“Fidia di Atene, il più sommo fra tutti”. La mostra a Villa Caffarelli sul più grande scultore della Grecia antica

di Nica FIORI

Fra gli scultori della Grecia classica, assolutamente preminente è la figura di Fidia, il cui operato è stato fondamentale per la scultura successiva, soprattutto romana, ma anche rinascimentale e moderna, tanto che August Rodin nel 1911 giunse a scrivere “Nessuno supererà mai Fidia”.

Già agli inizi del III secolo a.C. Senocrate, che è stato il primo critico d’arte dell’antichità, lo considerava come il più grande tra tutti gli scultori. Plinio, da parte sua, nel XXXIV libro della sua Storia naturale ci fa sapere che

Fidia di Atene è stato il più sommo tra tutti per il Giove di Olimpia, in avorio e oro, ma fece anche sculture in bronzo”.

Aggiunge, inoltre, che “Il suo apogeo si colloca durante l’83a Olimpiade, circa 300 anni dopo la fondazione di Roma”. La data di questa Olimpiade corrisponde al 448-445 a.C. e, in effetti, il 448 a.C. è l’anno in cui Pericle varò il programma edilizio dell’Acropoli, dando a Fidia l’incarico dei lavori di ristrutturazione e in particolare di epískopos (sovrintendente) del cantiere del Partenone.

Essendo stato uno scultore del marmo e del bronzo, pittore e architetto, Fidia potrebbe essere paragonato per la sua versatilità al nostro Michelangelo. Lo ha ricordato il Sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce presentando la mostra “FIDIA”, da lui curata e ospitata a Villa Caffarelli (Musei Capitolini) fino al 5 maggio 2024. Questa esposizione, la prima di una serie di cinque dedicate ai “Grandi Maestri della Grecia antica”, appare particolarmente significativa per Roma, perché è qui che è avvenuta nel Rinascimento la sua riscoperta attraverso le copie romane di suoi capolavori perduti.

1 Mostra Fidia

Della vita di Fidia sappiamo molto poco: figlio di un certo Carmide, da bambino iniziò a frequentare con profitto le botteghe di famosi maestri, forse Polignoto di Taso per la pittura, e poi Egia e Agelada di Argo per la scultura. Della sua vita privata non è trapelato quasi niente e anche la sua figura di artista è un po’ sfuggente, perché conosciamo la sua arte da copie, che sono solo un riflesso degli originali, e dalle fonti storiche. La sua fama è legata soprattutto al Partenone, il tempio più celebre dell’Acropoli di Atene, ma non sappiamo quali elementi scultorei della decorazione da lui ideata siano riconducibili alla sua mano.

Sembrerebbe, invece, certa la firma di Fidia (Pheidiou eimi, cioè “Io appartengo a Fidia”) incisa sul fondo di una coppetta a vernice nera di sua proprietà, rinvenuta nella cosiddetta Officina di Fidia a Olimpia (argilla depurata, ca. 430 a.C., Olimpia, Museo archeologico) ed esposta nella prima sezione della mostra, intitolata “Il ritratto di Fidia”, accanto a una testa in marmo bianco del I secolo d.C., suo presunto ritratto di epoca a lui successiva, rinvenuto a Frascati e conservato a Copenaghen (Ny Carlsberg Glyptothek). Anche due statuette in bronzo che rappresentano la figura di un artigiano, entrambe del I secolo a.C., potrebbero essere forse identificate con lo stesso Fidia.

Si tratta di prestiti eccezionali, uno del Metropolitan Museum of Art di New York e l’altro del Museo archeologico di Ioannina (in Grecia), che si aggiungono a quelli di altri importanti musei internazionali e nazionali, oltre a quelli della Sovrintendenza di Roma Capitale, per un totale di oltre 100 opere, tra reperti archeologici greci e di epoca romana, disegni, manoscritti, dipinti, sculture, plastici.

