Francesca Cappelletti e la ‘nuova’ Galleria Borghese: il Guido Reni? E’ un capolavoro! La mia idea del Museo? Meno grandi eventi, più ricerca e più studio.

P  d L

Colloquio con Francesca Cappelletti

Francesca Cappelletti è dallo scorso novembre alla testa della Galleria Borghese, erede di Anna Coliva, che per molti anni ne ha letteralmente tracciato la fisionomia con la sua personalità. Nella conversazione che cortesemente ci ha concesso -muovendosi tra il suo studio, il deposito (ricco di quadri che certamente non sfigurerebbero alle pareti di molti musei) e la sala dov’è per ora esposta la Scena Campestre di Guido Reni recentemente acquistata (ne parliamo nell’intervista)- ha delineato con molta accuratezza e precisione quale sarà il suo percorso da Direttrice e quali cambiamenti intende realizzare rispetto alla precedente conduzione. Non abbiamo motivo di ritenere, conoscendo ormai da molti anni il suo assoluto senso del dovere, il suo attaccamento al lavoro e la sua caparbietà, per non dire delle sue capacità e competenze, che saprà vincere anche in questo campo. Riguardo all’altro campo, quello della docenza universitaria, della ricerca, delle pubblicazioni, della cura e della promozioni di eventi espositivi o convegnistici di carattere scientifico, non vale neppure far cenno in questa sede tanto sono conosciuti.

La prima domanda che ti porrei riguarda il dipinto di Guido Reni raffigurante Quadro in tela con un Paese con molte figure figurine con un ballo in Campagna alto p.mi 3 e mezzo Cornice dorata del N.° di Guido Reni”, ultimo acquisto della Galleria Borghese, ed unico dello scorso 2020, perché mi sono arrivate varie osservazioni anche critiche cui vorrei rispondessi, se possibile.

R: D’accordo, iniziamo pure da qui

Dunque, alcuni addetti ai lavori  -studiosi ed anche antiquari per essere precisi- hanno sollevato obiezioni per il fatto che l’opera non sembra precisamente tipica dell’artista felsineo che effettivamente è ben noto come grande pittore di autentici capolavori a carattere religioso e mitologico, ma non risultava nell’ambito dei paesaggisti; ci vuoi spiegare bene come è andata la vicenda posto naturalmente che tu in qualche modo l’hai ereditata?

R: Dunque, l’opera è stata comprata, come certo sai perché la notizia è apparsa sui giornali, dalla Galleria ‘Fondantico di Bologna che l’aveva esposta nel marzo 2020 al Tefaf, la fiera internazionale di arte e antiquariato di Maastricht. Il precedente proprietario però era il noto antiquario Patrick Matthiesen, autore di uno studio molto accurato, uscito nel 2017,  in cui grazie a riscontri e a documentazioni  afferma che questo dipinto è opera di Guido Reni ed era quello appartenuto al cardinale Scipione Borghese.  Poi, è vero che la procedura era stata avviata nella primavera scorsa dalla precedente direttrice Anna Coliva, e quindi io in un certo senso l’ho ereditata, ma sono convinta che si tratti di un vero capolavoro e d’altra parte il dato su cui tutti mi pare siano d’accordo è che appartenesse al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, per cui riportare il dipinto qui nella sua Villa lo trovo davvero un fatto di grande rilievo.

E’ vero, ma – mi fanno rilevare le voci critiche- il documento cui si fa riferimento e relativo agli inventari Borghese risalirebbe al 1690, mentre il dipinto viene classificato come risalente ai primi anni del ‘600 quando cioè Reni entrò nel libro paga dei Borghese; è così?

R: A me risulta descritto dai primi anni Venti fino al 1693; venne venduto nel 1892; in questo periodo è sempre presente nella raccolta.

Ecco, dunque ci sono citazioni inventariali già a partire dagli anni Venti, quando cioè tanto Reni che il Borghese erano in vita, e non a partire dal 1690 come sembrava dalle anticipazioni?

