di Massimo FRANCUCCI
I Bari di Caravaggio a processo
Ricordo bene il clamore che ha accompagnato la presentazione da parte di Sir Denis Mahon di una versione dei Bari di Caravaggio quale autografo del pittore lombardo.


Il dipinto, infatti, era passato quasi inosservato ad unâasta Sothebyâs, assurgendo agli onori delle cronache al momento del suo riferimento al maestro lombardo, avallato quasi immediatamente da altri esperti caravaggisti quali Mina Gregori e Maurizio Marini. Lâopera aveva presenziato a una mostra allestita a Trapani Caravaggio e lâimmagine del divino, in seguito era stata esposta a Cento, patria del Guercino e, adottiva, di Mahon stesso che tanto si è speso per la riscoperta internazionale del pittore emiliano, per passare infine a ForlĂŹ, in occasione della memorabile rassegna dedicata a Guido Cagnacci, nella quale si indagavano in maniera peculiare i contatti tra la pittura emilianoromagnola ed il naturalismo romano e dove forte era la presenza di Caravaggio e i suoi seguaci [1].
In quellâoccasione fu approntato un catalogo dedicato al dipinto [2], in cui la parte da padrone la faceva lâintervento di Mina Gregori, Un altro autografo dei Bari di Caravaggio [3], in cui si portavano numerosi punti a sostegno dellâautografia, tra i quali lâalta qualitĂ e alcuni elementi suggeriti dalle indagini scientifiche.
Tra questi spiccava la presenza dellâocchio del vecchio baro, dipinto e poi coperto dal cappello del giovane truffato, un modus operandi che sarebbe stato impossibile da giustificare in una copia. Dal vivo questa sensazione era forte, quasi che fossimo tutti colti da una suggestione collettiva, peccato che le radiografie sembrino smentire il tutto: nel resto del quadro la sclera è sempre dipinta con colori radiopachi, dunque si sarebbe dovuto distinguerla agevolmente anche sotto al cappello, ma questa cosa invece non si verifica. Oltre a ciò, la tela mostrava qua e lĂ qualche caduta di qualitĂ , pur reggendo bene il palcoscenico che le era stato allestito.
PerchĂŠ dunque tornare a parlare del dipinto scoperto da Mahon a quasi tre lustri di distanza? Per la ragione che il precedente proprietario della tela, Lancelot Twaytes, ha deciso di portare in giudizio Sothebyâs, ritenendo a suo parere la casa dâaste colpevole di negligenza, per non aver valorizzato il dipinto, per non aver effettuato una riflettografia a infrarossi, per non essersi avvalsa del giudizio esterno di un conoscitore caravaggesco e dunque, come sarebbe venuto fuori nel corso delle udienze, non aver sfruttato il âpotenzialeâ Caravaggio (Caravaggio Potential) di un dipinto che appariva sempre di piĂš una delle tante copie, sebbene forse la migliore, dellâoriginale gelosamente custodito in Texas, a Fort Worth.
I due contendenti avevano nominato degli esperti per favorire la discussione in aula e Sothebyâs si era rivolta a Richard E. Spear, che ha deciso di raccontare in un libro Caravaggioâs Cardsharps on Trial[4], questa vicenda in qualche modo singolare anche per uno storico dellâarte affermato e di esperienza come lui.
Immancabile premessa per tutta la questione è senza dubbio lâesplosione della âCaravaggio Maniaâ che negli ultimi settantâanni ha visto il pittore lombardo assurgere allâempireo dei pittori âveneratiâ e conosciuti dal grande pubblico, con le sue opere entrate nellâimmaginario generale e ricercate per mostre e sfruttate nel merchandising, anche il piĂš bizzarro, una metamorfosi incredibile solo pensando a quale fosse la situazione allâinizio del Novecento prima degli studi aurorali di Roberto Longhi (con Pietro Toesca) e Lionello Venturi. SarĂ la grande mostra milanese del 1951, curata dallo studioso di Alba, a lanciare definitivamente il pittore, portando ad una proliferazione di studi, pubblicazioni e mostre che non conosce ancora soluzione di continuitĂ .