2 Vetrina della sezione Ritratto di Fidia
3 Statuetta in bronzo di un artigiano

La seconda sezione espositiva, intitolata “L’età di Fidia” illustra il contesto storico, politico e artistico dell’Atene dei primi decenni del V secolo a.C., delineando anche il profilo dei personaggi che la resero grande, quali Temistocle, Pericle e la sua amata Aspasia, evocati nel percorso da erme-ritratto.

Al centro della sala è una copia romana in marmo (dai Musei Capitolini) della prima opera importante di Fidia, il cosiddetto Apollo Parnopios (che libera dalle cavallette), che era realizzato in bronzo.

4 Ritratto di Pericle, Ii secolo Marmo pentelico, Roma, Museo Giovanni Barracco

Come ha illustrato Parisi Presicce, è un’opera che ci racconta Fidia in un contesto di ricerca artistica che vede da un lato Policleto, che inventa il “Canone”, cioè quella immagine di una ponderazione peculiare, basata su rapporti tra le varie parti del corpo, che avrà enorme fortuna, mentre l’Apollo di Fidia riflette una ponderazione del tutto diversa, con i piedi poggiati a terra, le spalle larghe e una struttura fisica più concentrata e statica.

5 Mostra Fidia a villa Caffarelli, sala con Apollo

Un grande dipinto ottocentesco di Gaspare Landi raffigura Pericle con Aspasia davanti a una metopa del Partenone, illustrata da Fidia (olio su tela, 1811-13 Napoli, Museo Real Bosco di Capodimonte). Si tratta di un dipinto realizzato per il Quirinale, quando il prestigioso Palazzo doveva accogliere Napoleone, che però non arrivò mai a Roma.

6 Gaspare Landi, Pericle ammira le opere di Fidia al Partenone © Museo e Real Bosco di Capodimonte

Altre opere bronzee di Fidia dell’età di Pericle erano l’Atena Prómachos (che si avvicina alla battaglia), una statua di 7-10 m di altezza, che si ergeva maestosa alle spalle dei Propilei e che era meno aggressiva rispetto all’iconografia dell’età arcaica, e l’Atena Lemnia (così detta dai dedicanti dell’isola di Lemno), della quale è esposto un calco ricostruttivo ottenuto con pezzi diversi (gesso bronzato, 1994, Dresda, Albertinum). Il bell’allestimento ricorda le parole tramandate dagli scrittori antichi, come queste di Luciano di Samosata:

“… delle opere di Fidia, invece, qual è quella che lodi di più? Quale altra avrei potuto elogiare se non la Lemnia, sulla quale Fidia ritenne degno incidere il suo nome?”.

E non a caso è proprio la testa in marmo pentelico dell’Atena Lemnia, copia dell’originale fidiaco (I-II secolo d.C., dalla Collezione Palagi, Museo Civico di Bologna), ad essere stata scelta come immagine guida della mostra.

7 Allestimento con copie romane di parti dell’Atena Lemnia
8 Calco ricostruttivo dell’Atena Lemnia

Al Partenone, progettato dagli architetti Ictino e Callicrate sotto la supervisione di Fidia, e all’Atena Parthénos (vergine) è dedicata la terza sezione. Questa celebre statua, che costituiva il culmine visivo e simbolico dell’intero programma figurativo dell’edificio, era un colosso (oltre 12 m di altezza) crisoelefantino (cioè realizzato in oro e avorio), collocato nella cella della divinità. Si tratta dell’unica opera del tempio ateniese che le fonti attribuiscono esplicitamente a Fidia. Grazie a monete, gemme, rilievi diffusi in un ampio orizzonte geografico e cronologico (tra cui la meravigliosa gemma in diaspro rosso firmata da Aspasios), possiamo ricostruire l’immagine della dea, che era raffigurata in piedi e avvolta da un lungo peplo stretto in vita, con l’egida sul petto, l’elmo con una sfinge e pegasi ai lati e lo scudo retto dalla mano sinistra e poggiato a terra. Lo scudo riproponeva temi mitologici già presenti sul Partenone, quali scene di Amazzonomachia (lotta tra i Greci e le Amazzoni) e una Gigantomachia (lotta tra i Giganti e gli dei Olimpici). Nella mano destra la dea sorreggeva una Nike (Vittoria) e ai piedi calzava sandali, il cui orlo era scolpito con immagini di Centauri in lotta.

