Bansky “un figlio della provocazione” ; i riverberi del concettuale dopo Duchamp e Manzoni

di Giorgia TERRINONI

Nell’estate del 1961 Piero Manzoni presenta per la prima volta al pubblico la sua Merda d’artista. Si tratta di 90 scatolette – rigorosamente firmate e numerate – contenenti 30 grammi di merda d’artista “conservata al naturale, prodotta e inscatolata nel maggio 1961”. Il prezzo fissato da Manzoni per ciascuna scatoletta corrisponde al valore corrente dell’oro.

Piero Manzoni, Merda d’Artista, 1961

La Merda d’artista vanta diversi precedenti – sorta di variazioni sul tema – tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, da Ubu Roi di Alfred Jarry, passando per le suggestioni psicanalitiche di Jung, fino ad arrivare a Fountain (1917) di Duchamp e alla coprolalia proto e para surrealista.

Nonostante tali illustri precedenti, la Merda d’artista di Manzoni annovera non poche e niente affatto banali novità. Novità che hanno a che fare con annose riflessioni sul ruolo dell’artista – a cavallo tra sacra creazione, generosità e ironia – sul valore autoreferenziale e, tutto sommato anche concettuale dell’opera d’arte. E su quell’immenso apparato digerente che è il mercato dell’arte.

Manzoni muore giovanissimo ma, in poco tempo, apprende, trasforma e proietta infinite possibilità per l’arte contemporanea. Tali possibilità confluiscono nell’impalpabile regno del concettuale – troppo spesso frainteso come pedanteria pura o, al contrario, ottusamente osannato. Le lunghe esequie dell’arte concettuale si trascinano dietro una triste – e un poco abusiva – eredità, quella di certi falliti ideali politici. Dopo di ciò una assai rumorosa e volgare era postmoderna. Poi, il Nulla.

Lo scorso ottobre – nel pieno del Nulla – durante un’importante asta londinese di Sotheby’s, una celebre opera di Banksy è stata battuta per oltre 1 milione di sterline. L’opera – all’inizio era uno stencil su un pezzo di muro, poi la fama l’ha resa inevitabilmente una tela – s’intitola Girl with balloon e rappresentata una ragazzina di profilo che, enigmaticamente, guarda allontanarsi un palloncino rosso a forma di cuore. Il suo piccolo braccio teso ha appena lasciato andare il palloncino o si protende vanamente ad afferrarlo? Non c’è bisogno di scrivere altro che suggerisca perché quest’immagine ha assunto un carattere emblematico!

Immediatamente dopo essere stata battuta, la tela è scivolata via dalla cornice ed è riemersa al di sotto di essa solo dopo essere stata ridotta in tante piccole strisce da un tritadocumenti nascosto al suo interno ed azionato in sala non si sa da chi. La casa d’aste se l’è cavata piuttosto bene di fronte a quest’azione inaspettata. Complice l’anonima acquirente, Girl with balloon si è trasformata in tempo reale in un’altra opera: Love is in the bin. Dunque, un’opera site-specific, con caratteristiche e valore – anche monetario – del tutto nuovi. È improbabile che Banksy non l’avesse previsto.

Non è la prima volta che mi occupo di Banksy. Ne ho scritto, per vie traverse, ma a più riprese. Ho tentato di tracciarne brevemente un profilo artistico lo scorso anno, dopo l’ennesimo tormentone relativo alla presunta scoperta della sua identità. Nel mio articolo insistevo sul fatto che Banksy è un artista. Al diavolo, il nostro bisogno di dargli un volto riconoscibile! Non è abbastanza autorappresentativa l’immagine che egli veicola di se stesso, ovvero quella di un uomo che nasconde la testa in un sacchetto di carta?