R: I documenti sono citati nel contributo del 2017 di Matthiesen anche in un articolo di Francesco Gatta, su un altro paesaggio di Reni, sempre pubblicato nel 2017. L’inventario a cui si riferiscono le pubblicazioni, compresa la scheda di Daniele Benati del 2020, è quello pubblicato a suo tempo da monsignor Sandro Corradini, non datato, ma che sulla base delle entrate e delle uscite di dipinti di cui invece ci sono notizie precise, va collocato nei primi decenni del secolo. Inoltre va tenuta in considerazione anche la descrizione di Pietro de Sebastiani che nel suo Viaggio curioso de’ palazzi, e ville più notabili di Roma riferisce appunto del nostro dipinto con l’attribuzione a Guido Reni;

insomma, negli inventari è descritto sempre molto dettagliatamente anche nella tipologia di figure che vi compaiono. Dunque, posso dire che ci sono tutta una serie di considerazioni a favore della mano di Reni, e tuttavia aggiungo che stiamo facendo e continueremo a fare a questo proposito un lavoro di collazione di tutti i documenti e inventari che si conoscono che a volte sono ancora parziali altre volte invece sono quelli già resi noti da Della Pergola ma rivisti e ricontrollati all’Archivio segreto vaticano.

-Uno dei motivi di perplessità in effetti riguarderebbe questa datazione così precoce, oltre al fatto che per quanto possa essere un quadro molto bello e interessante secondo alcuni la cifra pagata, che ammonta a 800 mila euro, sarebbe eccessiva specie se confrontata con quanto venne acquistato il dipinto pochi anni fa quando era ancora scuola bolognese del XVII sec.  presso una casa d’aste londinese.

R: Sinceramente penso che possiamo dare per acquisito il dato che le scoperte e le attribuzioni facciano determinare progressivamente i pressi dei quadri. Non mi sembra il caso di illustrarla, ma vorrei richiamare la differenza concettuale fra valore e prezzo; il secondo è determinato dal primo, che viene costruito dallo studio, dall’attribuzione, dalla provenienza … la tua rivista è apprezzatissima dagli addetti ai lavori, quindi tutti sappiamo di cosa stiamo parlando!  Patrick Matthiesen lo ha inserito nel catalogo di Reni dopo tutta una serie di colloqui e verifiche informali arrivando alla definizione dell’autore anche prima che la paternità fosse confermata attraverso le fonti documentarie, anche perché si era pensato di avvicinare il paesaggio ad un altro quadro appartenente alla collezione del cardinale Paolo Emilio Sfrondati, o ancora ad un altro in collezione Farnese, raffigurante un Gioco di amorini, pubblicato dal già citato  Francesco Gatta nel 2017,  anch’esso molto precoce (il Gioco di amorini è stato pubblicato in due occasioni, a stampa e sul web, anche dal Prof. Massimo Pulini -cfr https://www.aboutartonline.com/guido-reni-risarcito-inediti-novita-attributive-e-una-conferma-nel-saggio-di-massimo-pulini/- ndA.)

 

Guido Reni, Gioco di Amorini

-Dunque secondo te ulteriore possibile conferma che il quadro oggi da voi alla Borghese sia di mano di Guido Reni deriva anche dal fatto che potrebbe essere avvicinato a dipinti stilisticamente simili?

R: Esattamente, del resto se non vado errata l’idea di lavori di questo impianto stilistico eseguiti precocemente da Reni era stata avanzata già da Keith Christiansen.

 -Devo però rilevare che Stephen Pepper che com’è ben noto è stato lo storico che su Reni è andata molto avanti negli studi rispetto agli altri, di questa Scena campestre non fa cenno.

R: Ma Pepper era scomparso prima che il quadro uscisse .

