Caravaggio e il ritratto femminile: Fillide Melandroni. Una storia di modelle e di riconoscimenti.

di Claudia RENZI

Fillide Melandroni fu battezzata a Siena l’8 gennaio 1581 e si trasferì a Roma attorno al 1593, dandosi ben presto alla vita di strada finendo più volte nei guai per risse, aggressioni e altri reati, spesso anche in correità o relazione con Ranuccio Tomassoni, suo protettore e suo amante, l’uomo che Caravaggio avrebbe accidentalmente ucciso il 28 maggio 1606: forse tra i motivi di ruggine fra i due c’è da considerare, anche, la frequentazione con Fillide?

Nel 1604 avvenne l’incontro tra Fillide e il librettista e poeta veneziano Giulio Strozzi che, forse, avrebbe potuto farle cambiare davvero vita, se la famiglia di lui non li avesse ostacolati; di fatto dal 1604 il nome di Fillide scompare dai verbali giudiziari.

In data 9 ottobre 1614, pur ancora giovane, Fillide redige un testamento [1] nel quale è menzionato il ritratto che lei detiene per conto del suo Giulio al quale, in caso di sua morte, si doveva restituire:

«et declaravit se habere in eius domo unum quadrum sui retractus manu Michaelis Angeli de Caravagio quod spectat et pertinet ad Ill.mo D. Iulium Strozzium propterea voluit et mandavit illud eidem Ill.ri D. Iulio restitui et consignari».

La frase “Unum quadrum sui retractus” (un quadro di un suo ritratto) è stata erroneamente più volte interpretata come “unum quadrum seu retractum” (un quadro ossia un ritratto) inducendo a ipotizzare che Fillide stesse menzionando genericamente il ritratto di qualcun altro: è possibile che la giovane avesse un ritratto del suo Giulio [2] ma quel “di mano di Caravaggio” porta ad accogliere piuttosto che quello che Fillide deteneva, eseguito dal vecchio amico, fosse un ritratto effigiante nessun altro che lei stessa [3].

Fillide morì ai primi di luglio 1618, trentasettenne, e fu sepolta in San Lorenzo in Lucina, parrocchia che era usa frequentare negli ultimi tempi essendo residente in via “dei Borgognoni”. Nell’inventario dei suoi beni [4] il ritratto non è menzionato specificamente: probabilmente lo aveva già fatto consegnare a Strozzi.

Il 9 febbraio 1638 il Ritratto di Fillide è citato nell’inventario (ASR) del marchese Vincenzo Giustiniani (che nel 1621 aveva ereditato anche la collezione del fratello cardinale Benedetto, che possedeva alcuni dipinti di Caravaggio ma non questo):

 “Nella Stanza Grande de Quadri Antichi […] 12. Un altro quadro con un ritratto di una Cortigiana chiamata Fillide in tela da testa con sua cornice negra di mano di Michelang.o da Caravaggio[5].

Sia Sua Eminenza Benedetto che il fratello Vincenzo conoscevano Caravaggio: il primo per aver posato per lui per un ritratto attualmente disperso; l’altro per esserne divenuto il più grande collezionista, dunque l’Inventario Giustiniani del 1638 è affidabile sia per l’attribuzione al pittore che per l’identificazione della modella; è anzi significativo che, sebbene nulla nel perduto ritratto di Berlino, come si vedrà, qualifichi Fillide come cortigiana, nel suddetto Inventario Giustiniani, a scanso di equivoci identificativi, accanto al nome ci si è premurati di indicarne la vecchia professione.

Non è chiaro come il dipinto sia finito nella collezione Giustiniani, ma dato che Strozzi tornò a Venezia tra il 1618 e il 1619 è probabile che, prima di lasciare Roma, lo abbia messo in vendita e il marchese Vincenzo lo abbia acquistato.

