De Chirico, le ‘Piazze’, il passato e l’eterno presente: la straordinaria concettualità poetica del “pictor optimus”

di Franco LUCCICHENTI

Giorgio de Chirico e l’Architettura

PIAZZE  d’ ITALIA

A prima vista lo spazio sembra razionale, rigoroso, strettamente euclideo. Un lungo elemento architettonico con alla base un portico  limita un lato ,il sinistro della composizione.
Una luce piena lo illumina in modo quasi abbagliante.
Sull’altro lato, emerge dall’ ombra lo stesso edificio leggermente variato.
I due palazzi si specchiano l’ uno sull’altro diventando simboli del cruciale rapporto tra luce ed ombra che sostanzia la vita. Sembrano seguire linee parallele ma in realtà non è così.

La geometria della piazza elude l’apparente ortogonalità e il punto di fuga prospettico non è sull’orizzonte.
Il punto di vista dell’osservatore non è ad altezza d’uomo nè a volo d’uccello. Gli edifici  bianchi e luminosi presentano alla base stretti portici con arco a tutto sesto. Una strana forzatura prospettica  mostra in qualche caso l’estradosso delle arcate che non dovrebbe comparire eludendo così l’impianto geometrico rigoroso.

Forse  De Chirico conosceva il VI postulato del trattato di Ottica di Euclide che dice:
Le cose viste sotto un maggior numero di angoli appaiono meglio visibili“.

Un debole spiraglio urbanistico-cubista si apre sulle Piazze. Dietro le arcate oscurità e vuoto. Al piano superiore perfettamente allineate con gli assi degli archi quasi attaccate al tetto o alla terrazza di copertura dell’edificio compaiono finestre che sembrano destinate a rimanere chiuse.

Sul fondo la piazza è chiusa o da una massiccia torre color mattone, o da una torre circondata da colonne bianche, da ciminiere o anche da un muro. In alcuni dipinti è rappresentato un faro costiero che fa presumere che siamo prossimi al mare. Qualche volta compaiono edifici coronati da un timpano con un orologio come rosone. Non sono chiese ma stazioni ferroviarie. NESSUNO sembra abitare questi luoghi. Solo quando un treno si intravede all’orizzonte si può immaginare che qualcuno, se il teno si ferma, passerà sulla piazza. Le torri appaiono monumentali. La funzione rimane indefinita: fortezza, campanile, prigione.

E’ chiaro che De Chirico usa l’architettura come quinta teatrale di un palcoscenico VUOTO, la piazza.
Il vuoto sembra essere un obbiettivo geometrico-spitrituale delle composizioni del Maestro.

Guardiamo ora come l’architettura si rapporta con la luce.
I palazzi  bianchi in genere sulla sinistra delle composizioni fanno pensare ad un ora “meridiana” quando nelle nostre latitudini il sole è alto nel cielo e esprime la massima luminosità. Le ombre proiettate sul terreno sono invece curiosamente  lunghe come quando il sole è prossimo al tramonto. Anche le statue sempre collocate al centro delle piazze proiettano ombre lunghe ,talvolta addirittura le statue stesse sono nere.
I paesaggi urbani di De Chirico fissano due momenti diversi del giorno. Forse le piazze sono abitate da “demoni meridiani” nel primo meriggio e la sera da gente dentro casa che cena al buio.

Per questo lo spazio esterno è vuoto? 

Un vago senso di stordimento prende l’osservatore. Un mondo con due Soli o il tempo scandito da un misterioso algoritmo: De Chirico rappresenta sulla tela due momenti del giorno, non sospende il tempo, ma lo raddoppia utilizzando elementi di architettura solidi e perentori. Non è un mondo di sogno ,che nessuno ha mai sognato. Il sogno ha forme sfuggenti indefinite fuori dal tempo.

Le piazze d’Italia rappresentano un solido antemurale a difesa dal mondo astratto, informale, che appariva all’orizzonte e che avrebbe aperto, molti anni dopo, la via a un universo liquido e indeterminato.
La composizione , scandita  da una architettura simbolica semplice e potente, FISSA ,con le sue strane ombre, almeno due volte il tempo sulla tela e diventa così anche simbolo di una possibilità dell’arte di rallentare l’inesorabile aumento di entropia che condiziona drammaticamente il divenire del mondo.
di
Franco LUCCICHENTI                  Roma 12 gennaio 2018