese.

Rubens trascorse gran parte della sua vita ad Anversa ed ebbe un ruolo fondamentale nella definizione della cultura figurativa del Nord Europa cattolico. Egli venne avviato agli studi umanistici, ma li interruppe per entrare come apprendista nelle botteghe dei pittori fiamminghi Tobias Verhaecht e Adam van Noort, e poi presso Otto van Veen, che aveva una solida conoscenza dell’arte italiana. La formazione letteraria, la facilità nel parlare diverse lingue e l’amabile temperamento favorirono il suo successo nella carriera diplomatica (alle dipendenze di Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova, come pure di Maria de’ Medici, moglie di Enrico IV re di Francia e madre di Luigi XIII) e gli assicurarono, allo stesso tempo, prestigiosissime commissioni e il consolidamento di una fama dominante a livello culturale europeo. Basti pensare che fra i pittori cresciuti nell’ambito rubensiano figurano grandissimi nomi come Antoon van Dick e Jacob Jordaens.

Ma indubbiamente fu fondamentale per Rubens il soggiorno italiano tra il 1600 e il 1608: fu in quegli anni che il pittore assorbì quelle lezioni di stile e cultura figurativa che connotarono in senso classico la sua arte, rispondendo allo stesso tempo all’estetica enfatica e teatrale prescritta dai dettami della Controriforma. Rubens amava talmente l’Italia che, quando la lasciò per raggiungere in patria la madre morente, ne conservò sempre un nostalgico ricordo.

Come racconta Giovan Pietro Bellori nella sua Vita di Rubens (in Le Vite de’ Pittori, Scultori et Architetti Moderni, 1672):

“Haveva egli adunato marmi, e statue, che portò, e fece condursi di Roma con ogni sorte di antichità, medaglie, camei, intagli, gemme e metalli; e fabbricò nella sua casa in Anversa una stanza rotonda con un solo occhio in cima à similitudine della Rotonda di Roma, per la perfettione del lume uguale, et in questa collocò il suo prezioso museo, con altre diverse curiosità peregrine. Raccolse ancora molti libri, et adornò le camere parte di quadri suoi originali, e parte di copie di sua mano fatte in Venetia, et in Madrid da Tiziano, da Paolo Veronese, e da altri pittori eccellenti”.

Con oltre 50 opere provenienti dai più importanti musei al mondo – tra cui il British Museum, il Louvre, il Met, la Morgan Library, la National Gallery di Londra, la National Gallery di Washington, il Prado, il Rijksmusem di Amsterdam – la mostra è divisa in otto sezioni (Il mito del Barocco, Rubens e la storia, Corpi drammatici, Corpi statuari, Rubens e Caravaggio, La nascita della scultura pittorica, Il tocco di Pigmalione, Rubens e Tiziano) che permettono felici accostamenti tra le opere prestate e quelle della Galleria ospitante. Sono opere pittoriche, grafiche e scultoree che sottolineano il contributo straordinario di Rubens, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione dell’antico e dei concetti di “naturale” e di “imitazione”, documentando allo stesso tempo lo studio appassionato e libero dalla statuaria greco-romana e la sua capacità di rileggere esempi rinascimentali e di confrontarsi con i contemporanei.

Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma. Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli ©Galleria Borghese.

Indispensabile per capire l’operato di Rubens è la visione delle sue opere grafiche, nelle quali, per tradurre in carne il marmo, egli insiste sulle cosiddette “maccature”, le morbide pieghe della pelle umana o anche di animali, grazie alle quali la figura appare viva.

Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la Scultura a Roma. Galleria Borghese Ph A. Novelli © Galleria Borghese

L’attenzione rivolta alla statuaria antica, che proponeva anatomie perfette, torsioni e muscolature erculee, diventa per il pittore non solo la via per arrivare a un nuovo naturalismo, ma anche per recuperare esempi “virtuosi” di personaggi mitici e storici che trasforma in “martiri” dell’ingiustizia, come è evidenziato nella prima sala nell’emozionante Prometeo incatenato (olio su tela, 1611-1612, Museum of Art, Filadelfia), la cui aquila è stata eseguita da Frans Snyders, e nella Morte di Seneca (olio su tela 1612-1613, Museo del Prado, Madrid), raffigurante il suicidio del filosofo romano, che, secondo quanto riferisce Tacito, si era tagliato le vene su comando dell’imperatore Nerone, del quale era stato precettore. Nella prima opera sembra di cogliere un riferimento al celebre Laocoonte dei Musei Vaticani, mentre nell’altra ancora più esplicita è la derivazione da una statua romana in marmo bigio (ora al Louvre, ma un tempo nella collezione Borghese), raffigurante un vecchio con i piedi all’interno di una vasca, e con il corpo nudo indebolito dalla vecchiaia. Per creare questo capolavoro, l’artista studia la statua da diversi punti di vista, come documentato in mostra, poi vi aggiunge il volto di un ritratto antico noto come Pseudo-Seneca, del quale è pure presente un disegno.