E’ vero però certamente sappiamo bene che ebbe a studiare documenti e carte e pubblicato inventari su inventari, oltre che opere su opere concernenti l’artista bolognese,  perfino mise sul “Burlington” il libro dei conti di Reni  dove non si trova notazione alcuna relativa a questo dipinto, neppure tra le opere perdute o non rintracciate. Comunque al di là di ciò, un’altra osservazione critica che è stata fatta come ti dicevo riguarda la cifra pagata dalla Galleria, cioè dal Mibact, per acquisire l’opera, cioè 800 mila euro.

R: Posso dirti che io sono entrata in carica lo scorso novembre ma è stata brava la ex Direttrice Anna Coliva che aveva riconosciuto il dipinto esposto a Maastricht nell’aprile scorso dalla galleria Fondantico, a far scendere il prezzo che era molto più elevato; per parte mia, presa visione delle documentazioni di cui ti dicevo e della scheda del Prof. Daniele Benati, che conosciamo come grande esperto di pittura bolognese  il quale assegna senza dubbio l’opera alla mano di Reni, ho proceduto alla definizione dell’acquisto. Tutta la documentazione, anche quella sulla trattativa economica che, ripeto, è stata vantaggiosa rispetto alla richiesta iniziale,  è stata sottoposta a suo tempo dalla direttrice Anna Coliva a tutti gli organi di controllo della Galleria e del Mibact.

Si tratta ora di aspettare il giudizio del pubblico; ecco: pensi di presentare il quadro magari con un convegno non appena questa pandemia lo consenta?

R: Non so quando riapriremo, se e in quale “fascia” saremo nel Lazio e quindi dovremmo regolarci sulla base di queste indicazioni che verranno, però certo sarei contenta di presentarlo al pubblico il prima possibile; vedi, tu parlavi della datazione dell’opera, certamente è un tema che si presterebbe a un bel dibattito tant’è vero che mi piacerebbe organizzare un evento che dia anche risalto e approfondisca la questione dei primi anni di Reni a Roma. Più che a un convegno però penserei ad una mostra dossier, una piccola mostra con opere che possano dialogare con la nostra Scena Campestre.

Qualcosa tipo l’affermazione del genere del paesaggio nei primi anni del Seicento?

R: Qualcosa del genere, più che affermazione, la sperimentazione …. anche perché come sai il tema del paesaggio mi affascina da sempre e l’idea di approfondire il discorso sul paesaggio a Roma agli inizi del Seicento, mettendo soprattutto in rilievo come i bolognesi guardino anche ai pittori fiamminghi e non in un’unica direzione mi farebbe piacere.

Ti riferisci anche al dipinto sub judice?

R: Certamente! Quando venne venduto a fine  ‘800 figurava addirittura come paesaggio fiammingo del XVII sec. D’altra parte, guarda queste scenette: i panni stesi, la donna col bambino sul ponte se non rimandano a pittori oltremontani, e poi invece tipicamente emiliani sono la cascatella, il paesino sullo sfondo, e così via, gli effetti acquatici ad esempio richiamano Domenichino, per  non dire che la prima cosa che  viene in mente sono le lunette Aldobrandini di Annibale.

Questi cappelli e i relativi personaggi sembrano prossimi a Mastelletta, non trovi?

R: Appunto, ci sono molte cose emiliane (penso anche ad Agostino Carracci e a Albani), e non solo, dentro questo quadro, dunque sarebbe un bel tema da trattare, secondo me con una piccola mostra e magari una giornata di studi aprendo al pubblico; questo però non credo sia possibile entro qualche settimana, tanto che sto pensando ad un evento ad ottobre, anche perché nel frattempo abbiamo altri progetti.

Ecco allora passiamo senz’altro a parlare di questo; quali progetti sono in cantiere in particolare?

