Da Caravaggio a Bernini, il ‘caso’ dei ritratti di Bernardino Cesari e di Virginio Cesarini.

di Claudia RENZI

DA CARAVAGGIO A BERNINI: DUE RITRATTI PROBLEMATICI

Tra le opere di Caravaggio e di Bernini ve ne sono alcune la cui attribuzione totale o parziale è materia di discussione tra gli studiosi: è il caso del Ritratto di Bernardino Cesari (Fig. 1) di Caravaggio e del Ritratto di Virginio Cesarini di Gian Lorenzo Bernini (Fig. 2).

Fig. 1 Caravaggio e ignoto, Ritratto di Bernardino Cesari, Roma, Accademia di San Luca
Fig. 2 Gian Lorenzo Bernini, Busto di Virginio Cesarini, Roma, Pal. Conservatori

Bernardino Cesari, fratello minore del più famoso Giuseppe, nacque ad Arpino nel 1571. Documentato a Roma la prima volta per una condanna in data 9 settembre 1592 per tentata estorsione e connivenza con banditi, fuggì dapprima nella natia Arpino e poi a Napoli fino a che, il 3 giugno 1593, fu prosciolto[1]. Dotato disegnatore, il biografo Giovanni Baglione scrisse di lui;

Fu pittore, e si portava nelle sue opere assai bene, ma in disegnare pulito, e diligente pochi gli ferono eguali. E tra le altre fatiche, ch’egli fece, copiò alcuni disegni di Michelagnolo Buonarroti, che erano di Thomaso del Cavaliero donatigli dall’istesso Michelagnolo […] Bernardino li fece tanto simili, e si ben rapportati, che l’originale dalla copia non si scorgeva. Insomma ben disegnava, e nell’imitare era eccellente. Egli fece poche opere da per sé […] Quest’huomo haverebbe fatto delle opere da sé, ma occupato in altre del fratello, ne lasciò poche del suo. Era amorevole, e di buona natura, e amico dell’amico, e gli piacque sempre conversare con persone nobili, e maggiori della sua conditione; e solea tal volta dire, che nel conversare con maggiori di sé, nulla si perde.[2].

Che Baglione avesse in stima Bernardino, e forse ancor più il potente fratello maggiore, lo si evince dalle parole lusinghiere riservate al giovane nella breve biografia dedicatagli: non una parola, infatti, sui suoi problemi con la giustizia (anche se la frase “amico dell’amico” può suscitare qualche perplessità) né, soprattutto, su eventuali screzi con altri pittori, men che meno con Caravaggio.

A Roma, presso l’Accademia di San Luca[3], è presente un dipinto, un bell’olio su tela di non grandi dimensioni (63×46), collocato in alto, in una delle sale di lettura (la stessa che ospita anche il Ritratto di Caravaggio di autore ignoto), classificato dai più prudenti come “anonimo del XVII secolo”, che ritrae Bernardino (Fig. 3) e che Maurizio Marini attribuì a Caravaggio nel 1982[4].

Fig. 3 Caravaggio e ignoto, Ritratto di Bernardino Cesari (part. collocazione)

L’effigiato dimostra circa 25 anni, ha lineamenti leggermente più paffuti rispetto a quelli affilati del fratello Giuseppe, guance piene, occhi grandi, naso dritto. Un collettone bianco spicca sulle spalle, avvolte da una camicia nera: la suggestiva ombra dal sapore pulviscolare che proietta sullo sfondo pare far emergere con una vivacità non comune il busto dal clipeo nel quale è incorniciato, a rievocare le gallerie di ritratti di uomini illustri di antica memoria. Un cartiglio postumo reca la data del 1622.

Com’è noto, Caravaggio fu a bottega da Giuseppe Cesari (non ancora Cavaliere, sarebbe stato investito il 15 agosto 1600), fratello maggiore di Bernardino: è più che probabile che in quel periodo – stimabile di almeno 8 mesi sicuramente prima del 1597[5] – i due coetanei abbiano stretto amicizia, vista la naturale socialità di Bernardino sottolineata da Baglione e la comune tendenza ad avere guai con l’autorità. Dunque il Ritratto di Bernardino Cesari va collocato attorno al 1595, coerentemente con l’età mostrata dall’effigiato.

Si ha inoltre notizia, anche in questo caso senza riferimenti temporali cristallizzati, di uno screzio tra Giuseppe Cesari e Michelangelo a seguito del quale il pittore avrebbe abbandonato la bottega[6].