Giovanni Michele Silos accenna al dipinto, da lui visto in collezione Giustiniani, nella sua Pinacotheca [6] (epigramma CLXVI) mentre un madrigale anonimo (secondo alcuni di Marzio Milesi [7], secondo altri di Giulio Strozzi stesso [8]) ribadisce l’identità di modella e autore:

«D’incerto sopra il ritratto di una Filide, fatto da Michel Angelo Caravaggio. Sol un Angel potea ritrar Filide bella, il tuo bel viso, poi ch’un Angel sei tu di Paradiso. E sol chi fu nel Cielo, e sugli etterni giri, formar può in terra il suo leggiadro velo. Dunque a raggion s’ammiri, in breve tella un paradiso accolto, egli Angelo di nome, e tu di volto

In un successivo Inventario dei beni Giustiniani del 1793, parte I°, N.° 318, si legge:

Un altro di palmi 2½-3 per alto rappresentante un Ritratto d’una donna di Maniche di Camicia con un Fiore in Petto, di Michelangelo di Caravaggio, con Cornice come sopra”:

la menzione del fiore unita a quella dell’autore fa comprendere come si tratti del ritratto in esame nonostante sia omesso il nome dell’effigiata.

In occasione della grande vendita della collezione Giustiniani (Parigi 1812) il dipinto è invece indicato di nuovo col nome, “Fillide”. Il dipinto pervenne al Kaiser Friedrich Museum e, spostato per sicurezza durante la guerra presso il Flakturm a Friedrichshain, andò perduto nel 1945 in un incendio così come moltissime altre opere, tra le quali anche altre due di Caravaggio appartenute a Vincenzo Giustiniani (la prima versione del San Matteo e l’angelo e Cristo nel Getsemani), sebbene ancora non si disperi del tutto nel suo ritrovamento, prima o poi.

La datazione del Ritratto di Fillide già Berlino è collocata dai più attorno al 1600, ma non unanimemente: nel 1600 Fillide aveva 19 anni e l’effigiata sembra più grande. Nonostante vada tenuto conto che all’epoca la vita non dovesse essere facile nemmeno per una ormai benestante cortigiana, è più probabile che sia stato realizzato dopo l’incontro della giovane con Strozzi, quindi attorno al 1604.

E’ anche possibile, dato che le fonti non menzionano nessun committente, che sia stata Fillide stessa, ex modella e amica di Caravaggio – che a tale epoca aveva conosciuto e iniziato a impiegare come modella la bella mora che compare nei dipinti Madonna di Loreto e Madonna del serpe – ad avergli chiesto nel 1604 (quindi 23 enne) di confezionare un ritratto da regalare al suo innamorato: il dipinto sembra poter infatti rientrare, come si vedrà, in una particolare tipologia.

Caravaggio, Ritratto di Fillide Melandroni (1604, già Kaiser Friedrich Museum, Berlino);

Del Ritratto di Fillide l’unica foto a colori nota la dobbiamo a Maurizio Marini che la individuò nel 1982 riprodotta in un manuale storico-artistico risalente al 1924.

L’effigiata è una giovane avvenente mora, ritratta frontalmente, il capo leggermente volto a sx così come lo sguardo dei grandi occhi scuri. Sfoggia un’elaborata acconciatura che rimanda a certi esempi di ritrattistica romana (cfr. Donna flavia, Musei Capitolini) e orecchini consistenti in grappoli di perle a goccia. Il busto è fasciato da un elaborato corpetto dal quale fuoriesce la candida camicia bianca: attorno alla scollatura, quasi mimetizzato, un velo color ocra, simile al giallo che le cortigiane dovevano indossare per essere distinte dalle donne oneste, sebbene tonalità dorate venissero usate anche per gli abiti da sposa (cfr La velata di Raffaello, ecc.). Con la mano dx, l’unica che vediamo, si porta all’altezza del cuore un mazzolino di fiori bianchi e, nel gesto, sul braccio le scivola un bel braccialetto composto da pietre scure.

I fiori: secondo alcuni si tratterebbe di gelsomino [9], simbolo di grazia e affabilità; secondo altri d’arancio [10], simbolo d’amore puro; per altri ancora di mirto [11], simbolo matrimoniale e fiore sacro a Venere: in ogni caso il mazzolino sembra alludere a un legame di tipo sentimentale tra l’effigiata e il destinatario del dipinto.