R: Come ti dissi subito dopo il mio insediamento, la prima cosa che intendo realizzare è il catalogo che credo ci darà grandi soddisfazioni (cfr  https://www.aboutartonline.com/scelti-i-13-nuovi-direttori-di-museo-alla-galleria-borghese-va-francesca-cappelletti-priorita-il-catalogo/,  intanto perché partiamo da un punto fermo, ossia quello di Paola Della Pergola che chiaramente per alcuni aspetti  è normale che debba essere aggiornato se pensiamo a quanta bibliografia si è aggiunta nel corso degli anni. Su questo del resto sta lavorando non da ieri Marina Minozzi, funzionaria e storica dell’arte che della Borghese conosce tutto, in particolare tutta la storia della collezione e che con la sua équipe all’interno sta già facendo un prezioso lavoro di confronto tra i vari inventari; l’ambizione che abbiamo è doppia, cioè portare avanti i lavori per il nuovo catalogo e poi mettere on line le singole schede mano a mano che le realizziamo.

Certo sarebbe un’ottima cosa ma assai impegnativa; pensi di valerti anche dell’aiuto di altri studiosi, magari esterni?

R: Abbiamo funzionari storici dell’arte nel museo, studiosi validissimi delle opere della Galleria, che certamente parteciperanno al catalogo: Lucia Calzona, Maria Giovanna Sarti, Emanuela Settimi; ma cercheremo di coinvolgere studiosi giovani anche attraverso accordi con l’Università, penso ad una sorta di cantiere che possa servire anche come tirocinio per gli studenti più “avanzati”.

-Un po’ quello che facevi all’Università …

R: Esattamente; in effetti come docente avevo stretto dei rapporti con la Pinacoteca per far intervenire per quanto possibile i nostri studenti all’interno del museo; sono convinta che sia estremamente importante creare una specie di osmosi con le realtà  museali e che sia una fonte di arricchimento per tutti, tanto per l’università quanto per i musei. Per questo cercherò di organizzare al meglio un rapporto del genere, ovviamente contando sui nostri funzionari che sanno bene come muoversi. Inoltre penso alla possibilità di relazionarci anche con progetti di ricerca di altre realtà.

Puoi farci qualche anticipazione su questo?

R: Stiamo per sottoscrivere –ma non c’è ancora niente di definito- accordi con l’Università Roma 3 e con la Normale di Pisa.

Insomma, se posso dire, mi pare che la tua logica sia quella di una più profonda attenzione al museo come una sorta di struttura viva e attiva, un laboratorio che si prefigge di rilanciarne e privilegiarne le caratteristiche di luogo di lavoro e di approfondimento; per riassumere: meno grandi eventi e più ricerca e più studio. E’ così?

R: Assolutamente, per me il  museo è precisamente questo, un luogo dove si studia e si fa ricerca; dalla ricerca discendono gli eventi, non c’è nessuna contraddizione o opposizione.

Adesso però, considerando come purtroppo stanno le cose, dovendo fare i conti con le restrizioni, i musei stanno lavorando molto sulle piattaforme di streaming ed anche la Borghese presenta i suoi capolavori con trasmissioni sul web; la cosa è molto interessante ed importante, tuttavia, ti chiedo: non temi che poi, il giorno in cui, come tutti speriamo ardentemente, si ritorni alla normalità e alla fruibilità diretta delle opere d’arte, quella che oggi appare una necessità possa poi divenire un’abitudine che rischia di allontanare l’utente e non avvicinarlo al museo?

