Il diario di memorie di Peter Lindbergh: Untold Stories, scatti che raccontano storie

di Flavia ROVETTA

Peter Lindbergh: Untold Stories è un progetto di Paratissima che, nelle parole della presidente Laura Milani, intende inaugurare una galleria dedicata a ritratti di grandi artisti contemporanei.

Il nuovo corso di Paratissima, segnato anche dal debutto di Olga Gambari come direttrice artistica, offrirà un programma espositivo variegato, per delineare inediti territori di confronto tra figure cardine del mondo dell’arte e personalità emergenti.

La mostra che vede protagonista il celebre fotografo tedesco, allestita presso l’ARTiglieria Con/temporary Art Center di Torino, è stata realizzata in collaborazione con il Kunstpalast di Düsseldorf e la Peter Lindbergh Foundation di Parigi e sarà aperta al pubblico fino al 13 agosto 2021.

Portrait Peter Lindbergh, New York, 2016 © Stefan Rappo
Peter Lindbergh, Linda Evangelista, Michaela Bercu e Kirsten Owen, Pont à Mousson 1988 © Peter Lindbergh (courtesy of Peter Lindbergh Foundation, Paris)

Peter Lindbergh, scomparso nel 2019, è tutt’ora un’icona della fotografia di moda: sono indimenticabili i suoi ritratti di celebri top model, tra cui Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawdford, Kate Moss e di stelle del cinema come Uma Thurman e Nicole Kidman.

Pur destinati alle riviste patinate, gli scatti di Lindbergh non sono mai freddi e artefatti, ma lasciano trasparire il calore della pelle, il respiro, l’autenticità dei suoi soggetti. Quelle ritratte non sono le algide modelle che sfilano in passerella, ma le persone in carne ed ossa che emergono oltre quel ruolo. In tal senso Untold Stories sottolinea l’esclusività di questa narrazione: non solo si incontrano molte immagini mai pubblicate in precedenza, ma le opere in mostra intendono offrire una rappresentazione inedita di personaggi celebri, spogliati della loro aura di irrealistica perfezione e restituiti in una veste umana, che li rende perfino più straordinari.

Peter Lindbergh, Sabisha Friedberg & Jessica Stam, Paris, 2007 © Peter Lindbergh (courtesy of Peter Lindbergh Foundation, Paris)

La selezione delle fotografie è stata curata in prima persona da Lindbergh, poco prima della sua morte, rendendo l’esposizione un vero e proprio testamento spirituale. Il percorso di visita è organizzato come un monumentale diario di memorie, in cui il fotografo si svela a poco a poco attraverso i propri lavori e lo spettatore instaura un dialogo silenzioso con i protagonisti dei ritratti. Le fotografie si sviluppano nella doppia dimensione dell’estensione e della profondità. Da un lato le stampe sono di grandi dimensioni e i soggetti giganteggiano sullo spettatore, ma senza sopraffarlo: la natura “ambientale” delle fotografie favorisce l’interazione e il coinvolgimento, il desiderio di sentirsi parte della scena.

Peter Lindbergh, Kara Young, Duisburg 1984,© Peter Lindbergh (courtesy of Peter Lindbergh Foundation, Paris)

Dall’altro punto di vista, tali immagini risultano così intense da spingere chi osserva a tuffarsi nell’immaginario dell’artista, nei suoi ricordi, per conoscere le storie non raccontate che si celano nei silenzi immutati degli scatti.

Il tono è intimo, quasi da conversazione privata: la superficie riflettente delle fotografie cattura gli spettatori, trascinandoli all’interno della scena, in un gioco di sguardi realmente reciproco. Le occhiate sono così profonde da sentirsi quasi messi a nudo, come se Lindbergh fosse in grado di leggere anche nell’anima di chi guarda, attraverso il proprio obiettivo.

Alla fine della visita non sembra di aver assistito ad un défilé di moda, ma di aver sfogliato – quasi di nascosto – un prezioso album di famiglia, gelosamente custodito da Lindbergh nel corso della sua carriera.

La mostra, però, non si chiude con gli scatti che hanno reso celebre il fotografo, bensì con Testament, un cortometraggio girato nel 2013 che ritrae Ermel Carrol, un condannato a morte recluso in Florida. L’immedesimazione in questo lavoro è talmente compiuta da risultare perfino dolorosa e insopportabile: di fronte ad un criminale che osserva la telecamera per mezz’ora senza battere ciglio, come se fosse davanti allo specchio, lo spettatore si trova spiazzato ed è costretto a ridefinire il proprio concetto di giustizia. Tra tutte, si tratta forse della untold story più sconcertante: una testimonianza di come Lindbergh non abbia semplicemente voluto ritrarre persone, ma di come abbia piuttosto raccontato le loro vite e – di riflesso – la propria.

Flavia ROVETTA   Torino 20 giugno 2021