Il Secolo di Nicola Grassi. A Pordenone importante mostra sull’arte veneta del Sei e Settecento

di Enrico LUCCHESE

Lo scorso 30 aprile alla Galleria Harry Bertoia di Pordenone ha aperto la mostra Il Secolo di Nicola Grassi. Pittura del Sei e Settecento veneziano, corollario della monografia sul pittore nato a Formeaso di Zuglio, in Carnia, nel 1682 (lo stesso anno di Piazzetta) e morto a Venezia nel 1748, di cui si è già parlato con About Art (Cfr.  https://www.aboutartonline.com/parla-lautore-enrico-lucchese-illustra-la-vita-e-lopera-di-nicola-grassi-un-maestro-del-700-veneto/)

L’esposizione pordenonese, che chiuderà il 10 luglio, è promossa e organizzata dai Lions Clubs del Distretto 108 Ta2, dal Comune di Pordenone – Assessorato alla Cultura e dal Circolo della Cultura e delle Arti della stessa città, patrocinata dalla Regione Friuli Venezia Giulia e con ben ventisette sponsor presenti nel colophon del volume edito per l’occasione da ZeL.

È importante poi segnalare che la rassegna è associata a una raccolta di fondi a scopi benefici, indirizzati alla Fondazione Lions LCIF: un progetto quanto mai attuale, che ha comportato fin dall’inizio la massima attenzione ai costi da sostenere per una mostra d’arte antica di una certa ambizione.

Due anni fa, all’inizio del cammino verso il vernissage, nessuno certo poteva preventivare che una pandemia arrivasse a rendere così difficile, a volte difficilissimo, compiere azioni consuete e obbligatorie per la migliore organizzazione di un evento espositivo: si pensi solo agli incontri con i partner istituzionali e con gli stessi diretti collaboratori, ai rapporti con i prestatori e con gli altri attori (dai trasportatori, agli assicuratori ai restauratori), alla preparazione del volume con tutto l’apparato illustrativo necessario per un libro di storia dell’arte. Eppure, ce l’abbiamo fatta nonostante vari problemi sorti lungo la strada e un certo numero di rinvii della data d’inizio, con conseguente ritardo di quella di conclusione (e relativa riformulazione dei contratti assicurativi, appuntamenti per i trasporti eccetera).

La volontà di portare a felice termine un’impresa di valore è alla radice, letteralmente, del servizio di volontariato che è alla base del mondo Lions, ma direi pure di tutti coloro che vogliono fare del bene nel tempo a disposizione durante la propria esistenza anche se – come è successo nei mesi passati – forzati a starsene a casa o in limiti topografici piuttosto angusti.

Il premio di tanta fatica è impagabile: gli spazi dei due piani della Galleria Bertoia sono la miglior cornice possibile per far dialogare dipinti dei maggiori maestri figurativi veneziani, molti dei quali inediti o mai esposti al pubblico. Infatti, il senso della mostra Il secolo di Nicola Grassi sta proprio nel continuo colloquio pittorico, durato una vita, tra le opere dell’artista di origini friulane con quelle degli altri colleghi e insieme rivali attivi a Venezia nel secolo di Tiepolo e di Canaletto.

È una specie di Conversation Piece nella quale il pubblico della mostra viene invitato a partecipare, cercando con lo sguardo tra le sale connessioni e pensieri a volte inaspettati, guidato nelle dodici sezioni dalle parole del grande intendente settecentesco, Anton Maria Zanetti autore della guida artistica della città di San Marco del 1733 e del trattato sulla Pittura Veneziana del 1771, e da passi tratti da altre fonti dell’epoca (dalle Vite del ligure Ratti e del patrizio veneziano Da Canal agli epistolari di Rosalba Carriera e di Sebastiano Ricci).