L’effigiata posa in quella che nel Cinquecento era la posizione assunta nei cosiddetti ritratti di “fidanzate o “Flore” veneziane, soggetti equivocati spesso come cortigiane poiché accomunate dalla presenza di fiori, capelli sciolti e/o dal mostrare un seno (es.: Flora, Palma il Vecchio, National Gallery Londra; Flora, Bartolomeo Veneto, Städelschen Kunst Institute Francoforte – noto anche come presunto ritratto di Lucrezia Borgia; Flora, Tiziano, Firenze, Uffizi, ecc.): questa tipologia di dipinti allude a future nozze – Longhi interpretò il Ritratto di Fillide come “sposa romana[12]; Calvesi lo accostò alla “Sposa” del Cantico dei cantici [13] – e in genere il promesso sposo non compare poiché va immaginato davanti al dipinto, a rimirarlo.

Osservando il braccialetto di Fillide si può approfondire la questione: alcune “Flore” mostrano legacci d’amore al polso sx (cfr Palma il Vecchio) e all’anulare della mano dx – che regge i fiori – l’anello della promessa nuziale e/o dirigono indice e medio verso il ventre in allusione al taglio del cinto virginale; nulla di tutto ciò, per ovvi motivi, poteva comparire nel ritratto di Fillide, eppure la modella sfoggia un braccialetto al polso dx (la mano sx non si vede).

Considerando che la giovane ha scelto di posare indossando quel particolare monile, si può tentare di indovinare quale messaggio esso dovesse trasmettere cercando di individuare la pietra e il suo significato: potrebbe trattarsi di onice nero, ematite o giada nera. L’onice nero era raro e costoso, in genere striato. Era detto anche “pietra della maturità” e si credeva favorisse l’autocontrollo: se il quadro era destinato a Strozzi, per il quale Fillide aveva cambiato vita, ha senso. Essendo una pietra costosa Fillide poteva permettersela di suo, ma potrebbe anche essere stato un regalo dello Strozzi stesso che lei poi ha voluto fosse raffigurato nel dipinto. L’ematite invece non era particolarmente costosa, ma era impiegata come amuleto per tenere lontane energie negative: anche questo avrebbe un senso, dato che i due innamorati furono fortemente osteggiati dalla famiglia di lui. Stesso discorso per la giada nera.

Il Ritratto di Fillide sembra insomma essere stato concepito, con le debite differenze, come ritratto da “fidanzata” per diletto del “fidanzato” Giulio Strozzi pur tenendolo lei per conto di lui, essendo malvista dalla famiglia di quest’ultimo, costituendone una variante fuori dall’ordinario così come fuori dall’ordinario erano l’effigiata e il pittore.

Verrocchio, Dama col mazzolino (1475, Firenze, Museo Nazionale del Bargello)

Un ulteriore precedente è a mio avviso da ricercarsi tuttavia anche nella Dama col mazzolino di Verrocchio (Firenze, Museo Nazionale del Bargello); tenendo presente anche la Ginevra Benci di Leonardo (Washington, National Gallery) che presenta non poche analogie con la statua del maestro (la ricostruzione della Ginevra con l’inserto dello Studio di braccia e mani di Leonardo, Windsor RL  12558 rimanda fortemente alla Dama col mazzolino, da alcuni identificata con la Benci medesima): anche qui una giovane fa il gesto di portarsi al petto, all’altezza del cuore, un mazzolino appunto di fiori.

A giudicare dalle opere pervenute Caravaggio impiegò Fillide Melandroni come modella almeno cinque volte.

Nella Santa Caterina d’Alessandria (1597, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza) la bella giovane dai capelli color miele presenta un particolare difetto all’anulare della mano sinistra, tanto particolare che il pittore l’ha riportato senza nessun tentativo di nasconderlo, anzi, ed è avvolta da un raffinato corpetto nero con ricami in oro; i lunghi capelli sono sciolti.