Giulio Mancini racconta infatti che Caravaggio, dopo aver lasciato la casa di Pandolfo Pucci, quindi nei primi tempi a Roma, fu colto da una malattia e, non avendo denaro per un medico, dovette ricorrere alle cure dell’Ospedale di Santa Maria della Consolazione. In una postilla Mancini riporta dettagli sul ricovero, da collocare nel periodo in cui Caravaggio era a bottega da Giuseppe:

Lo … trattien Bernardino alla Torretta in [un] palchetto [in] un pagliariccio, con questa occasione è preso in casa [da Giuseppe] [ch]e lo trattiene 8 mesi. […] Fratanto un calcio di cavallo gonfia gamba, né menorno chirurgo aciò non fusse visto, et da un bottegaro siciliano amico [molto probabilmente Lorenzo Carli] alla Consolazione [fu accompagnato?]. Non andorno mai sicome C[esari] G[iuseppe] et B[ernardino] né lui tornato.[7].

Carlo Cesare Malvasia pare alludere alla vicenda in un passo della Felsina pittrice ma in modo, se possibile, ancor più oscuro:

Gli emuli [di Giuseppe Cesari] stimolati non meno dalla invidia che inaspriti dal danno di così potente protezione, gli concitarono contro il Caravaggio, che in certa infermità accadutagli mentre serviva il cavaliere, poco da questi compatito e meno sovvenuto, di servitore se gli era dichiarato nemico.”[8]

mentre ne Gli scritti originali sono riportati altri appunti non inclusi nella versione definitiva, utili forse per risalire alla vera causa di rottura tra i due:

Si disgustò il Caravaggio col [Cavaliere?] perché amala[to]si lo mandò all’ospitale e gli raccomandò all’ospital[ier]e promettendogli fare il suo ritratto che sanato feci […] Guercino[9].

Quel che è certo è che il 13 settembre 1603, al processo intentato da Giovanni Baglione, Caravaggio dichiarerà:

De quelli che ho nominati sopra non sono miei amici né Gioseppe né Giovanni Baglione, né il Gentileschi né Giorgio Todesco, perché non mi parlano[10].

Bernardino non è nominato, dunque si può ritenere che il risentimento di Caravaggio fosse tutto per Giuseppe e che, in seguito a ciò, i rapporti si siano raffreddati anche col di lui fratello minore ma siano rimasti con quest’ultimo in termini civili. Non si hanno insomma notizie di fratture insanabili tra Bernardino e Michelangelo e nulla vieta che, mentre ancora si frequentavano, Caravaggio abbia potuto ritrarlo in via del tutto domestica, per pura amicizia, lasciandogli poi la tela.

Un quadro del ritratto di Bernardino Cesari mano del Caravaggio, con cornice tocca d’oro, scudi venticinque.”[11]

è menzionato negli inventari di Costanzo Patrizi, già proprietario della Cena in Emmaus (1606, Milano, Pinacoteca di Brera), per la prima volta del 1624. Da Baglione sappiamo che Bernardino ha lavorato in casa Patrizi:

Molte opere del suo stanno in fregi di stanze già de Signori Patriti, & hora de Signori Costanzi in piazza Matthea.[12].

L’estensore dell’inventario Patrizi nel 1624 era Giuseppe Cesari: impossibile che sbagliasse l’identificazione del soggetto e improbabile che non riconoscesse la mano di Michelangelo quale autore del dipinto. Il quadro ricompare negli inventari Patrizi nel 1654 e nel 1689, per poi sparire; non risultano infatti menzioni di vendita[13]. Nulla vieta che il dipinto inventariato nel 1624 fosse stato donato chissà quanto tempo prima ai Patrizi dallo stesso Giuseppe e poi, in occasione dell’inventario del ’24 – Bernardino era già mancato – Giuseppe se lo sia ripreso, sostituendolo con una replica attualmente dispersa, per poi donarlo se non imporlo all’Accademia di San Luca.