Deroga al parallelismo tra commento critico e sequenza delle opere in esposizione la prima sala, scenograficamente dedicata al tema iconografico del Buon Samaritano nelle interpretazioni di Johann Carl Loth, Antonio Bellucci e, naturalmente, di Nicola Grassi in due versioni: una del tempo del contatto nella seconda metà degli anni dieci con i nuovi tenebrosi (Piazzetta, Bencovich e il giovane Giambattista Tiepolo), l’altra schiarita, di un decennio circa dopo, collegata all’influsso classicista di Antonio Balestra e dal rientro in laguna dall’Inghilterra di Sebastiano Ricci. In appendice a questo gruppo, è esposta una coppia di opere di simile rilevanza simbolica: l’Allegoria della magnanimità di Antonio Domenico Triva e l’Allegoria dell’amore cristiano di Antonio Molinari. I sei dipinti introducono al messaggio portante della mostra Il Secolo di Nicola Grassi e alla sua finalità filantropica. La parabola del Samaritano è un esempio di vera competenza al di là delle formali apparenze dei farisei di ogni tempo e luogo, attuale forse ancora di più in questi anni dove la solidarietà e la voglia di fare cose veramente grandi, per il cuore prima che per l’interesse o per un’effimera notorietà, sono evanescenti.

La prima stanza, inoltre, vuole subito far capire allo spettatore le tante attitudini stilistiche che connotarono la cultura figurativa veneziana della cosiddetta Age of the Baroque: con una varietà degna del costume d’Arlecchino, Venezia pittorica si preparò dalla fine del XVII secolo al prolungato suo ultimo Carnevale. A quella festa conclusiva di un’intera civiltà partecipò Nicola Grassi, originale voce nel concerto di maestri e di maniere che caratterizzò il Settecento della Serenissima.

Se non è stato possibile preventivare il trasporto alla Galleria Harry Bertoia di una delle tante pale d’altare di Grassi nelle chiese di Venezia e Veneto, Friuli, Lombardia, o di suoi lavori all’estero – dai musei di Lubiana, Stoccarda, Augusta, Salisburgo, Bordeaux, Copenaghen, Stoccolma eccetera – con i promotori abbiamo puntato sulla scommessa di valorizzare un pittore e il suo tempo con opere ‘da cavalletto’, anche se qualche grande formato si può ammirare nelle sale espositive.

È il caso di un telero da portego (lo specifico salone dei palazzi veneziani) di Nicolò Bambini, che era stato a Roma negli anni in cui Maratta pensava al Trionfo della Clemenza a Palazzo Altieri, raffigurante la storia di Apelle e Campaspe, ovvero l’omaggio del potente al potere della pittura, e del monumentale Redentore del parigino Louis Dorigny cui è stato dedicato un apposito spazio nel percorso espositivo. Accanto a queste opere, altre tele di pittori che Grassi conobbe durante il periodo di formazione e poi di collaborazione nella bottega di Nicolò Cassana, detto il Nicoletto, ottimo ritrattista, agente del Gran Principe Ferdinando de’ Medici e pure falsario spregiudicato.

Partito il suo maestro nella primavera del 1711 per l’Inghilterra, morendovi poco dopo, Nicola Grassi divenne artista indipendente a quasi trent’anni d’età: nonostante il lungo apprendistato, egli però seppe presto imporsi sulla scena a Venezia grazie alla partecipazione, accanto a un diciannovenne e già geniale Giambattista Tiepolo, a uno dei cantieri artistici più importanti della città lagunare, la decorazione della chiesa di Santa Maria dei Derelitti, detta l’Ospedaletto. Per permettere ai visitatori di apprezzare quel ciclo veneziano, una proiezione con video mapping delle immagini degli interni permette un’originale esperienza visiva. Sulle pareti della Galleria Bertoia, invece, sono esposti notevoli tele contemporanee: dal sopraddetto Buon Samaritano chiaroscurato, alle Quattro Stagioni, a due Pastorali molto legate alla suggestione delle opere del Grechetto viste con Cassana quando costui nel 1709 dovette periziare la collezione dell’ultimo duca di Mantova nel veneziano palazzo Michiel delle Colonne.