9 Focus dedicato a parti di copie romane dell’Atena Parthenos

Le parti nude della statua furono realizzate in avorio, mentre il peplo era realizzato in lamine d’oro applicate su un’anima di legno secondo la tecnica crisoelefantina; d’oro erano anche tutti gli attributi della dea, per una cifra complessiva di 44 talenti (pari a circa 1000 kg). La veste era considerata parte del tesoro pubblico di Atene e in caso di necessità poteva essere parzialmente smontata.

Quando, intorno al 430 a.C., iniziò il declino della stella di Pericle, anche Fidia fu duramente colpito dagli oppositori politici del suo committente. Contro lo scultore furono mosse due accuse infamanti. La prima era di essersi indebitamente appropriato di una parte dell’avorio e dell’oro destinati alla statua di Atena Parthénos. La seconda di aver effigiato sé stesso (oltre a Pericle) tra i combattenti rappresentati sullo scudo della stessa statua, macchiandosi del reato di empietà (asebeia). In mostra, si ammira, in particolare, il cosiddetto scudo Strangford, copia di epoca romana in marmo pentelico del III secolo d.C., proveniente dalla collezione del British Museum, dove la figura di un uomo calvo nella scena di Amazzonomachia potrebbe essere forse il presunto autoritratto dell’artista.

10 Scudo Strangford Replica scudo di Atena Parthenos_© The Trustees of the British Museum

Il percorso relativo al Partenone inizia con i documenti che hanno segnato la sua riscoperta in età moderna: tra le opere più significative esposte c’è il Codice Hamilton 254, manoscritto quattrocentesco che riporta la prima immagine del Partenone arrivata in Europa, uno schizzo eseguito dall’umanista Ciriaco de’ Pizzicolli di Ancona risalente al 1440/45, concesso in prestito dalla Biblioteca Statale di Berlino per sole otto settimane. Significativo è anche il prestito del cosiddetto Taccuino Carrey (1674) della Biblioteca Nazionale Francese, nel quale è riprodotta la decorazione del Partenone prima dell’esplosione che lo devastò nel 1687 durante l’assedio di Francesco Morosini.

11 Focus dedicato alla riscoperta del Partenone

Tra i reperti in mostra ci sono anche quattro frammenti originali del fregio marmoreo del Partenone, sfuggiti evidentemente alle razzie di lord Elgin, che nel 1801-1802 portò i marmi del Partenone a Londra. Si tratta di due frammenti (datati al periodo 447-438 a.C.) eccezionalmente concessi in prestito, per la prima volta, dal Museo dell’Acropoli di Atene, dei quali uno, dal fregio nord, con un oplita (soldato di fanteria caratterizzato dallo scudo rotondo), e un altro dal fregio sud “con giovane e bovino”. Gli altri due frammenti, uno con cavalieri e l’altro con uomini barbati, provengono invece dal Kunsthistorisches Museum di Vienna.

12 Due frammenti del Partenone, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Assolutamente illuminante per scoprire l’architettura e la decorazione scultorea del Partenone è l’installazione multimediale “Fidia e il Partenone”, a cura di OrF Quarenghi.

Fidia con grande perizia seppe gestire un cantiere incredibilmente complesso e, oltre alla raffigurazione dei miti classici (Amazzonomachia, Gigantomachia, Centauromachia) e di quelli legati alla dea (la Nascita di Atena dalla testa di Zeus e la Lotta di Atena contro Poseidone per il possesso dell’Attica), riuscì anche a raccontare la società a lui contemporanea, come per esempio nella Processione panatenaica.