A quanto detto si aggiunga la scarsitĂ di opere autografe in mano privata, al momento, credo che solo la Conversione di San Paolo Balbi/Odescalchi veda convergere il giudizio degli studiosi di riferimento, e che poche opere del Caravaggio sono transitate sul mercato dellâarte negli ultimi decenni: queste premesse giustificano il clamore che accompagna ogni nuova scoperta o presunta tale. Tra gli ultimi dipinti posti in vendita sarĂ necessario nominarne un paio poichĂŠ in qualche implicati nella questione, i Musici del Metropolitan Museum of Art di New York, ceduti nel 1952, subito dopo la mostra milanese, al museo americano perchĂŠ posseduti dallo stesso Surgeon Captain W. G. Thwaytes che, da appassionato collezionista di Caravaggio, aveva acquistato i Bari poi âMahonâ[5]; lâaltro è il quadro di medesimo soggetto comprato nel 1987 dal Kimbell Art Museum di Fort Worth.
Oltre alla qualitĂ stupefacente a provare l’autografia dei Bari di Fort Worth câera il pedigree della sicura provenienza dalla collezione del Cardinal Del Monte, il primo grande protettore di Caravaggio, il cui marchio si trova impresso sul retro della tela, il medesimo che si riscontra sul verso della Buona Fortuna della Pinacoteca Capitolina di Roma, nonchĂŠ sul dorso del San Sebastiano di Guido Reni della stessa raccolta.
Dunque il processo tenutosi allâalta corte di Londra doveva dirimere alcune questioni molto importanti, ossia le responsabilitĂ di una casa dâaste prestigiosa come Sothebyâs quando unâopera le viene consegnata, i limiti della connoisseurship e, implicitamente, la possibilitĂ che Caravaggio abbia dipinto repliche autografe, ipotesi che al momento rimane a dire il vero sub iudice. Lâautore infatti non lo esclude a priori, ma sostiene che non ve ne sia un solo caso accertato o per lo meno convincente. In effetti si concorda con Spear, con lâeccezione del Ragazzo morso da un ramarro della Fondazione Longhi, che rimane ancora difficile degradare a mera copia[6]. Anche sulla questione dei due San Francesco romani ci sembra di dissentire perchĂŠ a dire il vero, se uno dei due è autografo, lo sarĂ quello di Carpineto, esposto a Palazzo Barberini[7].
Molti sostengono inoltre che la pulitura avesse in qualche modo conferito al dipinto scoperto da Sir Denis lâaspetto della copia, che non aveva al momento del passaggio in asta, quando le vernici ossidate giocavano evidentemente a suo favore. Leggendo il resoconto del processo sembra in effetti che la vera questione riguardasse piĂš che lâautografia tout court del dipinto, sempre piĂš traballante, il suo âpotenziale Caravaggioâ non sfruttato (Caravaggio Potential). Secondo il ricorrente, in parole povere, a seguito del parere di Mahon, Gregori e Marini, anche se âsbagliatoâ, il dipinto avrebbe potuto strappare una valutazione ed un prezzo ben maggiori delle 42.000 sterline (50.400 con i diritti) effettivamente battute in asta.
Si tratta di tre nomi molto autorevoli, anche se Sir Denis allâepoca aveva superato i novantâanni da un poâ e solo lâanno prima aveva proposto come Caravaggio un San Pietro penitente che lascia particolarmente interdetti e poteva, come afferma lâautore, far dubitare delle sue capacitĂ di connoisseurs, un tempo infallibili [8]. Oltre a questo i Bari sembravano per lui la possibilitĂ di coronare un sogno espresso poco tempo prima, ossia porre rimedio al rammarico di non possedere un dipinto del Caravaggio e chissĂ che come sostiene Spear questo non lo abbia spinto ulteriormente a credere nellâautografia e nella scoperta.