R: No, non vedo questo rischio; certo, è essenziale che il museo sia luogo d’incontro, di confronto, di elaborazione e di frequentazione diretta; come ti dicevo poco fa, il mio ideale di museo è quello dello spazio fisico per la ricerca e lo studio, però pensa anche alle occasioni che offre ad esempio lo Zoom che fino a pochi mesi fa non sapevamo cosa fosse e che invece ci offre oggi la possibilità di parlare, di scambiarci esperienze anche da posti molto distanti e magari collaborare ad un evento internazionale con colleghi stranieri senza dover prendere aerei, perché no? Guarda, io sono la prima che non vede l’ora che tutto possa realizzarsi finalmente in presenza ma oggi non è possibile, dunque ben vengano queste trasmissioni via web, che, ti confesso, mi sembrano stiano sviluppando anche un senso di maggiore generosità: vedo infatti maggiore disponibilità a scambiare informazioni, vedo che girano in rete pdf, immagini, documenti e così via; insomma, si può imparare anche dalle necessità in cui siamo costretti. Con Maria Laura Vergelli, che alla Borghese si occupa della comunicazione, stiamo sviluppando un programma di eventi online che vede la partecipazione di molti studiosi, all’interno e all’esterno della Galleria, di scrittori …. Così rimaniamo in contatto con il nostro pubblico.

A proposito di relazioni internazionali sappiamo tutti che la Galleria Borghese ha un appeal molto importante anche all’estero probabilmente anche per le iniziative e le relazioni curate della dott.sa Coliva ; ti chiedo se pensi di proseguire in questa direzione curando e ampliando questo tipo di ‘range’ ?

R: La fama e l’attrazione internazionale della Galleria sono dovute ai capolavori che contiene, una concentrazione tale di opere straordinarie, da Bernini a Caravaggio, a Tiziano, a Raffaello, a Correggio a Cranach a Canova e così via per non parlare del resto: arredi, oggetti straordinari, affreschi, tale da riempire quasi ogni centimetro. Entrando nelle sale si ha l’impressione di padroneggiare la storia dell’arte e, se vuoi, non hai quasi neppure l’idea di girare per un Museo, è un’esperienza unica, in cui il visitatore va accompagnato. I rapporti internazionali sono importantissimi per qualsiasi museo, a qualsiasi latitudine; qui abbiamo una bella eredità da potenziare ulteriormente.

Cioè, che cos’è che a tuo parere manca o è insufficiente?

Antonio Asprucci, nel ritratto di Anton von Maron

R: Parlo dell’aspetto comunicativo-didattico; chiunque può entrare nel museo ed uscirne senza aver neppure saputo chi fosse Scipione Borghese, come abbia formato questa straordinaria collezione, quali storie ci siano dietro, e non si sa neppure chi ha fondato la palazzina e scommetto che ben pochi conoscano Antonio Asprucci che ha dato questo aspetto  armonioso alle sale; insomma si tratta di migliorare molto su questo versante perché conoscere la storia stessa del museo significa anche esserne maggiormente coinvolti ed attratti; d’altra parte abbiamo verificato che i commenti del pubblico sono tutti strapositivi alla fine del percorso, eccetto proprio quello che concerne la insufficienza o la mancanza di informazioni idonee. Dunque senza  pensare  a pannelli invasivi, tuttavia dobbiamo fare uno sforzo per informare quanto meno sulla storia della famiglia, della villa, della collezione, con i suoi spostamenti documentati di arredi e dipinti nel Palazzo di Campo Marzio, fondamentale per comprendere le vicende del collezionismo romano dell’epoca.

Apri un discorso molto impegnativo ancorché già abbastanza affrontato se pensiamo a quanti studiosi si sono misurati con la storia del collezionismo romano del tempo.

Il Cardinale Scipione Borghese, nel busto in marmo di Gianlorenzo Bernini

R: E’ un lavoro impegnativo ma non tanto poi così scontato se rifletti sul fatto che studiare le collezioni romane significa fare la storia del collezionismo tra Roma e l’Europa, fare il punto sull’uso delle residenze e su come si sviluppano i tentativi di emulazione e imitazione tra una famiglia e l’altra, su come, ad esempio, Pietro Aldobrandini sia modello per la collezione di quadri Cinquecenteschi per Scipione, o come questi sia preso a modello da Ludovico Ludovisi, su come poi le dispersioni siano state veicolo di diramazioni di modelli culturali da Roma fino al resto d’Europa per non dire oltreoceano fra Otto e Novecento.