13 Installazione Fidia e il Partenone

Indubbiamente il Partenone è diventato il simbolo della perfezione architettonica ed è stato visto in epoca neoclassica anche come sublime dimora divina, visto che in Germania, per volere di Ludovico I di Baviera, ne è stata realizzata una copia in marmo bianco esattamente uguale come struttura (tempio periptero ottastilo dorico) e dimensioni, chiamata Walhalla (l’Olimpo nordico per le anime degli eroi morti in guerra), che audacemente si affaccia sul Danubio, da una collina a circa 10 km da Ratisbona.

L’itinerario prosegue con gli episodi più significativi della carriera di Fidia al di fuori di Atene. Celebre è il concorso bandito a Efeso nel 440 a.C. ca. per la realizzazione di una statua in bronzo di Amazzone ferita, da collocare nel tempio di Artemide. La particolarità della gara, come riferisce Plinio, è che

si decise di scegliere la più bella secondo il parere degli artisti stessi, che erano presenti: e fu evidente che sarebbe stata quella che ciascuno avesse giudicato seconda solo alla sua”.

La gara tra i cinque bronzisti più noti del tempo fu vinta da Policleto, mentre Fidia arrivò secondo.

Particolarmente suggestivo è l’allestimento in tondo con figure di Amazzoni, busti e teste su più livelli, che evocano la gara. Al centro è la statua di Amazzone ferita nel tipo Sosikles (Musei Capitolini, II secolo d.C.), copia dell’opera vincitrice, e di fronte un’Amazzone del tipo Mattei in basalto verde, pure del II secolo d.C., proveniente da Torino.

14 Sala espositiva con Amazzoni
15 Amazzone in basanite del tipo Mattei

Si arriva quindi a parlare del celebre capolavoro di Olimpia, il colossale Zeus crisoelefantino (alto 12 metri), che era annoverato tra le sette meraviglie del mondo. Il dio, seduto su un alto trono, indossava un mantello drappeggiato sulle gambe, mentre il torso era nudo.

16 Lo Zeus di Olimpia in un’immagine di anonimo ottocentesco, Istituto Archeologico Germanico Roma

Con il braccio sinistro sollevava uno scettro sulla cui sommità era un’aquila, mentre con la mano destra teneva un globo con una Nike, intenta a porgere una corona al dio. Il volto di Zeus esprimeva l’idea di un’augusta serenità e si diceva comunicasse allo spettatore una sensazione di benessere interiore. Certo i Greci dell’epoca non temevano di avere un’idea smisurata della bellezza e del fasto, che imponevano al mondo. Ma questo sfolgorante colosso, purtroppo, dopo aver meravigliato per molti secoli i visitatori di Olimpia, venne smontato e portato a Costantinopoli, dove nel 476 d.C. venne distrutto da un incendio.

Sono in mostra alcuni reperti scoperti a Olimpia nella “Officina di Fidia”, ovvero l’edificio allestito presso il santuario di Zeus, usato dall’artista e dai suoi aiutanti. La famosa statua è raccontata attraverso monete, rilievi, una testa di Zeus in terracotta (I secolo a.C., Liebighaus di Francoforte), già appartenuta alla collezione dell’archeologo tedesco Adolf Furtwängler, e una maschera di bronzo del I secolo d.C., prestata dal Kunsthistorisches Museum di Vienna.

17 Modello ligneo dei Tempio di Zeus a Olimpia

In mostra è esposto anche un modello (parziale) del Tempio di Zeus a Olimpia, realizzato in legno di tiglio e noce nel 1997 da M. Goudin e prestato dal Museo del Louvre di Parigi.