Non è noto chi fosse Principe dell’Accademia nel biennio 1622-24, ma Giuseppe Cesari, che ne era membro dal 1583, ne fu Principe negli anni 1628-9: quindi potrebbe aver inserito il quadro ritraente il fratello defunto nella galleria in occasione del suo Principato, oppure averne chiesto l’inclusione subito dopo la morte (1622?) come favore personale. Quel “1622” scritto nel cartiglio del ritratto di Bernardino va ritenuto infatti apposto a ricordo della morte di Bernardino o, forse, anche del “dono” di Giuseppe, in considerazione del fatto che Bernardino, pur essendo dotato pittore, non risulta essere mai stato membro dell’Accademia di San Luca. L’aggiunta del suo ritratto, che risulta essere in Accademia di San Luca almeno sin dal 1633[14], nella Galleria può essere stato, perciò, soltanto un omaggio all’autorevole fratello Giuseppe.

L’esatta data di morte di Bernardino non è nota. Baglione scrisse: “Finalmente morì di fresca età in Roma nel Pontificato di Paolo V[15]. Paolo V Borghese morì nel gennaio del 1621, per cui o Baglione intendeva dire che Bernardino morì tra il 1605 e il 1621 (e dunque la data 1622 è riferibile alla sola introduzione della tela in Accademia) o si tratta di una svista. Di certo quel “in fresca età” collima con il ritratto, ma non con il 1622, data nella quale Bernardino, nato nel 1571, avrebbe dovuto avere 51 anni; tuttavia, dato che il ritratto di suo fratello Giuseppe presente in Accademia reca un cartiglio con la data 1640 (anno della sua morte), va ritenuto che Bernardino sia effettivamente mancato nel 1622[16] e che, in seguito, sul cartiglio sia apposta tale data come sembra confermare la lacunosa scritta emersa sul retro al momento di staccare la tela dalla tavola alla quale era anticamente inchiodata: “1622 Belardino Cesari da Arpino pittore in età de […]”[17].

Infine Baglione dice – al suo solito, ambiguamente – che un ritratto di Bernardino è presente in Accademia, ma ne tace l’autore: “Nell’Accademia di s. Luca il suo ritratto si conserva.”. Difficile credere che Baglione non sapesse chi l’aveva dipinto, anzi l’omissione è decisamente sospetta: Baglione esagera, ma non inventa mai del tutto, e laddove tace qualcosa c’è da porsi delle domande. Scrivere che il ritratto di Bernardino Cesari era di Caravaggio avrebbe implicato far notare ai lettori che un suo quadro era esposto all’Accademia di San Luca: un boccone decisamente indigesto per il rancoroso biografo!

Il Ritratto di Bernardino Cesari è collocabile attorno al 1595-6 ed è conforme allo stile di Caravaggio in quel periodo. La scrivente riconosce nelle sopracciglia e soprattutto negli occhi un ductus disegnativo tipico di Caravaggio, con palesi tangenze in tal senso con opere quali il Monda frutto (1594, coll. priv.); I bari (1594-5, Fort Worth, Kimbell Art Museum; la Buona Ventura (1594-5, Parigi, Musée du Louvre); I musici (1594 ca., New York, Metropolitan Museum of Art); Suonatore di Liuto (1594-5, New York, Metropolitan Museum of Art[18]); Ritratto di Monsignor Francesco Barberini senior (1595, coll. priv.)[19]; San Francesco riceve le stimmate (1594, Hartford, Wadsworth Atheneum); Santa Caterina (1597, Madrid, coll. Thyssen-Bornemisza), ecc. (Fig. 4).

Fig. 4 Esempi di ductus sopracciglia Caravaggio

Le indagini diagnostiche hanno inoltre rivelato la significativa presenza di pentimenti intorno agli occhi e al colletto; che lo sfondo è stato ridipinto (la luce avrebbe dovuto avere un taglio più diagonale, come nel Ragazzo con canestra di frutta, ecc., e il clipeo non è pertinente al dipinto originale, così come il cartiglio) e che il ritratto è stato dipinto sopra una Madonna di stile darpinesco: tutto questo (Fig. 5) è coerente con episodi già visti in Caravaggio, e concorre a far concludere che il Ritratto di Bernardino Cesari conservato presso l’Accademia di San Luca a Roma sia autografo ma in parte rimaneggiato.

Fig. 5 Radiografia del Bernardino Cesari di Caravaggio

Altrettanto insolita è la storia del Busto di Virginio Cesarini (Fig. 6) di Gian Lorenzo Bernini conservato da sempre in Campidoglio.

