Il San Sebastiano di Justus Glesker al Mueo degli Argenti, caposaldo degli avori barocchi, e l’influenza di Pietro Tacca

di Fabio OBERTELLI

Quando nel 1563 Alessandro Vittoria pone il suo San Sebastiano per l’altare della famiglia Montefeltro nella chiesa veneziana di San Francesco della Vigna lo fa incarnando i dettami estetici manieristi all’interno di una torta figura, bilanciata e sinuosa nel suo serpentinato porsi. Lo fa mirando concettualmente lo Schiavo morente di Michelangelo ed il suo squisito anelito contorcente, venustamente, le membra.

Alessandro Vittoria, San Sebastiano, chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia
Paolo Veronese, Ritratto di Alessandro Vittoria, 1580 c/a, Metmuseum NY

Un’invenzione, quella del Vittoria, che odora di classicità e che si seppe mantenere nei secoli come mirabile riferimento iconografico. Lo ritroviamo in piccoli bronzi, sempre suoi, che esplicitano a chiare lettere un linguaggio artistico impregnato di autentica dignità classica; si scorge nell’esemplare oggi al Metropolitan, dalla bellezza inviolata, e si ripresenta, quasi a monito, in una tela del Baschenis alla Carrara di Bergamo. Ma quando dopo quasi quarant’anni il Vittoria si ritrova ad affrontare nuovamente il risolvimento iconografico del San Sebastiano per la chiesa di San Salvatore, sempre a Venezia, l’approccio è drasticamente mutato. Ora il giovane esangue si lascia mollemente ricadere, in una morbidezza più propria dell’uomo vivente che di un virtuoso marmo. Parla con la voce della celebre persuasione barocca, fatta di sperimentazioni tangenti gli esiti estremi della materia, qua portata al livello dell’afflato vitale.

Lo stesso sentire che sprigiona il piccolo avorio di Justus Glesker oggi conservato a Firenze presso il Museo degli Argenti di Palazzo Pitti*,

già esposto durante la mostra “Diafane Passioni” tenutasi a Palazzo Pitti nel 2013[1] e curata da Eike Schmidt, redattore anche della scheda di catalogo dell’opera in questione. La scultura, proveniente dalla collezione del cardinal Leopoldo de’ Medici, venne giustamente aggiunta al corpus dell’artista di Hameln da Schädler[2] e Theuerkauff[3] dopo varie attribuzioni al Petel e/o alla sua scuola[4].

Trattare del San Sebastiano del Glesker significa approcciarsi ad uno dei capisaldi della lavorazione eburnea barocca di pieno Seicento, come lo sono le opere, seppur estremamente divergenti, di Jacobus Agnesius. Sorretto da un affusolato ceppo[5], il santo cede le sue forze ad uno sdilinquimento totale che abbraccia corpo e anima. Il dolce profilarsi del giovane, immacolato nella propria fisicità se non per un piccolo foro di freccia al torace, viene complementariamente abbracciato dal nodoso legno che asseconda la resa di Sebastiano. La gamba sinistra piegata, vero virtuosismo tecnico, spezza la verticalità della composizione, mentre gli arti superiori, svenevolmente cedevoli, richiamano il volto reclinato con le labbra dischiuse dallo strazio. Il santo vive un transitorio equilibrio tra la vita e la morte e questo sentimento d’incertezza, di precarietà trasuda dalla scultura in un dolce amarore.

Alessandro Vittoria, San Sebastiano, chiesa di San Salvatore, Venezia

Oltre alle giuste assonanze con il Niobide morente e la carraccesca cultura figurativa, ravvisate da Schmidt, l’opera di Glesker subisce altre fascinazioni estetiche. Si è già parlato della languida posa del San Sebastiano del Vittoria presso San Salvatore, ma si noti come il piccolo bronzo dorato, di medesimo soggetto, conservato al Louvre, generalmente considerato una rielaborazione di un modello del Petel ponga le fondamenta concettuali per l’avorio del Glesker: il più esplicito riferimento resta l’allungamento del braccio destro, inermemente ancorato al ceppo ligneo.

La paternità compositiva spetta però, più che al Petel, a Pietro Tacca di cui di fatto si conoscono diverse repliche dello stesso tema, con anche largo intervento di bottega e collaboratori, come per l’esemplare conservato al Metropolitan di New York; sappiamo inoltre che il Petel ebbe modo di conoscere il Tacca durante il suo passaggio livornese. Anche direttamente in Glesker si può vedere il Tacca: nella Crocifissione per la cattedrale di Bamberga ritroviamo la stessa ponderata composizione nonché il medesimo schema strutturale che incontriamo ad esempio nella Crocifissione prodotta dal Tacca con l’ausilio della bottega[6]. Nella Vergine di Bamberga si scorge la sensuale fisicità del tardo manierismo italiano, con le vesti che delineano il sottostante corpo.

Il Sandrart riferisce come il Glesker visitò sia i Paesi Bassi che l’Italia e difatti il nostro San Sebastiano va considerato come frutto del soggiorno italico compiuto dall’artista di Hameln[7].

È infine importante sottolineare come anche in ambito rubensiano si siano sviluppati modelli iconografici leggibili in trama nell’avorio fiorentino. Un piccolo olio su tavola dipinto da Abraham van Diepenbeeck[8], già allievo di Rubens, mostra il santo, trafitto dalle frecce, ancora per poco stante, con il braccio destro allungato e la mano mollemente abbandonata come il resto del corpo che è pronto a farsi sorreggere dal ceppo ligneo. È quindi possibile far risalire l’ispirazione iconografica del Sebastiano del Glesker alla produzione tacchiana, meditata attraverso più esplicite interpretazioni fiamminghe d’area rubensiana; considerando la grande circolazione di invenzioni pittoriche per piccole produzioni d’arte decorativa, è il caso, ad esempio, della saliera peteliana disegnata dal maestro d’Anversa.

Fabio OBERTELLI   24 maggio 2020

*Ringraziamo il Direttore Eike Schmidt per aver concesso la publbicazione della immagine del San Sebastiano di Justus Glesker del Museo oggi al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti

NOTE

[1] Diafane passioni. Avori barocchi dalle corti europee, catalogo della mostra a cura di EIKE SCHMIDT, Firenze, 16 luglio – 3 novembre 2013, Firenze, 2013, n. 62.
[2] K. FEUCHTMAYR, A. SCHÄDLER, Georg Petel, Berlino, 1973, pp. 187-188.
[3] C. THEUERKAUFF, Justus Glesker oder Ehrgott Bernhard Bendl? Zu eingien Elfenbeinbildwerken des Barock, in “Schriften des Historischen Museums Frankfurt ma Main”, Francoforte, 1972, n. XIII, p. 73.
[4] Georg Petel, catalogo della mostra a cura di T. MÜLLER, A. SCHÄDLER, Monaco, 1964, n. 160; C. ASCHENGREEN PIACENTI, Il Museo degli Argenti a Firenze, Firenze, 1967, pp. 147, 148; M. MOSCO, O. CASAZZA, Il Museo degli Argenti. Collezioni e collezionisti, Firenze, 2004, p. 141.
[5] Il legno, originariamente nero, venne dorato nel 1753.
[6] Opera presentata da Robilant + Voena per TEFAF 2020.
[7] Il San Sebastiano di Justus Glesker va infatti datato al 1640 circa, periodo italico dell’artista.
[8] L’opera, datata 1636, è stata battuta da Dorotheum, 17 – 19 ottobre 2017, lotto n. 294.