di Claudio LISTANTI
Un lusinghiero successo di pubblico ha salutato il ritorno al Teatro dell’Opera di Roma de I Puritani, il capolavoro di Vincenzo Bellini che mancava dal prestigioso palcoscenico della capitale da più di 30 anni.
Difatti l’ultima recita dell’opera belliniana risale al lontano 1990 anche se, per dovere di cronaca, è giusto ricordare che l’opera di Bellini era stata inserita nel cartellone della scorsa stagione ma le disposizioni anti-covid non ne hanno consentito esecuzioni in presenza di pubblico lasciando agli appassionati solo una esecuzione in forma oratoriale diffusa via streaming nel gennaio del 2021.
Lo scorso 19 aprile sono iniziate le recite di questo nuovo allestimento de I Puritani che è stato affidato al regista Andrea De Rosa ed al quale hanno contribuito le scene di Nicolas Bovey, i costumi di Mariano Tufano e le luci di Pasquale Mari. La parte musicale è stata affidata a Roberto Abbado che ha guidato l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma e il Coro dell’Opera di Roma diretto da Roberto Gabbiani assieme ad una più che valida compagnia di canto che, nella recita da noi ascoltata il 26 aprile, era composta per le parti principali dal soprano Jessica Pratt Lady Elvira Valton, dal tenore Francesco Demuro Lord Arturo Talbo, dal baritono Franco Vassallo Sir Riccardo Forth e dal basso Nicola Ulivieri Sir Giorgio Valton.
I Puritani è l’ultima opera di Vincenzo Bellini. Rappresentata per la prima volta al Théâtre de la comédie italienne di Parigi il 24 gennaio del 1835, vi giunse dopo una gestazione iniziata nell’aprile del 1834. Il capolavoro coronò la fulgida carriera del musicista troncata tragicamente dall’improvvisa morte avvenuta qualche mese più tardi, il 23 settembre 1835. Bellini ricopre una posizione piuttosto importante nell’ambito della produzione operistica italiana in quanto, proprio per la sua personalità e il suo modo di comporre, può essere considerato artista portatore di diversi cambiamenti nella prassi compositiva e produttiva del teatro d’opera. Si pensi che Rossini, nella sua attività italiana, che va dal 1808 al 1823, compose praticamente 34 opere avendo a disposizione per ognuna circa due settimane -raramente arrivò ad un mese- mentre Bellini per la composizione di un’opera copriva diversi mesi (per I Puritani ad esempio, ne occorseo 8) ed infatti, nel decennio nel quale si svolse la sua attività, dal 1825 al 1835, ne compose praticamente solo 10. Seppure le attività teatrali dei due musicisti siano iniziate con una decina di anni di differenza, si può facilmente capire che qualcosa nel mondo dell’opera stava cambiando. Con Bellini inizia anche un diverso rapporto con il librettista che, contrariamente alla prassi, riuscì sempre ad imporre il nominativo a lui congegnale.
Fu Felice Romani il librettista adatto per il suo modo di vedere il teatro d’opera e, infatti, affidò a lui la più gran parte delle opere, da Il Pirata (1827) a Beatrice di Tenda (1833).
Per I Puritani la consuetudine cambiò in quanto il compositore catanese scelse la piazza di Parigi per il proseguo della sua produzione dove trovò un letterato famoso, il conte bolognese Carlo Pepoli poeta e attivista politico seguace di Mazzini che, a seguito dei cosiddetti Moti Mazziniani, fu costretto a riparare nella capitale francese dove incontrò Bellini che gli affidò il libretto di questi ‘nuovi’ Puritani. Tutto ciò ci fa comprendere con facilità l’importanza della sua figura di musicista e di artista teatrale.
L’ispirazione letteraria fu ricavata dall’opera teatrale dello scrittore, poeta e drammaturgo francese, Joseph Xavier Boniface detto Saintine che, assieme a Jacques-François Ancelot scrisse nei primi anni ’30 dell’800 un vaudeville in 3 atti dal titolo Têtes rondes et cavaliers dal quale il Pepoli trasse il libretto in italiano de I Puritani e i Cavalieri, titolo originario dell’opera oggi più semplicemente chiamata I Puritani.
La vicenda dei Puritani può essere considerata, usando un termine enunciato da Pierluigi Petrobelli nel saggio ‘Una favola molto vera’ pubblicato nell’esauriente programma di sala pubblicato dal Teatro dell’Opera, una favola a lieto fine che si sviluppa su momenti patetici e toccanti contrapposti ad altri momenti tragici e drammatici.
Ambientata negli anni nel cuore del cosiddetto ‘puritanesimo’ nato in Inghilterra a metà del ‘500 e che nel XVII secolo, epoca dell’azione, era giunto ad un punto massimo di fulgore. Narra le gesta di una giovane e bella fanciulla, Elvira, che si innamora di un baldo cavaliere, Arturo, che per salvare la sua Regina, Enrichetta, abbandona Elvira proprio il giorno delle nozze. La ragazza, si sente tradita e impazzisce dal dolore uscendo di senno. Ritorna Arturo ritorna dopo aver salvato la Regina ma viene giudicato traditore e condannato a morte dai suoi avversari politici, I Puritani che si contrapponevano agli Stuardi per i quali agiva Arturo. La tragica situazione fa rinsavire Elvira e, di seguito, arriva un salvifico messaggio di pace che annulla tutte le condanne a morte e così la vicenda finisce con un inaspettato, e insolito, lieto fine.