Fig. 6 Gian Lorenzo Bernini e bottega, Memoria di Virginio Cesarini

Chierico, tra gli intellettuali più in vista della Roma barberiniana, pupillo di Roberto Bellarmino e membro dell’Accademia dei Lincei, Virginio Cesarini era fine poeta sia latino che volgare, amico di Galileo (che lo scelse come interlocutore ne Il Saggiatore) nonché del cardinale Maffeo Barberini il quale, appena eletto papa (il 6 agosto 1623), lo volle come proprio Maestro di Camera. Tanto brillante da far ritenere sarebbe presto stato creato cardinale, la morte prematura a soli 28 anni l’11 aprile 1624 per tubercolosi commosse tanto Urbano VIII che, già nel giugno successivo, dispose gli venisse dedicata una memoria nella Sala dei Capitani in Campidoglio.

Il busto che lo ritrae fu eseguito entro il 1626[20], visto che risulta già in loco nel 1627[21] tuttavia, nessuna fonte menziona mai l’autore.

Nel 1955 Antonia Nava Cellini si accorse della notevole qualità dell’opera, ma la attribuì a François Duquesnoy [22], finché nel 1989 Ann Sutherland Harris, propose il nome di Gian Lorenzo Bernini [23].

Non solo l’altissima qualità del ritratto – specialità di Gian Lorenzo – ma anche il contesto culturale nel quale il busto fu licenziato inducono a far ritenere ne sia lui il solo possibile autore: Bernini era l’artista prediletto di Urbano VIII, talmente geloso della sua opera da essere l’unico a poter concedere eccezioni all’esclusiva (come fece per Carlo I d’Inghilterra e Richelieu), è dunque logico supporre che la scelta di affidare la realizzazione del ritratto del diletto Virginio ricadesse su Bernini.

Fig. 7 Gian Lorenzo Bernini, Busto di Virginio Cesarini (part.)

L’impostazione del busto di Cesarini ricorda quella del Busto di Pedro de Foix Montoya (1624, Roma, Santa Maria in Monserrato): anche Virginio sembra infatti affacciarsi dal clipeo come il monsignore. L’impressione di presenza viva, la cura al dettaglio dei baffi, della mosca, delle ciocche dei capelli sono difficilmente attribuibili ad altri; straordinari gli occhi quasi a mandorla, vagamente felini; la pelle liscia e le belle labbra evocano l’eterna giovinezza nella quale il soggetto è per sempre sospeso (Fig. 7), in una bellezza ideale e idealizzante (simile a quella già vista nel Busto di Maria Barberini, 1622, Parigi, Musée du Louvre) ormai lontana dal malinconico Ritratto oggi all’Ermitage eseguito per Virginio da Antoon Van Dyck nel 1623, in cui l’effigiato[24] volle essere ritratto con l’abito gesuita, lo stesso col quale, consapevole della precarietà della propria salute, aveva già espresso volontà testamentaria di essere sepolto.

Un’unica volta il Busto di Virginio Cesarini è stato rimosso dalla nicchia romana per essere esposto in una mostra, a Firenze nel 2009: la visione ravvicinata ha permesso di cogliere dettagli altrimenti impossibili da vedere, e ha rafforzato in chi scrive la convinzione che il busto sia un autografo berniniano. Tuttavia la lucidatura esasperata e una certa ripetitività nel motivo della pelliccia (che tornerà soltanto un’altra volta, nel Busto di Bartolomeo Roscioli, 1627, Foligno, Museo Diocesano) hanno indotto alcuni studiosi, da ultimo Maria Grazia Bernardini autrice del recente Catalogo delle sculture per Allemandi a inserire l’opera tra quelle di incerta attribuzione ed alcuni altri a contemplare, pur accettando la paternità berniniana[25], un secondario ma importante intervento di bottega. Questo spiegherebbe l’assenza del busto nel catalogo baldinucciano e in quello di Domenico, figlio di Gian Lorenzo – sebbene Baldinucci segnali almeno altre “teste fino al num. di 15 – luoghi diversi” oltre ai ritratti elencati specificatamente[26] e il fatto che, probabilmente, sia stato lo stesso Gian Lorenzo a non voler far inserire Virginio Cesarini nel canone (com’è noto, la biografia pubblicata da Baldinucci nel 1682 fu redatta sulla base del canovaccio già scritto da Domenico Bernini dietro dettatura del padre, sebbene poi Domenico pubblicò la sua biografia soltanto nel 1713) perché ritenuto ormai forse troppo lontano dai suoi gusti[27]: torna così plausibile l’aiuto di Duquesnoy, documentato nella bottega di Bernini proprio a partire dal 1624[28].
In attesa di evidenze contrarie, l’unico nome che si può convincentemente accostare al busto di Virginio Cesarini resta comunque quello di Gian Lorenzo Bernini.