Parlando di modelli, per ritornare al tuo incarico, mi pare di poter dire che il  modello della precedente conduzione della Borghese si sia caratterizzato spesso per una certa eterodossia espositiva, se posso dire così, che è stata oggetto anche di critiche, perché presentava insieme Caravaggio e Bacon, ad esempio, o Giacometti  o Fontana e altri ancora. Tu pensi che sia una strada ancora da percorrere ?

Damien Hirst (fot. Photoshot/REPORTER)

R: Noi nel 2021 inaugureremo una grande esposizione organizzata e curata da Anna Coliva e Mario Codognato, che era già in cartellone per lo scorso 2020 e poi rimandata causa covid, dedicata a Damien Hirst e credo proprio che sarà qualcosa di sorprendente e di molto importante per Roma anche perché è la prima volta che questo artista approda nella Capitale. Tu  mi chiedi se queste iniziative di attenzione al contemporaneo in rapporto all’antico le continueremo: ti rispondo che questa linea è stata coltivata soprattutto da Anna Coliva perché evidentemente ne aveva le capacità e l’interesse, insieme ad un ufficio mostre della Galleria molto attivo, che per fortuna fa parte del’”eredità”—capitanato da Geraldine Leardi, co-curatrice di molte mostre. Non ho le stesse capacità di intrattenere questo rapporto così continuo con il contemporaneo, ma ho delle idee in proposito. Ci sono artisti contemporanei che credo possano creare davvero una nuova lettura delle opere all’interno della Galleria, aiutarci a comprenderle ancora meglio, ma vedremo.

-Dunque torniamo al ruolo che avrà la Borghese sotto la tua direzione.

R: Ecco, appunto vorrei lavorare sulla storia della collezione, sulla cultura che sottintende alle raccolte, sulla storia stessa della villa, sulle fonti letterarie relative all’allestimento. Faccio solo un esempio: quasi tutti coloro che escono dal museo sono convinti di aver visitato un complesso unicamente barocco, quando invece la decorazione degli interni è del tardo Settecento, con aggiunte ottocentesche….il ruolo del tempo e la sua comprensione, la stratificazione delle fasi, delle interpretazioni e degli sguardi è essenziale per comprendere il museo.

Anche qui: pensi a organizzare qualcosa di specifico ?

R:  Intanto ci sarà una giornata di studi, sul palazzo romano del ‘600 mettendo al centro la Galleria Borghese come elemento essenziale nella comprensione degli allestimenti seicenteschi e delle loro dinamiche, spesso basate su componenti letterarie. Non vogliamo negare le componenti materiali, economiche o sociali, ma dimostrare come anche le suggestioni poetiche e l’elemento emotivo avessero importanza nell’elaborazione dei progetti.

-Dunque niente più mega eventi tipo Cranach, Bernini o Fontana tanto per citarne solo alcuni di quelli più di successo?

R: Le mostre sono molto complicate ora, nell’orizzonte del Covid e che il Covid ci lascerà; sono poi sempre state complicate da organizzare negli spazi della Borghese,  ma certo l’attività espositiva è essenziale per il museo, per esprimere se stesso e i suoi studi. Cercheremo  di trovare soluzioni originali, partendo da Damien Hirst, per esempio,  com’è noto usa differenti materiali per le sue realizzazioni, continueremo con i  Naturalia et Mirabilia … mi piacerebbe mettere in rilievo la pietra dipinta, in collaborazione con il museo di Saint Louis,  perché –senza contare che ci consentirebbe di portare alla luce anche una parte non trascurabile delle nostre collezioni-  ci porta a ragionare in modo ampio sul concetto di dipinto, su un tipo di materiale che diventa supporto della pittura e sul cambiamento dello statuto dell’opera d’arte, a metà fra pittura, scultura, prodigio naturale. E’ importante, in questa chiave,  riflettere sul rapporto con la scienza agli inizi del XVII secolo.