Caravaggio, Santa Caterina d’Alessandria, Madrid, Museo Nacional Museo Thyssen-Bornemisza

Poco dopo la stessa posa in SS. Marta e Maddalena (1597, Detroit, Detroit Institute of Arts) sicuramente nei panni Maria di Betania (all’epoca di Caravaggio fusa e confusa con Maria di Magdala): si nota subito che presenta lo stesso difetto all’anulare sinistro visibile nella Santa Caterina – quindi è indubitabilmente la stessa donna – e corsetto estremamente simile a quello, ancora di colore scuro con ricami dorati. Tiene in mano un fiore d’arancio [14] e porta all’anulare sx un cerchietto d’oro che la qualifica, secondo alcune letture, come “sposa”: la mano che regge il fiore è, come nel Ritratto di Fillide, la destra.

Caravaggio, Marta e Maddalena (1597, Detroit, Detroit Institute of Arts)

Nel Giuditta e Oloferne (1599, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica) la modella indossa orecchini consistenti in una perla a goccia sormontata da fiocchetto nero molto simili a quelli che compaiono nella Maddalena piangente (1595, Galleria Doria Pamphili) la cui modella si ritiene sia l’amica e collega di Fillide, Anna Bianchini, detta anche la Rossa. Nell’Inventario di Fillide figurano “Due pendenti d’oro con due perle” che potrebbero essere gli orecchini visibili nella Giuditta, dato che nel ritratto già Berlino le perle sono, come si è detto, di più mentre il fiocco nero in cima, se c’è, non è visibile coperto com’è dai capelli. Si rileva che la bocca di Giuditta è identica alla bocca di Fillide nel suo Ritratto.

Caravaggio Giuditta e Oloferne 1602 ca., Roma, Palazzo Barberini.

Nella Morte della Vergine (1601, Parigi, Musée du Louvre) la figura di Maddalena accovacciata piangente in basso a dx presenta elementi che fanno pensare sia ancora Fillide nonostante il volto non si veda, e dunque non ci sia una prova incontestabile di tale identità, così come per la giovane che posa per Marta in SS. Marta e Maddalena essendo il suo volto quasi del tutto in ombra e quindi poco caratterizzato perché l’attenzione doveva essere tutta veicolata sulla reazione/conversione di Maria: per Marta qualcuno ha proposto il nome di Anna Bianchini, ma se Anna è la modella che impersona la Maddalena Pamphili (1595) e la Madonna nel Riposo durante la fuga in Egitto (1595), è evidente come non sia la Marta nel SS. Marta e Maddalena.

Caravaggio Morte della Vergine 1605-1606 ca., Museo del Louvre, Parigi.

Infine nella Deposizione (1602-3, Pinacoteca Vaticana) la stessa modella torna due volte: nella dolente Maddalena, che sembra presa di peso dalla Morte della Vergine e della quale stavolta vediamo una porzione maggiore di volto, e soprattutto nella Maria di Cleofa che alza teatralmente le braccia, della quale si intravedono appena i lunghi capelli sciolti. In questo caso Fillide avrebbe posato per due personaggi nello stesso dipinto il che non è affatto una novità per Caravaggio: nella Morte della Vergine, ad esempio, il barbuto calvo posa ben tre volte (stante a sx con manto ocra e abito verde, al centro con manto ocra, piangente con il solo abito verde) mentre il ragazzo piangente sulla sx torna in piedi sulla dx senza manco aver cambiato troppo i panni.

Caravaggio Deposizione 1602-1604 ca., Musei Vaticani, Pinacoteca, Città del Vaticano.

In pratica è plausibile che Caravaggio nella Deposizione abbia fatto posare la stessa modella due volte: come Maddalena e come Maria di Cleofa. La “Maria Maddalena” nel SS. Marta e Maddalena ha una pettinatura molto simile a quella della piangente nella Deposizione (della quale purtroppo non è visibile la mano sx, quella con il particolare difetto all’anulare) mentre il viso è lo stesso della Maria di Cleofa.