In conclusione, i ritratti di Bernardino Cesari e Virginio Cesarini hanno in comune, oltre alla originaria paternità di due dei più grandi geni del loro tempo, un’impressione di vitalità rara, la giovinezza eternata, una qualità indiscutibile e, infine, una storia in parte ancora da scrivere.

© Claudia RENZI, Roma, 7 gennaio 2024

NOTE

[1] ASR, Tribunale del Governatore, Miscellanea Artisti, fasc. 63, cfr. Herwarth Röttgen (a cura di), Il Cavalier d’Arpino, Roma, 1973, p. 177, n. 6
[2] Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642, pp. 147-48 (Vita di Bernardino Cesari).
[3] Colgo l’occasione per ringraziare il Prof. Fabrizio Carinci dell’amabile ospitalità.
[4] Ma in pectore già prima, ribadito infine in: M. Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005, pp. 373-4.
[5] Francesca CurtiSugli esordi di Caravaggio a Roma. La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario, in: Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Roma, 2011, pp. 65-76, argomenta come Caravaggio abbia lavorato nella bottega di Giuseppe Cesari tra la primavera del 1596 e la fine dello stesso anno.
[6] Orsetta Baroncelli, “Da servitore se gli era dichiarato nemico”: Caravaggio tra il Cavaliere d’Arpino e il priore Luciano Bianchi, in: «Roma moderna e contemporanea», XIX, n. 2, pp. 199-212; O. Baroncelli, Caravaggio e l’ospedale di Santa Maria della Consolazione, in: Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), op. cit., 2011, pp. 60-64.
[7] Adriana Marucchi, Luigi Salerno (a cura di), Giulio Mancini. Considerazioni sulla Pittura, 1617-21, Roma, 1956-57, 2 voll., II, p. 340, dal manoscritto in Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Manoscritti italiani IV, 47 [5571], cc. 59r-61v, in particolare c. 59v.
[8] Giampietro Zanotti, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi del conte Carlo Cesare Malvasia, con aggiunte, correzioni e note inedite del medesimo autore, Bologna, 1841, 2 voll., II, p. 9
[9] Loris Marzocchi, Carlo Cesare Malvasia. Scritti originali del conte Carlo Cesare Malvasia spettanti alla sua Felsina Pittrice, Bologna, 1982, p. 388. L’episodio, riferito a Malvasia da Guercino, è interessante perché da esso sembrerebbe che Giuseppe Cesari abbia fatto condurre Caravaggio all’Ospedale raccomandandolo alle cure dell’ospitaliere (o “priore” di cui parla Mancini), identificato con il messinese Luciano Bianchi (che rivestì la carica fino al 1608) con la promessa che, una volta guarito, Caravaggio gli avrebbe fatto un ritratto: quindi il pittore, impossibilitato in quell’occasione a pagare le cure, avrebbe compensato il priore con un dipinto, e il motivo che avrebbe portato alla rottura definitiva con Giuseppe andrebbe rintracciato nel fatto che, come riporta Malvasia negli Scritti, il ritratto del priore fu esposto in pubblico e venduto senza che ne venisse specificato l’autore: Giuseppe, vedendolo, avrebbe elogiato il dipinto e a quel punto Caravaggio ne avrebbe rivendicato la paternità. Alchè Giuseppe avrebbe cercato di minimizzare la precedente lode: “Essendo poi questo esposto per le Rogazioni, fu venduto: né conosciuto di chi fosse ne stupì l’istesso [Cesari] e lo lodò, fece subito sapere il Caravaggi esser lui, allora vollero il maestro e gli altri retrattarne la lode […] ma non ferono in tempo.” Da Mancini sappiamo inoltre che Caravaggio per il priore, oltre al ritratto, fece “molti quadri” e che questi “Se li portò in Sicilia sua patria.”.