La partitura concepita da Bellini esalta con straordinaria efficacia la parte squisitamente sentimentale per la quale mette a disposizione il suo inarrivabile senso della melodia che riesce a sublimare la vicenda dei due amanti soprattutto l’ardente e giovanile amore contrapponendone anche tutte le incomprensioni scaturite dalla baldanza eroico-romantica del protagonista maschile che tradisce la grazia sognante di una protagonista poco più che adolescente facendola sprofondare nello sconforto. Bellini crea una parte vocale particolare caratterizzata da diversi, e trascinanti, pezzi di insieme con l’entrata iniziale di Arturo, ‘A te, o cara, amor talora’ che si fonde con il coro per divenire poi una sorta di insolito quartetto. Analogo procedimento per il finale del terzo atto; sempre protagonista Arturo con ‘Credeasi misera, da me tradita’ con la linea di canto del tenore che mirabilmente si fonde con il coro e gli altri personaggi. Per Elvira, oltre la sua cavatina ‘Son vergin vezzosa’ piena di leggerezza e spirto giovanile la grande scena della pazzia, ‘Qui la voce sua soave’, brano di grande fascino che esalta il temperamento dell’interprete designata, vero punto centrale di tutta l’opera. Una pazzia, praticamente coeva a quella della Lucia di Lammermoor di Donizetti, rappresentata lo stesso anno a Napoli, solo tre giorni dopo la morte di Bellini, il 26 settembre. Tra queste due celebri ‘pazzie’ ci sono molti punti in comune, soprattutto nell’utilizzo della tessitura acuta e nei virtuosismi che entrambe le linee vocali contengono, che riescono a ‘rappresentare’ quel disturbo mentale che sconvolge le due donne. Quella di Donizetti è forse un po’ più articolata mentre questa dei Puritani ha caratteri senz’altro più omogenei ma, entrambe, efficaci e coinvolgenti
La parte storico-drammatica è in secondo piano ma, immaginiamo, scelta consapevole da parte di Bellini che ha voluto porre in evidenza i personaggi con i loro sentimenti personali contenuti nella loro sfera affettiva e mettendo in luce passioni e impulsi interiori. La parte più specificatamente ambientale e politico-sociale conseguenza di quel ‘puritanesimo’ inglese che fiorì al di là della Manica ne costituisce lo sfondo e, a suo modo, utilizzato per uno dei momenti ‘topici’ di quest’opera, il finale del II Atto con il duetto tra basso e baritono ‘Suoni la tromba, e intrepido’ con il quale Riccardo e Giorgio regalano al momento scenico una incontrovertibile pagina di eroismo. Questo particolare duetto, tra i più famosi e conosciuti di tutta la storia del teatro per musica, fu messo in evidenza da Bellini su consiglio di Rossini che gli suggerì di utilizzarlo alla chiusa del secondo atto per rendere il contenuto di quest’opera in linea con i gusti e il temperamento di pubblici dell’epoca.
Iniziamo l’analisi dello spettacolo rappresentato al Teatro dell’Opera che, come accade oggigiorno, sono stati Puritani condizionati dalle stranezze del regista responsabile dell’allestimento.
Andrea De Rosa, l’artista napoletano designato per la realizzazione di questo atteso spettacolo non ha rinunciato alla ormai conclamata banalità della parte visiva. Spostare l’epoca dell’azione, oggi, non fa più nemmeno notizia e rende la fruizione, nel complesso, problematica e fuorviante. Come accennato prima una delle caratteristiche de I Puritani è quella di mettere in secondo piano il contesto storico nel quale si svolge l’azione ma, comunque, è sempre una ambientazione, una cornice che racchiude i motivi e le cause che alimentano gli avvenimenti. Ad abbandonarla si rischia l’appiattimento come in questo caso. Solo per fare un esempio la Fortezza nei pressi di Plymouth nel XVII secolo, così bel descritta dall’abile librettista Carlo Piepoli, sovrastante uno “Spazioso terrapieno” dintorno alla quale
“Si veggono alcune cinte, torri ed altre specie di fortificazioni con ponti levatoi ecc. Da lontano si scorgono assai pittoresche montagne, che fanno bellissima e solenne veduta; mentre il sole, che nasce, va gradatamente illuminandole, siccome poi rischiara tutta la scena. Sopra li baluardi si veggono scambiare le sentinelle”.
Invece, dopo l’apertura del sipario, abbiamo visto una ambientazione di stampo novecentesco, con al centro della scena un letto simile a quelli ospedalieri di una volta, simbolo (immaginiamo) dell’infermità mentale che colpisce la protagonista. Costumi che possiamo definire senza tempo, il tutto contenuto in un ambiente lugubre che perdurerà, poi, per tutto lo spettacolo togliendo fascino ad una azione scenica basata sui sentimenti personali e soprattutto sull’amore anche se messo in discussione da un malinteso.