La “Maria Maddalena” in SS. Marta e Maddalena, la santa in Santa Caterina e la Maria di Cleofa nella Deposizione sono la stessa donna: non soltanto per il particolare del dito (Santa Caterina e SS. Marta e Maddalena) ma anche per un altro dettaglio finora non menzionato, ovvero la particolare inclinazione della rima ciliare inferiore sinistra: in tutti i dipinti la tale modella presenta questa caratteristica fisica peculiare la cui puntuale registrazione da parte del pittore, quindi, non può essere casuale.

Nel Ritratto di Fillide la particolare inclinazione della rima ciliare inferiore sinistra compare? Sì: anche nel Ritratto, che è cronologicamente l’ultimo che se ne sappia nel quale Fillide posa per l’amico, l’occhio sinistro è più evidente del destro, nonostante sia ombreggiato ad hoc per minimizzare il dettaglio (trucco da ritrattista).

Si possono aggiungere altre due ipotesi: nel Susanna e i vecchioni (1601, coll. priv.), proposto da Federico Zeri e Maurizio Marini come autografo e respinto da buona parte della critica, compare una modella molto somigliante a Giuditta, ecc.: se l’originale caravaggesco è esistito (o esiste ancora sotto il dipinto noto, in tal caso rimaneggiatissimo) a quel tempo Fillide era ancora sua modella, dunque potrebbe aver posato anche in quell’occasione.

La figura femminile che compare (due volte: sulla sx in secondo piano; sulla dx in primo piano accasciata) nella radiografia della prima versione del Martirio di San Matteo (1599-1600, Roma, San Luigi dei Francesi) pure ricorda vagamente Fillide, che all’epoca era ancora sua modella: in quest’ultimo caso l’immagine però è davvero troppo poco leggibile per stabilire somiglianze risolutive.

Infine, proporrei piuttosto di approfondire una certa qual somiglianza della cortigiana “adulta” con la ragazzina che posa nella Buona ventura (1594-5), in particolare la versione della Pinacoteca Capitolina di Roma, convenendo che la zingarella della versione del Louvre (1596-7) è sempre la stessa persona: se quella è l’adolescente Fillide, siamo agli albori dell’amicizia con Michelangelo e non è ancora divenuta cortigiana d’altro bordo, infatti i suoi capelli sono ancora scuri.

Caravaggio,  Buona Ventura, 1597, olio su tela, cm 115 x 150, Roma, Musei Capitolini, inv. PC 131

Nonostante i riscontri visivi e documentari per il Ritratto di cortigiana non sono mancate altre candidate: nel 1923 Voss [15] propose il nome di Caterina Campani, moglie di Onorio Longhi, datando il dipinto al 1590 e sostenendo che Caterina Campani Longhi avesse posato anche per la Santa Caterina – in tal caso nei panni della santa omonima –, SS. Marta e Maddalena e Giuditta. Hinks [16] concordò con Voss ritenendo la modella Caterina Campani; Friëdlaender [17] si associò all’ipotesi Campani, accostandovi il Giuditta e Oloferne ma anche la Maddalena piangente Pamphili (per il quale posa evidentemente una donna diversa) così come Frommel [18]. Wagner e Jullian sposarono pure l’ipotesi Campani dissentendo soltanto sulla datazione[19].

L’equivoco Campani è sorto perché alcune fonti riportano che Caravaggio fece un ritratto a Caterina e a suo marito Onorio, suo grande amico, tuttavia nel 1656 Martino Longhi, figlio dei due, risulta possedere i ritratti dei genitori di mano di Caravaggio: dunque il ritratto di Caterina Campani non può essere quello appeso nella Galleria Giustiniani e poi citato nell’Inventario del 1638, ovvero non è il Ritratto in esame. Allo stato attuale degli studi i ritratti di Caterina Campani e Onorio Longhi sono dispersi.