Fa sempre un certo effetto spiegare ai non specialisti di Settecento veneziano che la pittura di quel secolo nacque tenebrosa, ma di un tipo differente da quello di un Langetti o di Loth, e non sotto l’egida di Paolo Veronese, l’astro del Cinquecento verso cui s’incominciò a guardare con deferenza assoluta solo a partire dal terzo decennio inoltrato. La nouvelle vague ha i suoi presupposti nei documentati soggiorni di Giambattista Piazzetta a Bologna, dove dovette frequentare Giuseppe Maria Crespi, e di Federico Bencovich a Forlì, a imparare da Carlo Cignani lì trasferitosi per la decorazione ad affresco della cupola della Cappella della Madonna del Fuoco. Di questi due capifila della nuova tendenza tenebrosa, elegantemente graziosa e non più aggressiva, in cui i chiari risultano impreziositi dagli scuri, sorvegliati da un disegno attentissimo e dall’osservazione del dato naturale, sono esposte due opere che dialogano con la personale interpretazione di quel gusto da parte di Giambattista Pittoni e di Grassi. Di tale particolare momento, che lascerà un’influenza importante in tutta la restante produzione di Nicola, è esposta una tela proveniente dall’antica collezione del maresciallo von der Schulenburg, il difensore di Corfù dalla minaccia ottomana.

Al piano inferiore, sembra come si sia intensificata la luce: le tinte dei quadri si fanno più chiare e meno contrastate, è nata la pittura del Settecento veneziano. Principali artefici di questo cambiamento Sebastiano Ricci, di cui si era visto a inizio mostra un San Girolamo del periodo fiorentino sul tipo di Salvator Rosa e di Magnasco, ora con una Famiglia di satiri che sembra aver occupato per un rustico picnic la scenografia dei baccanali tizianeschi, e Giovanni Antonio Pellegrini, qui con un trio di tele che fanno bene comprendere il significato della lettera di sua moglie Angela Carriera alla sorella Rosalba nella quale si diceva testualmente “Toni fa quadri di paradiso”. È un Eden dell’eterna giovinezza, percorso da bambini, dove Gesù dorme vegliato dal cuginetto stringendo la piccola croce come fosse l’amato orsacchiotto della buona notte. Vicino a Ricci e a Pellegrini, il veronese Antonio Balestra che gli ultimi studi hanno finalmente considerato, in virtù anche della sua formazione romana, tra i protagonisti della svolta moderna della pittura nella Serenissima: in questa sala l’Educazione di Amore e l’Infanzia di Giove già nei soggetti fanno capire la nuova sensibilità, peraltro già presente nella primizia del 1702 esposta tra le prime opere in mostra, una Madonna con il Bambino e san Giovannino che fu copiata in miniatura da Rosalba Carriera.

 

 

In Sebastiano Ricci, ma pure in Pellegrini e in Balestra, Nicola Grassi trovò dei modelli per rinnovare il suo stile che mantenne la propria cifra caratteristica tanto nei tipi fisici quanto nella singolare vivacità della figurazione: lo mostrano le mezze figure di Padri della Chiesa già di Antonio Morassi e la scena domestica di Gesù e Giuseppe falegnami del Museo Diocesano di Pordenone, dove il Messia impara a segare il legno mentre la Madonna cuce scaldandosi nei pressi del camino.

Com’è ben noto, Sebastiano Ricci fu abilissimo a dipingere pastiche spesso fatti passare per antichi originali. In un libro dal titolo evocativo, L’apparenza inganna, Franco Paliaga ha raccontato del sodalizio truffaldino di Ricci e di Cassana: quando questi morì, Sebastiano cinicamente scaricò sul suo conto a Londra ogni possibile responsabilità di fraudolenta contraffazione. Ricci era però molto più di un falsario, egli in un certo senso assimilava, come riferisce Zanetti, l’arte degli altri, in primis l’amatissimo Veronese del Convito in casa di Levi. Da quell’enorme Cena che il libertino bellunese forse mitizzava in quanto al centro di un processo dell’Inquisizione da dove Paolo era uscito con la famosa battuta sulla licenza dei poeti e dei pazzi concessa anche ai pittori, Sebastiano Ricci trasse delle copie molto libere di Teste, tra cui una in mostra che va quindi ad aggiungersi al corpus di tele delle collezioni reali britanniche già del Console Smith. Uno spirito camaleontico simile appartenne pure a Grassi, artista dalla biografia apparentemente tranquilla e senza i tantissimi colpi di scena della vita di Sebastiano, Barry Lindon della pittura veneziana: durante la ricerca per la mostra, è stata individuata una Ebbrezza di Noè dipinta da Nicola che replica, nel proprio stile, un’invenzione di Simone Brentana.