Purtroppo, al momento del processo, Mahon era scomparso, cosĂŹ come pochi mesi dopo di lui era venuto a mancare Maurizio Marini che, sebbene molto piĂš giovane, aveva speso unâintera vita nello studio del pittore milanese. Egli è stato forse il massimo âespansionistaâ del corpus caravaggesco, avendovi incluso molte seconde versioni, alcune delle quali ipotizzava fossero state realizzate in collaborazione con altri pittori. La professoressa Gregori rimaneva dunque sola a spendere la sua autoritĂ a supporto dellâattribuzione, mentre si levava piĂš di una voce contraria tra gli altri studiosi[9].
Come afferma giustamente Spear, è impossibile distinguere tra i materiali e le tecniche usate da Caravaggio e quelle dei suoi contemporanei
âone cannot differentiate with any certainty between the materials and tecniques used by Caravaggio and those used by his contemporariesâ[10].
Quindi, come affermato da Peter Sutton a proposito di Rembrandt, ma con valenza universale, le analisi scientifiche possono escludere lâautografia, in caso di materiali incompatibili con lâepoca di esecuzione, ma mai confermarla, nĂŠ assegnare unâopera rigettata a un allievo o un seguace[11].
Unica eccezione potrebbe essere un pentimento non giustificabile nellâopera di un copista, come ad esempio poteva essere lâocchio dipinto sotto il cappello del giovane truffato, ma come si è detto la sua presenza non è stata certificata dalle indagini radiografiche. Allo stesso modo non hanno portato a niente di definitivo la presenza di una striscia aggiunta in passato alla tela in Texas, che faceva combaciare le misure con il dipinto Mahon, cosĂŹ come la presenza di una âmassa scuraâ alle spalle del giovane che potrebbe corrispondere con quello che si vede in una stampa del dipinto realizzata da Giovanni Volpato nel 1772.
Altro elemento importante era la presenza di una riproduzione fotografica della fine dellâOttocento quando il dipinto si trovava in collezione Sciarra/Barberini â il Cardinale Antonio Barberini lo aveva acquistato nel 1628 dagli eredi Del Monte â che però, nella tecnica aurorale, riesce in maniera singolare a mostrare elementi che farebbero pensare qui alla tela Kimbell, lĂ al quadro Mahon. Dunque anche le indagini diagnostiche avevano fallito, eppure tra le mancanze di cui la casa dâaste veniva accusata câera la non effettuazione di una riflettografia a infrarossi, dopo che la radiografia non aveva scalfito la convinzione condivisa da tutti gli esperti di Sothebyâs, che lâopera fosse una copia realizzata da un bravo seguace. Dâaltra parte queste indagini sono molto costose â Mahon vi ha speso quasi la stessa cifra sborsata per il quadro – ed è impossibile pensare che vi vengano sottoposti tutti i dipinti proposti in vendita.
Alla fine il giudice ha rigettato tutte le accuse, aggiungendo a riguardo del mancato âpotenzialeâ Caravaggio (Caravaggio Potential) che non è la corte la sede per stabilire se Thwaytes avrebbe potuto guadagnare piĂš soldi grazie al parere âsbagliatoâ di alcuni studiosi.
Il libro è condotto con estremo rigore metodologico e unâaspirazione alla completezza che, trattandosi di Caravaggio, espande a dismisura le dimensioni dello scritto. La prima parte è svolta come un lungo saggio sulla questione del dipinto e delle copie di Caravaggio, oltre che sui limiti della connosseurship e delle indagini diagnostiche, mentre la fase piĂš corposa è dedicata al processo e, per correttezza, si fa molto riferimento ai verbali rendendo in alcuni momenti la lettura non cosĂŹ rapida, anche se sempre appassionante. Un lavoro imponente se solo si pensa che, come afferma Spear, si sarebbe potuto condensarlo tutto affermando, semplicemente, che il dipinto è il miglior testimone di se stesso[12].
Massimo FRANCUCCIÂ Â Â Roma 24 gennaio 2021
NOTE