 4-Peter-Paul-Rubens-con-Frans-Snyders-Prometeo incatenato Installation view. Galleria Borghese.Ph A. Novelli ©Galleria Borghese.
5-Focus espositivo dedicato alla Morte di Seneca

Numerosi studi del grande Maestro sono relativi al corpo umano, che viene indagato, a partire dall’antico, studiato dal vero e interpretato alla luce della lezione dei maestri del Rinascimento, tra cui Michelangelo. Un disegno a matita rossa del Metropolitan Museum of Art di New York appare come un’interpretazione del Torso del Belvedere che nasce dallo studio della volta della Cappella Sistina. Nel disegno dell’Ercole che strangola il leone Nemeo del Louvre, lo sforzo muscolare michelangiolesco è, però, impensabile senza la lezione sulla forza di Leonardo e già prelude alle torsioni di Bernini, che saranno poi quelle della scultura barocca.

Tra le figure “statuarie” di Rubens troviamo anche il San Sebastiano curato dagli angeli, un dipinto giovanile (olio su tela, 1602-1604, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma), accostato alla piccola scultura in avorio raffigurante San Sebastiano di Georg Petel (1630, Bayerisches Nationalmuseum, Monaco di Baviera) e il Cristo risorto (1616, Galleria Palatina, Firenze): sono opere in debito con sculture antiche come il Torso del Belvedere, ma vibranti di pathos e di eroismo cristiano.

6 San Sebastiano curato dagli angeli, Galleria Nazionale di Arte Antica Palazzo Corsini Roma ph-E.Fontolan
7-Gian Lorenzo Bernini Il Ratto di Proserpina 1621-1622.

La drammaticità e la corposità dei corpi rubensiani, che si ergono statuari con i loro colori impastati di luce calda, diventano nuovi modelli per la scultura. Nei primi decenni del Seicento le intuizioni formali e iconografiche di Rubens filtrano nel ricco e variegato mondo romano, anche attraverso la presenza in città di pittori e scultori che si erano formati con Rubens ad Anversa, come Van Dyck e Petel, o che erano entrati in contatto con le sue opere nel corso della loro formazione, come François Duquesnoy e Joachim von Sandrart, garantendo l’accessibilità dei suoi modelli a una generazione di artisti italiani ormai abituati a confrontarsi con l’Antico, alla luce dei contemporanei esempi pittorici e sulla base di un rinnovato studio della Natura. Tra tutti spicca Bernini, i cui gruppi borghesiani realizzati negli anni Venti del Seicento rileggono celebri statue antiche, come l’Apollo del Belvedere o il Torso del Belvedere, per donare loro movimento e tradurre in carne il marmo. E dal confronto delle opere di Rubens con le sculture di Bernini si notano delle affinità tra i due artisti. Secondo lo scrittore tedesco August Wilhelm von Schlegel, le mani di Plutone affondate nella carne di Proserpina erano una prova di “fiamminghità” e alcuni viaggiatori tedeschi alla fine del Settecento giunsero a paragonare le donne scolpite da Bernini a “balie fiamminghe”.

“In questa sfida tra le due arti, – afferma Lucia Simonato Rubens dovette apparire a Bernini come il campione di un linguaggio pittorico estremo, con cui confrontarsi: per lo studio intenso della natura e per la raffigurazione del moto e dei ‘cavalli in levade’ suggeriti dalla grafica vinciana, che sarebbero stati affrontati anche dallo scultore napoletano nei suoi marmi senili con la stessa leonardesca “furia del pennello” riconosciuta da Bellori al maestro di Anversa; infine anche per i suoi ritratti, dove l’effigiato cerca il dialogo con lo spettatore, proprio come accadrà nei busti di Bernini per i quali è stata coniata la felice espressione di speaking likeness”.