La successiva sezione, intitolata “L’eredità di Fidia” è dedicata all’impatto dell’arte fidiaca e delle sue tecniche sulle successive generazioni di artisti in Grecia e Magna Grecia. Tra le opere esposte troviamo la Testa acrolitica di una dea in marmo pario (470-460 a.C.) dai Musei Vaticani e la Statua acrolitica di Apollo in marmo greco (440-430 a.C.), proveniente dal tempio di Apollo Aleo a Crimisa, attuale Cirò Marina (Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria). Ricordiamo che la tecnica acrolitica prevedeva la rappresentazione in marmo della testa e degli arti, mentre il corpo era in legno ed era rivestito di un ricco abito. Le orbite degli occhi, vuote, dovevano essere riempite in osso e pasta vitrea, e non è da escludere che, per rendere più verosimile la figura del dio, la testa fosse rifinita con una parrucca in oro o stucco dorato.

Molto interessante per i romani è, infine, l’ultima sezione “Opus Phidiae: Fidia oltre la fine del mondo antico”, che esplora le radici della fama ininterrotta del grande scultore in età moderna. Notiamo subito nella sala espositiva i calchi in gesso delle due teste colossali dei Dioscuri di piazza del Quirinale, realizzati a Roma negli anni Venti dell’Ottocento e appartenenti all’Accademia di Ravenna.

18 Calchi in gesso ottocenteschi delle Teste colossali dei Dioscuri

Le statue dei due personaggi in nudità eroica, raffigurati ognuno nell’atto di tenere per le briglie un cavallo imbizzarrito, erano particolarmente amate in epoca post-antica, tanto da connotare topograficamente il colle come Montecavallo: esse suscitavano molta curiosità per via dei nomi di Fidia e Prassitele incisi sulle basi: Opus Phidiae e Opus Praxitelis. Si dovette arrivare a Francesco Petrarca per capire che i nomi non erano quelli dei due personaggi raffigurati, ma di due famosi scultori greci (il Prassitele cui si riferisce l’iscrizione è in realtà Prassitele il Vecchio, contemporaneo di Fidia), anche se non sono assolutamente attribuibili a loro, trattandosi di opere romane di probabile età severiana.

19 Giovanni Ceccarini, Canova nell’atto di abbracciare l’erma fidiaca di Giove

E fu solo alla metà del XVII secolo che si arrivò all’identificazione dei due personaggi con i gemelli Castore e Polluce, figli di Leda e noti con il nome di Dioscuri.

Nell’ambito di questa sezione c’è un focus su Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen (di entrambi  sono esposti i ritratti), in quanto grandi ammiratori della statuaria antica: tra le opere in mostra ricordiamo in particolare il gruppo marmoreo Antonio Canova sedente nell’atto di abbracciare l’erma fidiaca di Giove, realizzato nel 1820 da Giovanni Ceccarini come omaggio a Canova, celebrandolo, quindi, come il Fidia dell’epoca moderna (prestito dal Palazzo Comunale di Frascati) e la figura sdraiata del fiume Cefiso, calco in gesso dell’Accademia di Belle Arti di Bologna tratto dall’originale di Fidia (447-432 a.C.) scolpito nel Partenone.

20 Calco in gesso della testa dell‘Atena Palagi

Ricordiamo che anche per questa mostra la Sovrintendenza capitolina, da anni impegnata nell’accessibilità, ha previsto un programma di visite guidate per i sordi con interpreti LIS (Lingua Italiana dei Segni) e visite tattili (su richiesta) per persone ipovedenti e non vedenti.

Sono esposti modelli prestati dal Museo Tattile Statale “Omero” e un calco in gesso della Scuola di Arti Ornamentali di Roma Capitale, tratto dalla testa di Atena della collezione Palagi, oggi al Museo Civico di Bologna.

Nica FIORI  Roma 3 Dicembre 2023

FIDIA

Dal 24 novembre 2023 al 5 maggio 2024

Musei Capitolini – Villa Caffarelliù. Via di Villa Caffarelli – 00186 Roma

Catalogo edito da «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Orario: tutti i giorni ore 9.30 – 19.30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura

Biglietto “solo Mostra”: intero € 13,00 – ridotto € 11,00

Per maggiori informazioni Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00) – www.museicapitolini.org