Giusto porre in evidenza il velo da sposa che, poi, sarà il motore di quanto accadrà, ma concludere il primo atto con la povera Elvira completamente avvolta da detto velo, bocca compresa, dando l’idea di una specie di mummia, penalizza l’interprete designata per la serata compromettendone l’emissione vocale per una parte che possiede una linea di canto tra le più complicate e difficili di tutto il repertorio operistico italiano. (Fig. 8)
Sappiamo che De Rosa è un regista particolarmente esperto nel campo dell’opera lirica ma, a nostro giudizio, trascura l’esigenza dei cantanti come avvenuto anche per la pazzia presentandoci una Elvira bendata, evocando (forse) quell’ideale cecità conseguenza dell’impazzimento ma creando evidente disagio nei movimenti dell’interprete. Ci chiediamo come possa reagire uno spettatore che, prima di accedere in teatro si accinge a leggere il libretto per comprendere con più efficacia quanto andrà a vedere e ascoltare, per poi notare che ciò che ha letto è quasi completamente travisato da una messa in scena che presenta diverse sfasature con l’azione concepita dal librettista come al momento della fuga di Arturo ed Enrichetta. Ci auguriamo che questa ‘notte’ che sconvolge l’opera lirica, che ad essere onesti è in atto in tutto il mondo, possa rapidamente finire per consegnarci esecuzioni più rispettose della volontà degli autori che, nella quasi totalità, erano esperti uomini di teatro. Alla realizzazione scenica hanno collaborato Nicolas Bovey per le scene, Mariano Tufano per i costumi e Pasquale Mari per le luci rivelatisi in piena sintonia con la concezione e l’impronta registica di Andrea De Rosa.
Per quanto riguarda la parte musicale la compagnia di canto è risultata completamente valida considerando la difficoltà oggettiva della realizzazione della linea vocale nella quale l’elemento virtuosistico costituisce l’aspetto fondamentale. Bellini scrisse I Puritani per grandi stelle degli anni 30 dell’800, per cantanti che rispondono ai nomi del tenore Giovanni Battista Rubini (Arturo) e del soprano Giulia Grisi (Elvira) ai quali furano abbinati altri strepitosi interpreti come il baritono Antonio Tamburini (Riccardo) e il basso Luigi Lablache (Giorgio) tutti apprezzati virtuosi.
I cantanti ascoltati qui a Roma (recita del 26 aprile) hanno rinnovato questi fasti vocali ad iniziare dall’Arturo del tenore sardo Francesco Demuro che ha messo in evidenza una voce, di base un po’ ‘piccola’ ma risultante comunque chiara ed affascinante, molto espressiva e per nulla in difficoltà con le asperità della linea vocale che si estende fino al fa sovracuto frutto di una squisita tecnica di emissione che non rivela sforzi di nessun tipo grazie e un’ottima intonazione. Lo stesso giudizio vale per la Elvira della cantante anglo-australiana Jessica Pratt, in possesso di un vasto repertorio che abbraccia molti capolavori del cosiddetto Belcanto, che nella recita ha confermato precisione nell’intonazione e sicurezza nella tessitura acuta e sovracuta che le hanno consentito la necessaria ed efficace espressività nella realizzazione del difficile personaggio. A nostro giudizio, Pratt e Demuro, soprattutto per la tranquillità con la quale affrontano il repertorio belcantistico possono essere considerati oggi veri e propri punti di riferimento per questo genere di vocalità.
Altrettanto valide sono state le interpretazioni degli altri due personaggi di spicco dell’opera, Riccardo interpretato dal baritono Franco Vassallo e Giorgio affidato al basso Nicola Ulivieri che hanno completato l’indiscutibile valenza della compagnia. Da segnale, infine, la prova del basso Roberto Lorenzi valido Gualtiero e dei due giovani talenti del progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, Rodrigo Ortiz Bruno e Irene Savignano Enrichetta. Una parte vocale che si conclude con l’apprezzata prova del Coro del Teatro dell’Opera diretto da Roberto Gabbiani.
Tutta la parte musicale è stata affidata a Roberto Abbado al quale va dato il merito di aver riproposto questa splendida partitura nella sua integralità, eliminando quei tagli scaturenti dalla tradizione esecutiva, riuscendo a donare all’esecuzione una buona cura alla difficile, e mitica, parte vocale; una direzione, però, che è sembrata priva della necessaria cantabilità che penalizzava un po’ quella sensazione di melodia infinita che evoca l’ascolto della musica di Bellini privata così di una parte di quegli slanci sentimentali che ne sono la caratteristica.
Dopo la recita alla quale abbiamo assistito il folto pubblico convenuto ha dedicato alla Pratt e a Demuro un vero e proprio trionfo mostrando approvazione per quanto ascoltato con lunghi e reiterati applausi che sono stati poi estesi a tutti gli altri interpreti della serata.
Claudio LISTANTI Roma 1° Maggio 2022