Sembrano effettivamente “parlanti” i due ritratti berniniani del suo vecchio mecenate Scipione Borghese (1632, marmo di Carrara, Galleria Borghese), affiancati in mostra al ritratto, realizzato da Rubens, del medico e antiquario Ludovicus Nonnius (olio su tavola, ca. 1627, National Gallery, Londra), un belga di origine portoghese. Per rimarcare la sua professione, l’uomo ha alle sue spalle il busto di Ippocrate e mostra il suo libro relativo allo studio sistematico degli alimenti dal punto di vista medico-igienico.

8 Peter Paul Rubensì, Ritratto di Ludovicus Nonnius. Installation view. Galleria Borghese. Ph-A.-Novelli-©-Galleria-Borghese

Tra i dipinti di Rubens nei quali si riconoscono motivi della statuaria antica, c’è anche l’Allegoria della Guerra (ca. 1628, olio su tavola, Liechtenstein-Austria The Princely Collection) ispirato a una battaglia attualissima, nell’ambito della Guerra dei Trent’anni, forse studiata dal vero dall’artista nel corso di un viaggio da Anversa a Madrid.

9-Allegoria della guerra 1628 Liechtenstein The Princely Collection

La figura femminile che esprime un intenso dolore sembra derivare dal rilievo della Dacia capta dei Musei Capitolini, mentre sullo sfondo alcuni cavalieri denotano l’interesse per l’intrecciarsi di reazioni umane e ferine che rimanda ai disegni di Leonardo per la Battaglia di Anghiari, l’affresco commissionato per il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. Ai tempi del soggiorno in Italia di Rubens, l’affresco era già stato coperto, ma il pittore riuscì a vedere le tracce esistenti del lavoro leonardesco a Madrid presso lo studio di Pompeo Leoni.

10-Anonimo XVI secolo Cavaspina ph M. Coen © Galleria Borghese Roma

Ed è proprio un piccolo disegno del 1503-1504 di Leonardo, Due mischie tra fanti e cavalieri, prestato dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, a essere esposto in mostra accanto al disegno di Rubens raffigurante San Giorgio uccide il drago (1606-1607, Louvre) e al ritratto di Luigi XIV a cavallo, realizzato da Bernini (terracotta, 1669-1670, Galleria Borghese).

A meglio illustrare le modalità di assorbimento dell’arte antica da parte di Rubens contribuiscono alcune repliche di capolavori scultorei, tra cui una copia bronzea del Toro Farnese (1613, Galleria Borghese), accostata a un disegno a matita nera del Toro proveniente dal British Museum di Londra, e lo Spinario in marmo, oggi alla Galleria Borghese: una statua tardo-cinquecentesca, più accessibile nel Seicento rispetto al celebre ma deteriorato bronzo capitolino, che tanto aveva stimolato la creatività di precedenti artisti quali Nicola Pisano, Filippo Brunelleschi, Luca Signorelli.

Come dimostrano i disegni di Rubens, davanti a quest’opera egli elabora diverse soluzioni compositive, sulle quali torna a riflettere più volte negli anni. Probabilmente suggerita dallo Spinario è la torsione del busto nella Susanna Borghese (Susanna e i vecchioni, olio su tela datato al soggiorno giovanile di Rubens in Italia, ma attestato nella collezione di Scipione Borghese solo dal 1622), che nella mostra è messa a confronto con una versione più intima dello stesso soggetto, realizzata al rientro ad Anversa (Susanna e i vecchioni, 1614, olio su tavola, Nationalmuseum, Stoccolma). L’interesse per la storia biblica di Susanna deriva probabilmente, oltre che dal confronto con il giovinetto nudo che si toglie la spina dal piede, dalla possibilità di rendere il morbido incarnato del nudo femminile, che di norma era destinato a uno di quegli ambienti delle dimore private che Giulio Mancini nelle sue Considerazioni sulla pittura aveva definito nei primi decenni del Seicento “camare ritirate”.

