I ritmi e i misteri della Natura negli scatti di Ortensio Zecchino abbinati a Virgilio e Federico II (fino al 28 aprile)

di Nica FIORI

Ortensio Zecchino. I classici in fotografia

Il suo nome fa pensare a un fiore e il cognome all’oro puro. Ortensio Zecchino (nato ad Asmara nel 1943) è un uomo di cultura, un umanista, oltre che uno storico e politico italiano, specialista di Storia delle istituzioni giuridiche e di diritto medievale e presidente del Centro Europeo di Studi Normanni (CESN). Grazie ad una mostra fotografica che si tiene nei Musei di San Salvatore in Lauro dal 27 marzo al 28 aprile 2019, scopriamo che è anche un maestro dell’immagine. Le sue fotografie non hanno niente da invidiare a quelle dei fotografi professionisti e affrontano temi letterari e naturalistici allo stesso tempo. “Classici in fotografia” è in realtà una doppia mostra che illustra con oltre 100 raffinati scatti due libri: le Georgiche di Virgilio e il De arte venandi cum avibus di Federico II di Svevia.

“So bene che trasporre in fotografia entrambe le opere può rappresentare un azzardo, ma avventurarmi nei classici è quello che ho sempre amato. Un’antica vocazione all’istruzione, una sorta di missione” 

ha dichiarato Ortensio Zecchino nel corso della presentazione della mostra, organizzata dal Centro Studi dell’Opera di Umberto Mastroianni, in collaborazione con Il Cigno GG Edizioni, e sostenuta dalla Fondazione Terzo Pilastro–Internazionale, presieduta dal Prof. Emmanuele Emanuele, che da parte sua ha precisato che

“le foto, realizzate tutte in bianco e nero, sono vere e proprie opere d’arte e spaziano dai volatili, ai loro ambienti naturali, fino alle prede abituali e persino alla strumentazione per la cura e l’addestramento dei predatori, con felici incursioni negli allevamenti del mio amico Barone Alduino Ventimiglia di Monforte Lascaris e di Marco Bartolomeo”.

Nella prima sala espositiva incontriamo in effetti un’affascinante sequenza di immagini di uccelli predatori, che rimandano all’antica arte della falconeria, tradizione che dal 2010 è stata inserita dall’Unesco nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Due uomini con i loro falchi indossano il tipico abbigliamento arabo e questo rimanda al fatto che la falconeria in occidente ha derivato gran parte della sua fortuna dal mondo arabo. Federico II si dedicava alla caccia per riprendersi dalle fatiche e dalle avversità della vita ufficiale. In Puglia, la terra prediletta dove fece erigere alcuni castelli (ricordiamo in particolare Castel Del Monte, che ha già ospitato la mostra di Zecchino dedicata al libro federiciano), faceva venire falchi e animali esotici e andava a caccia di orsi, cinghiali e cervi nei boschi intorno al monte Vulture e di uccelli acquatici nei laghi.

Il suo libro sulla falconeria (De arte venandi cum avibus, 1260), il primo libro di storia naturale del suo tempo, è frutto di studi approfonditi e di una appassionata pratica. Scrive a questo proposito Ortensio Zecchino:

Nel rito del falcone – che, lanciato libero nel cielo, ritornava sul pugno del falconiere – anche Federico II traeva prova dell’esistenza di irresistibili forze arcane, quelle stesse con cui l’imperatore, investito per grazia divina, teneva legati a sé i sudditi”.

Del resto lo stesso Federico II è stato paragonato ad un’aquila perché vedeva più lontano degli altri. Viveva nel Medioevo, ma il suo sguardo andava oltre, verso la legge, la cultura, la tolleranza religiosa. E l’aquila è indubbiamente il più nobile tra gli uccelli, quello che può suscitare paura anche nei falchi. Zecchino, che ha studiato a fondo l’opera federiciana, si è dilettato ad illustrarla evidenziando sotto le fotografie esposte passi relativi ai vari tipi di rapaci, dal falco sacro al falco pellegrino (peregrinus), al falco lanaro al girfalco, al gheppio, all’astore, mentre tra le prede incontriamo il cavaliere d’Italia, le anatre e i cigni. Ben lungi dall’avvicinarsi a questi animali con le armi, egli si avvicina a essi con un rispetto sacrale.

Lo stesso rispetto che dimostra quando si accosta agli esseri più umili, per illustrare le Georgiche di Virgilio: una metafora di valori civili e sociali, semplici ma nobili. Le immagini di Zecchino, sapientemente abbinate ai versi virgiliani, parlano di una vita agricola e contadina, nella quale l’uomo si conforma ai ritmi della Natura, e il mistero della Natura è il primo oggetto della poesia filosofica di Virgilio.

Mi sento forse violatore di una sacralità – afferma Zecchino – ma la verità è che ho avuto la fortuna di poter cogliere dei quadri, dei momenti, dei fotogrammi che sono ormai in dissolvenza. La fotografia con temi bucolici e rurali è sempre stata una mia grande passione”.

Se è vero, come ha scritto Claudio Strinati, che le Georgiche sono soprattutto “un ricordo scolastico, bello in molti casi ma un po’ pesante”, questa potrebbe essere l’occasione per avvicinarci ai versi di Virgilio con l’occhio poetico di Zecchino e riscoprire magari dei versi dimenticati, a partire dall’invocazione ai Fauni.

Et vos, agrestum praesentia numina, Fauni / ferte simul Faunique pedem Dryadesque puellae: / munera vestra cano” (Voi, Fauni, numi tutelari degli agricoltori, venite insieme, Fauni e giovinette Driadi, io canto i vostri doni).

Effettivamente sono presenti anche immagini di queste divinità, ovviamente di pietra, come pure di un ritratto di Virgilio, a dare un tocco archeologico all’esposizione, ma prevalgono indubbiamente scene di animali al pascolo o nella stalla, animali con i loro piccoli e perfino una pecora ancora sanguinante dopo il parto. Dall’umile asinello, alle galline, alla scrofa, ai buoi aggiogati, a un’ape impollinatrice, tutto ci parla di una realtà lontana dalla città, alla quale siamo debitori per il nostro sostentamento alimentare.

L’ultima emblematica immagine virgiliana è quella del tempo che inesorabile fugge, emblematicamente reso con orologi e una clessidra.

Nica FIORI    Roma   marzo 2019

“ORTENSIO ZECCHINO. Classici in fotografia. Georgiche di Virgilio e De Arte venandi cum avibus di Federico II”

Musei di San Salvatore in Lauro. Piazza San Salvatore in Lauro, 15 – Roma. 28 marzo-28 aprile 2019. Ingresso libero