Altre candidature subito abbandonate sono state quelle di Faustina Juvarra [20], vedova del pittore Lorenzo Carli, e Geronima Giustiniani sorella di Benedetto e Vincenzo [21]: difficile credere però che il fratello Vincenzo abbia potuto sbagliare l’identificazione del soggetto nel suo stesso inventario! Decisamente improbabile, comunque, l’ipotesi che in tutti i dipinti suddetti non posi Fillide o un’altra donna in carne e ossa bensì si tratti di un ideale elaborato dalla fantasia del pittore[22].

Da escludere dal novero delle somiglianze con Fillide la ragazza che posa come Madonna nella Natività con i SS. Lorenzo e Francesco (1608, già Palermo): se il dipinto, come è stato pure proposto [23], fosse stato dipinto a Roma nell’anno 1600 resterebbe da spiegare allora come possano trovarvisi modelli che compaiono in dipinti invece certamente eseguiti nel 1608-9 in Sicilia e a Malta. Comunque la modella impersonante la Madonna nella Natività già Palermo sembra essere piuttosto la stessa ragazza che posa come Maria di Betania nella Resurrezione di Lazzaro (1609, Messina, Museo Regionale): si può obiettare una vaga somiglianza con la modella “bionda” dei quadri romani per analogie che tuttavia si fermano all’acconciatura e all’impressione generale dato che il viso della modella “siciliana” ha una forma diversa soprattutto nella parte inferiore. Dunque, se non si vuole anticipare anche la Resurrezione di Lazzaro al 1600 a Roma ecco che la modella “siciliana” non è Fillide.

Nel Ritratto già Berlino si nota che il colore dei capelli è diverso rispetto alle suddette, precedenti tele romane (escluse le Buona ventura): vediamo perché.

Sì rileva che S. Caterina, SS. Marta e Maddalena, Giuditta, Morte della Vergine e Deposizione sono dipinti precedenti al Ritratto (1604), ovvero sono precedenti all’incontro di Fillide con Giulio Strozzi e al conseguente cambio di vita della giovane che evidentemente, al momento di posare per esso, era ormai in quella fase della sua vita nella quale si era lasciata alle spalle la carriera di cortigiana: i capelli sono tornati quindi al colore naturale; nei suddetti dipinti sopracciglia, ciglia e radice dei capelli sono scuri, quindi va ipotizzato che il biondo miele lì sfoggiato sulle ciocche fosse una tinta, uno schiarimento, pratica compatibile con la vita di cortigiana (anche Imperia, la modella di Raffaello, si tingeva i capelli di biondo).

Da escludere, per gli stessi motivi, che l’elaborata pettinatura visibile nel Ritratto sia una parrucca, si tratta piuttosto di una pettinatura registrata in diversi ritratti dell’epoca tanto che al perduto Ritratto già Berlino si sono accostati alcuni disegni di Ottavio Leoni, fermo restando che il disegno di Leoni in coll. privata Firenze proposto da Maurizio Marini non ha nulla in comune con Fillide a parte appunto la pettinatura; men che meno il pastello ancora di Leoni conservato all’Albertina di Vienna (classificato infatti come generico “Ritratto femminile”) pure proposto come ulteriore ritratto della Melandroni. Com’è noto, Ottavio Leoni era un egregio ritrattista – Giovanni Baglione lo definisce a ragione “efficientissimo” e sottolinea:

Et hora li disegni stanno in potere del Signor Principe Borghese, li quali per la maggior parte sono di lapis nero in carta turchina con molta gratia tocchi di gesto, e similissimi […] tanto sono naturali, e vivi sì che in quel genere meglio non si può fare.”
Ottavio Leoni, Ritratto di giovane (Fillide Melandroni?), Coll. Giuliano Briganti.

per cui mi sono domandata se non ci fossero altri suoi ritratti femminili seriamente accostabili a Fillide e ho trovato questo Ritratto di giovane donna (Coll. Giuliano Briganti, al verso una scritta a inchiostro illeggibile) i cui riccioli rialzati sulla fronte richiamano una moda che Leoni registra nei suoi ritratti non prima del 1605: i due ritratti sono quasi sovrapponibili, con differenze davvero minime.