[10] ASR, Tribunale del Governatore, Processi del sec. XVII, vol. 28 bis, cc. 363r-398r, c. 387r. Trascrizione completa del processo in Michele Di Sivo, Uomini valenti. Il processo di Giovanni Baglione contro Caravaggio, in: Michele Di Sivo, Orietta Verdi (a cura di), op. cit., 2011, pp. 90-108, p. 103.
[11] ASR, Notai capitolini, Notaio Leonardus Bonannus Uff. 2, vol. 92, 1624, cc. 355 e segg., cfr. Herwart Röttgen, Bernardino Cesari, in: Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 24, 1980.
[12] G. Baglione, op. cit., pp. 147-8.
[13] M. Minozzi, Gli Inventari della collezione Patrizi, in: Anna Maria Pedrocchi, Le statue del Tesoriere. La Quadreria Patrizi: cultura senese nella storia del collezionismo romano del Seicento, Milano, 1999, pp. 114-117, n. 25; pp. 383-473, in partic. pp. 389; 394; 397.
[14] Peter M. Lukehart, The Academia seminars: the Academia di San Luca in Rome, c. 1590-1635, New Heaven-London, 2009.
[15] G. Baglione, op. cit., p.148.
[16] Roma, Archivio dell’Accademia Nazionale di San Luca, vol. 146, n. 1, busta 69, f. 312a, cfr. H. Röttgen, Bernardino Cesari, in: op. cit., 1980.
[17] Giovanni Incisa Della Rocchetta, La collezione di ritratti dell’Accademia di San Luca, Roma, 1979, pp. 36-37, N. 80.
[18] Il Suonatore di liuto NY risulta essere una tela “riciclata”, come il Ritratto di Bernardino Cesari.
[19] Per l’identificazione del cd Prelato con Mons. Francesco Barberini senior rimando al mio https://www.aboutartonline.com/da-caravaggio-a-bernini-sarebbe-di-mons-francesco-barberini-senior-il-noto-ritratto-di-prelato-di-coll-corsini/ su «About Art online» del 30.07.2023.
[20] Andrea Bacchi, Tomaso Montanari, Ritratto di Virginio Cesarini (scheda), in: Andrea Bacchi, Tomaso Montanari, Beatrice Paolozzi Strozzi, Dimitros Zikos (a cura di): I marmi vivi. Bernini e la nascita del ritratto Barocco, Firenze, 2009, pp. 268-273, p. 268.
[21] Rossella Magrì, Inventarj di Statue et altri Mobili de’ Palazzi de’ Conservatori, in: Maria Elisa Tittoni Monti, Il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo in Campidoglio: momenti di storia urbana di Roma, Pisa, 1996, pp. 87-97, p. 87.
[22] Antonia Nava Cellini, Aggiunte alla ritrattistica berniniana e dell’Algardi, in: «Paragone», n. 6, 1955, pp. 23-31.
[23] Ann Sutherland Harris, Bernini and Virginio Cesarini, in: «The Burlington Magazine», n. 131, 1989, pp. 17-23.
[24] Identificato quale Virginio Cesarini da David Freedberg, Van Dyck and Virginio Cesarini: A contribution to the study of Van Dyck’s Roman Sojourns, in: Susan J. Barnes, Arthur K. Wheelock jr. (a cura di), Van Dyck 350, Hanover, 1994, pp. 152-74.
[25] Cfr. Maria Grazia Bernardini, Bernini. Catalogo dlle sculture, Allemandi editore, Torino 2023. Tomaso Montanari, Gian Lorenzo Bernini e Sforza Pallavicino, in: «Prospettiva», nn. 87-88, 1997, pp. 42-68, p. 43; T. Montanari, Percorsi per cinquant’anni di studi berniniani, in: «Studiolo», n. 3, 2005, pp. 269-298, p. 278-9; Alessandro Gian Lorenzo Bernini e i Chigi tra Roma e Siena, Siena, 1998, p. 64; Andrea Bacchi, Catherine Hess, Creating a New Likeness. Bernini’s transformation of the portrait Bust, in: Andrea Bacchi, Catherine Hess, Jennifer Montagu (a cura di), Bernini and the Birth of Baroque Portrait Sculpture, LA-Ottawa, 2008, pp. 1-43, pp. 16-17; A. Bacchi, T. Montanari, op. cit., 2009, p. 270.
[26] Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682, p. 105.
[27] A. Bacchi, T. Montanari, op. cit., 2009, p. 273.
[28] Come ha dimostrato Loredana Lorizzo, Bernini’s ‘apparato effimero’ for the canonization of st. Elizabeth of Portugal in 1625, in: «The Burlington Magazine», n. 145, 2003, pp. 354-360, p. 356.

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