11-Due studi di un ragazzo British Museum Londra
12-Susanna e i vecchioni ph. M. Coen © Galleria Borghese Roma

Solo alcuni personaggi femminili tratti dalle Sacre Scritture, come la Maddalena o la casta Susanna, potevano essere raffigurati senza veli, mentre la mitologia offriva ben altre possibilità, come nel caso delle Tre Grazie, soggetto trattato più volte dal pittore e proposto in mostra da un olio su tavola monocromo (1620-23 ca. Firenze Galleria Palatina), che dialoga con un gruppo scultoreo del II secolo d.C. (copia romana in marmo pario da un originale ellenistico del II secolo a.C., Museo del Louvre), che un tempo dava il nome a una sala della villa. Il confronto avviene nella sala che ospita i capolavori di Tiziano Venere che benda Amore e Amor sacro e Amor profano, perché Rubens eseguì più volte copie da Tiziano durante il suo soggiorno in Spagna fra il 1628 e il 1629 e ammirò molti capolavori tizianeschi nei suoi viaggi alla scoperta dell’Italia. In mostra troviamo il Giudizio di Paride di Rubens (olio su tavola, 1606-1607, Museo del Prado, Madrid), che abbonda di nudi femminili e di putti, la cui moda era esplosa a Roma con l’arrivo nel 1598 dei Baccanali di Tiziano dal castello di Ferrara alla collezione Aldobrandini. E proprio i putti sono i protagonisti di preziosi rilievi in mostra, tra cui il Baccanale di putti di Giovanni Campi (marmo nero e lapislazzuli, 1649-1650, Galleria Borghese) e Sileno ebbro con Egle e putti di Duquesnoy e Michele Sprinati (bronzo dorato e lapislazzuli, 1664-1665, Anversa, Rubenshuis).

13 Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma. Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli ©Galleria-Borghese.
14 Foto d’insieme

Rubens era un vero fan di Tiziano, ma certamente ha recepito anche il fascino della “rivoluzione caravaggesca” e la mostra giustamente propone un confronto tra Michelangelo Merisi e Rubens nella sala che espone le opere caravaggesche, dove spicca la grande pala della Madonna dei Palafrenieri. Particolarmente evidente appare il rapporto dialettico tra i due artisti nello schizzo preparatorio con il Seppellimento di Cristo (penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, 1615-1617, Amsterdam, Rijksmuseum) di Rubens. La versione caravaggesca dello stesso tema, realizzata per la cappella Vittrice nella chiesa oratoriana di Santa Maria della Vallicella attorno al 1603 (oggi ai Musei Vaticani), Rubens aveva avuto modo di osservarla mentre dipingeva, tra il 1606 ed il 1608, l’imponente pala d’altare con la Madonna della Vallicella, realizzata su ardesia. All’interesse prettamente artistico per le novità luministiche e compositive introdotte da Caravaggio, Rubens aggiunge, nel 1607, il suo apprezzamento per la produzione del Merisi, favorendo l’acquisto, per conto del duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, della Morte della Vergine, che era stata rifiutata dai Carmelitani Scalzi di S. Maria della Scala.

In mostra non troviamo la Deposizione rubensiana di Anversa, ma il Compianto su Cristo morto della Galleria Borghese, un’opera giovanile del 1601-1602, ancora acerba ma piena di energia, risalente probabilmente al suo soggiorno mantovano, dove si colgono gli influssi di Tintoretto e di Correggio, ma anche la lezione di Caravaggio nella luce che fa emergere i protagonisti. In questo dipinto è pure attestato l’interesse per l’antico nella raffigurazione del sarcofago con una scena di compianto da parte di un putto alato.

15 Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma. Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli ©Galleria-Borghese.

16 Peter Paul Rubens Compianto su Cristo morto ph. M. Coen © Galleria Borghese Roma.

L’allestimento della mostra è assolutamente gradevole, perché le opere esposte sono in armonia con quelle della collezione permanente, e offre l’opportunità di approfondire un momento particolarmente aureo della storia artistica di Roma, quando fra i pontificati Aldobrandini e Borghese la città diventa “calamita per gli artisti del Nord Europa”, come sottolinea Francesca Cappelletti, precisando che:

“È il momento della Galleria Farnese di Annibale Carracci e della cappella Contarelli di Caravaggio, di cui si stordisce una generazione. Attraverso gli occhi di un giovane pittore straniero come Peter Paul Rubens guardiamo ancora una volta all’esperienza dell’altrove, cerchiamo di ricostruire il ruolo del collezionismo, e della collezione Borghese in particolare, come motore del nuovo linguaggio del naturalismo europeo, che unisce le ricerche di pittori e scultori nei primi decenni del secolo”.

Nica FIORI   Roma 19 Novembre 2023

“Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma”

Galleria Borghese, piazzale Scipione Borghese, 5 – Roma

14 novembre 2023 – 18 febbraio 2024

Orario: dal martedì alla domenica, dalle 9.00 alle 19.00 (ultimo ingresso alle ore 17.45).

Prenotazione obbligatoria: tel. 06 32810 – www.galleriaborghese.beniculturali.it