Si è molto chiaro, si tratta di concepire il museo come luogo di iniziative culturali di studio e di approfondimento.

R: Infatti, con questa esposizione concepita in modo così ampio potremmo riconsiderare anche gli spazi stessi della collezione ma anche fuori, gli spazi dei giardini: insomma Naturalia, riferendoci agli spazi esterni ed anche interni, e Mirabilia i capolavori dell’arte ma anche della natura; le opere d’arte e della natura assieme con l’imprescindibile intervento dell’artista. Mi sembra un percorso interessante tanto a livello culturale che didattico.

Hai accennato agli spazi, come intendi gestirli? Pensi anche tu ad iniziative aperte ai privati.

R: Questo è un problema che adesso proprio non si pone, e non lo dico per evitare la risposta ma perché è chiaro che eventi che richiamano assembramenti di persone chissà se e quando si potrà pensarli; mi piacerebbe allargare la partecipazione alle attività del museo. Mi trovo a mio agio a lavorare con le istituzioni, ad esempio con il Comune di Roma con cui condividiamo il discorso sui giardini e sugli spazi esterni che noi curiamo e manteniamo ma che appartengono al Comune. Per queste e altre iniziative sarebbe bello coinvolgere i cittadini e i visitatori, avere una base di sostenitori ampia, soprattutto tra i più giovani.

Hai in previsione iniziative in collaborazione con il Comune?

R: Immagino precisamente questo, progettare insieme negli spazi esterni  della Villa iniziative didattiche, avviare laboratori; sarà proprio una delle prime cose che metterò in atto perché come si sa i giardini sono molto frequentati soprattutto da giovani, oggi ovviamente secondo le restrizioni imposte dalla situazione che viviamo, ma approfittando di Naturalia et Mirabilia mi piacerebbe iniziare ad organizzare eventi, visite guidate che facciano risaltare anche come il Cardinale Scipione concepisse i giardini, e poi l’Uccelliera, la Meridiana; sarebbe un ottimo progetto.

Galleria Borghese, Giardino segreto e Uccelliera

Parli di come coinvolgere i giovani, mi puoi dire come pensi di organizzare la conduzione didattica della Borghese.

R: E’ un aspetto determinante che certamente voglio incrementare perché la didattica fa parte del Dna della Borghese; Paola Della Pergola è stata una pioniera in questo senso e infatti mi sono andata a rileggere cosa scrisse per un convegno del 1971 sul tema proprio della didattica nei musei, osservazioni e proposte talmente valide che sembravano scritte  nel 2015, sembravano le  linee guide della Direzione Generale Educazione e Ricerca! è una tradizione quindi che voglio certamente sviluppare anche contando sulla guida di Stefania Vannini e delle sue ricerche sull’accessibilità, sul servizio offerto da guide storiche dell’arte che da anni collaborano con la Galleria, tenendo presente che sono diversi i pubblici cui rivolgersi, dal bambino delle elementari allo studente universitario, dall’appassionato al turista, per i quali occorre preparare percorsi diversi. Vero è che anche quest’anno credo che purtroppo avremo un pubblico in misura limitata tuttavia il tema non sarà affatto trascurato. Per ora però grazie anche al lavoro fatto sui social al quale accennavo prima, abbiamo organizzato video di approfondimento  e letture originali di opere del museo, non sempre sui capolavori, a conferma del fatto che non intendiamo affatto rinchiuderci né tanto meno trascurare l’impegno didattico. Guardate il nostro sito! E i canali social della Galleria … sono pieni di sorprese!!!

Una domanda adesso a Francesca Cappelletti nella veste di storica dell’arte: tu sei ben nota come valorosa storica dell’arte, hai trattato ed approfondito  vita ed opere di artisti straordinari, hai scritto testi molto importanti, hai realizzato mostre di rilievo internazionale ed elevato  valore scientifico, l’ultima quella a Milano su Georges de la Tour; ecco, non ti mancherà il lavoro precedente, l’insegnamento, la ricerca d’archivio, la cura di eventi anche internazionali di cui ti eri occupata fino a pochi mesi fa?