Il perduto ritratto già Berlino è, in conclusione, il Ritratto di Fillide Melandroni e costituisce allo stato attuale degli studi l’unico ritratto autonomo di donna noto di Caravaggio.

©Claudia Renzi, Roma 6 Agosto 2023

BIBLIOGRAFIA

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[2] Sybille Ebert-Schifferer, Caravaggio e la cortigiana: aspetti sociologici e problemi artistici, in: «Bulletin de l’Association des Historiens de l’Art Italien», nn. 15-16, 2010, pp. 59-74.
[3] Rossella Vodret, «…unum quadrum sui retractus manu Michaelis Angeli de Caravagio», è di Fillide Melandroni. Una nuova lettura del testamento, su www.aboutartonline.com, 20 febbraio 2022.
[4] Sandro Corradini, Caravaggio – Materiali per un processo, Roma, 1993
[5] Per tutti gli Inventari Giustiniani si veda Silvia Danesi Squarzina, Caravaggio e i Giustiniani, Milano, 2001.
[6] Giovanni Michele Silos, Pinacotheca sive Romana pictura et sculptura. Libri duo [1673], Treviso, 1979, I, p. 92.
[7] Giorgio Fulco, “Ammirate l’altissimo pittore”: Caravaggio nelle rime inedite di Marzio Milesi, in: «Ricerche di Storia dell’Arte», n. 10, 1980, pp. 65-89, p. 80; p. 83 n. 42.
[8] Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005, p. 451.
[9] Maurizio Marini, Michelangelo da Caravaggio, Roma 1973 [1974] e 2005, op. cit.; S. danesi Squarzina 2001, op. cit.; Elena Tamburini, Ancora su Fillide Melandroni, un ‘caso’ fra arti e antropologia, su www.aboutartonline.com, 1 maggio 2022.
[10] Gabriel Rouchès, Le Caravage, Parigi, 1920.
[11] Hermann Voss, «Caravaggios Fruhzeit. Beitràge zur Kritik seiner Werke und seiner Entwicklung», in: «Jahrbuch der preussischen Kunstsammlungen», XLIV, 1923, pp. 73-98.
[12] Roberto Longhi, Il Caravaggio, Milano, 1952 [1968].
[13] Maurizio Calvesi, Caravaggio, Firenze, 1986 (Art Dossier).
[14] Frederick Cummings, Detroit’s Conversion of the Magdalen, in: «The Burlington Magazine», n. 859, ottobre 1974, pp. 563-4; 572-8.
[15] Hermann Voss, op. cit., 1923, p. 81.
[16] Roger Hinks, Michelangelo Merisi da Caravaggio. His life, his legend, his work, Londra, 1953.
[17] Walter Friedläender, Caravaggio Studies, Princeton, 1955.
[18] Christoph Luitpold Frommel, Caravaggio’s Frühwerk und der Kardinal Francesco Maria Del Monte, in: «Storia dell’Arte», III, nn. 9-10, gennaio-giugno 1971, pp. 5-52
[19] Hugo Wagner, Michelangelo da Caravaggio, Berna, 1958; Renè Jullian, Caravage, Lione-Parigi, 1961.
[20] Antonella Pampalone, Santa Caterina d’Alessandria (scheda), in: Michele Di Sivo, Orietta verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, Roma, 2011, pp. 188-192, p. 191.
[21] Helen Langdon, Caravaggio: una vita, Palermo, 2001, pp. 148-9; Rosanna Barbiellini Amidei, Della committenza Massimo, in: Caravaggio. Nuove Riflessioni, Quaderni di Palazzo Venezia, Roma, 1989, pp. 47-69.
[22] S. Ebert-Schifferer, op. cit., pp. 59-74.
[23] Per un riepilogo della teoria a partire da Enrico Mauceri, Il Caravaggio in Sicilia e Alonso Rodriguez pittore messinese, in: «Bollettino d’Arte» XVIII, 1924-5, pp. 559-571, si veda da ultimo Michele Cuppone, La Natività di Palermo: prima pala d’altare per Caravaggio?, in: «Valori tattili», n. 9, 2017, pp. 61-83