Nel 1734 morì Ricci, lasciando il trono del più importante artista figurativo della Serenissima e di erede della felicità di Veronese a Giambattista Tiepolo. Del “vero mago della pittura” è esposto un San Rocco, una delle variazioni sul tema presumibilmente commissionategli da qualche membro dell’omonima Scuola Grande veneziana. La generazione dei maestri dominanti è composta pure da Francesco Fontebasso, educatosi nella bottega riccesca ma aggiornatosi con l’esempio tiepolesco e con un soggiorno romano, e dal sopradetto Pittoni, con due dipinti di sofisticata eleganza, da porcellana di Meissen, senza dimenticare Bartolomeo Nazari con una coppia di Teste di carattere per documentare la sua specializzazione nel genere.

Il Settecento è il secolo del bozzetto, adatto per la petitesse e la freschezza della ‘prima idea’ amate dagli intendenti per i loro cabinet. Piccoli dipinti di Nicola Grassi, Giovanni Antonio Pellegrini, Francesco Fontebasso, Gaspare Diziani, Mattia Bortoloni, Girolamo Brusaferro mostrano come venivano allora prodotti, accanto ai tradizionali modelli preparatori, dei veri e propri souvenir di opere di una certa importanza e a volte perfino delle ‘variazioni sul tema’ come se si parlasse di musica e non solo più di pittura.

L’ultima fase di attività di Grassi fu, ancora una volta, segnata da notevole originalità: le forme si alleggeriscono ulteriormente, assumendo perfino intonazioni perlacee. L’influsso di Jacopo Amigoni, rientrato dai suoi soggiorni cosmopoliti a Venezia nel 1739, si fa sentire, così come i contatti con i fratelli Guardi e con Jacopo Marieschi, avvenuti con costui nelle opere eseguite nello stesso torno di anni presso le Derelitte, cioè l’istituto creato a inizio secolo per le prostitute veneziane che avevano smesso di ‘fare la vita’. Dal Pio Luogo delle Derelitte provengono San Filippo Neri e San Lorenzo Giustiniani (IPAV – Istituzioni Pubbliche di Assistenza Veneziane) di Nicola Grassi in mostra, mentre di Marieschi e di Gianantonio e di Francesco Guardi sono esposte delle opere nell’ultima sezione della rassegna.

Due anni dopo la morte di Grassi, Piazzetta fu nominato direttore dell’Accademia veneziana che iniziò a essere veramente operativa solo dal 1756: tra i primi “professori”, proprio Marieschi propugnatore di una disgregazione formale in senso coloristico che sarebbe stata presto osteggiata dal Neoclassicismo. I Guardi, invece, non erano tra i ranghi accademici, ma neppure nel Collegio dei pittori: la loro attività si svolgeva infatti al servizio di privati. Per i patrizi Giovannelli e per il maresciallo von der Schulenburg, Gianantonio Guardi copiava con spiccata audacia compendiaria opere di altri artisti antichi e moderni, come l’Episodio della fuga in Egitto desunto da Luca Giordano. A Francesco, non ancora vedutista, spetta un curioso Ex voto, affine a uno noto di suo nipote Giandomenico Tiepolo, nel quale non si capisce bene se la dama ingioiellata stia pregando per la pronta guarigione del congiunto o per un altrettanto rapida uscita di scena dello stesso.

Con questo finale gioco di specchi e di maschere, che furono specialità di quel mondo, si conclude la mostra Il secolo di Nicola Grassi: un viaggio che qualcuno avrebbe potuto preventivare fattibile, nella contingenza pandemica attuale, solo sulle rotte immaginarie di Gulliver e del Barone di Müchhausen ma che invece abbiamo potuto realizzare confidando nel potere, sorprendentemente anche fantastico, della Ragione.

Enrico LUCCHESE  Udine 23 maggio 2021