R: Vabbè diciamo subito che sei troppo amico, e che sono qui solo da novembre, sinceramente ti rispondo che i cambiamenti nella vita delle persone possono essere anche opportuni delle volte e comunque stare a contatto diretto con le opere  penso che mi farà solo bene!! ma soprattutto spero io di essere utile alla Galleria, molto più importante questo dei singoli destini. Quando si arriva in un posto nuovo è importante portare qualcosa di caratterizzante e credo che la mia esperienza nel campo degli studi e dell’insegnamento che hai  voluto ricordare possa essere una risorsa. Del resto a Ferrara, come ti dicevo, ho costantemente cercato da docente di avvicinare il mondo museale a quello della ricerca universitaria, creando percorsi di studio nella convinzione che fosse essenziale unire le forze e le esperienze e che la ricerca e lo studio, lo ripeto, debbano essere il cuore pulsante del museo.

-In una intervista di qualche mese fa, l’allora direttrice Anna Coliva ci disse che era ovvio che chiunque le fosse succeduto avrebbe legittimamente cercato di improntare il suo lavoro secondo le sue personali caratteristiche, e dunque, avvicinandoci alla fine del nostro incontro, potrei riassumere con lo slogan che la Galleria Borghese cambia orientamento?

R: Molte iniziative delle quali abbiamo parlato erano già in essere, ho trovato molto di quello che voglio fare in Galleria, ma certo il catalogo generale ragionato, il trasferimento dei materiali immediatamente sul sito, l’accento sul digitale e sull’open data per le nostre ricerche dei prossimi anni sono componenti della mia formazione e del mio lavoro accademico. Penso anche che si tratti di una accelerazione non dovuta solo alla mia concezione del ruolo sociale del museo, attivo nella vita della comunità scientifica e nella vita dei cittadini,  ma anche dovuta al momento che viviamo. La società va incontro a grandi cambiamenti e i musei ne fanno parte.

-Senti, ma te l’aspettavi questa nomina ? e come l’hai vissuta?

R: No che non me lo aspettavo, non sarebbe nel mio carattere. Tu non mi hai conosciuto da studente, ma tutti sanno che pensavo sempre di non aver mai studiato abbastanza per gli  esami, facevo lagne insostenibili … comunque che dire? E poi quando si partecipa ad un bando non sai mai, tuttavia è vero che per me questo era l’unico posto  per un’esperienza al di fuori dell’ambito accademico e la ragione è molto semplice, qui nella Borghese sono contenuti e riassunti nella straordinaria collezione di opere d’arte un po’ tutti i miei interessi di studio, tutto ciò che da studentessa che frequentava quotidianamente la Biblioteca Hertziana o la Biasa approfondivo e ricercavo; ti sembrerà paradossale ma è così, al museo non ci ho mai pensato seriamente prima degli ultimi tempi e prima della Galleria Borghese. Quando vinsi il concorso per la Soprintendenza diversi anni or sono ho rinunciato  e continuato a  insegnare a contratto a Cosenza, all’Università della Calabria.

-Un’ultima domanda scontata: come vedi la ripresa post covid, come pensi di accogliere, quando che sia speriamo il prima possibile, i visitatori della Galleria?

R: Sarò felice di mostrare al pubblico i nuovi allestimenti  e i cambiamenti che sono stati apportati nella sala di Caravaggio, come pure spero di poter mostrare al più presto in modo adeguato il dipinto di Guido Reni di cui abbiamo discusso, ma abbiamo molte cose in cantiere ed anzi faccio un altro appello ai lettori di About Art ed a tutti di visitare il nostro sito web che presenta davvero molte novità che saremo ben felici di riproporre appena possibile anche in presenza.

P d L  Roma 24 gennaio 2021