BANKSY, SIREN OF THE LAMB

Mi sembrava più interessante svincolare l’immagine di Banksy dal gossip artistico e dalla mera riproduzione su T-shirt dei suoi pezzi di muro. Raccontare che quel ragazzaccio di Bristol ha fatto molte cose, già a partire dagli anni Ottanta. E che continua a farne. Qui non ho voglia di rispolverare i contenuti di un articolo che ho già scritto. Se avete voglia di leggerlo, potete cercarlo in archivio( cfr https://www.aboutartonline.com/2017/07/23/bansky-bansky-resiste-mistero-del-genio-della-bomboletta/.) Mi piacerebbe, invece, riallacciare Banksy a quelle infinite possibilità aperte anche dalla Merda d’artista di Manzoni e di ancorarlo al presente, a tal punto da consentirmi di suggerirvi un pensiero: è possibile che, pur non avendo proprio sconfitto il Nulla, Banksy lo abbia reso meno incombente?

Ho iniziato elencando molto velocemente alcuni verosimili precedenti per la Merda d’artista. Il fatto che Manzoni avesse alle spalle una serie di possenti pilastri, tra i quali Duchamp, non sminuisce né inficia il valore della sua operazione. Un’operazione che parla, irridendole – ma non s’irridono, forse, quasi sempre le cose serie? – dell’arte, dell’artista, del tempo presente come parte di tutti i tempi. L’aura dell’arte, l’autorappresentazione e il mercato sono elementi che non si sono certi esauriti con la sparizione del ‘mecenatismo’ a opera di Reali e pontefici, con la Rivoluzione industriale, né tantomeno con i rovelli di Walter Benjamin. Peggy Guggenheim aveva un occhio pazzesco per l’arte del proprio tempo, ma non è un mistero che più di qualche artista, sebbene talentuoso, sia dovuto passare tra le lenzuola della gallerista più racchia della storia per ottenere almeno un contratto e una mostra.

Manzoni, inoltre, agisce in un tempo-intercapedine: l’aura dell’arte ha da poco e, per un periodo brevissimo, rifatto capolino. Il più acuto disincanto invece è alle porte. Egli parla anche di queste cose e lo fa con una buona dose di provocazione. La provocazione passa –anche se qualche volto disgustato davanti alla Merda d’artista e al suo valore economico capita ancora di vederlo– le cose che Manzoni ha da dire, però, restano. Entrano e si trasformano, reinventate, nel corpo multiforme dell’arte concettuale, incluso l’estenuante attivismo della Land Art. Passiamo oltre quel bisogno un po’ bulimico d’immagini che caratterizza gli anni Ottanta e una parte dei Novanta. Perché? Perché, nonostante le analogie cromatiche e la prossimità temporale con questi ultimi, Banksy è figlio della provocazione graffiante e del dissenso ironico tipici degli anni Settanta.

Per circa un decennio Banksy ha tappezzato i muri delle città di buona parte del mondo con slogan cristallini, ironici, rivoluzionari e pacifisti. I suoi stencil hanno incorporato tutte le leggi non scritte della strada e hanno fatto propri i caratteri stilistici della bruta street art: la velocità di esecuzione, la scelta di siti spesso non facilissimi da raggiungere, la minaccia di rimozione, non solo ad opera di quanti si occupano di ripulire le strade, ma anche di quegli affaristi dell’arte che prelevano brandelli di muro per far quattrini. A ciò si aggiunga la non secondaria attività di guerilla urbana tipica dei writers, fatta a suon di bomboletta e caratterizzata dalla sovrapposizione di segni. Se questo non è un discorso sull’autorialità e sul valore – sia in termini di originalità sia di eternità – dell’opera d’arte, allora ditemi voi che cos’è!

BANKSY, DISMALAND

A partire dal 2001, l’appropriazione e ridefinizione temporanee di alcuni spazi pubblici da parte di Banksy si fa estremamente più invasiva. Egli seleziona dei luoghi specifici, resi spettrali dalla storia recente, idealmente rasi al suolo, ma che improvvisamente si ripopolano e danno vita alle forme di un macabro carnevale. Il caso più eclatante è quello di Dismaland, un parco giochi non adatto ai bambini, rappresentazione di ciò che nel mondo odierno è tetro, fosco, scadente e osceno. Perché l’archeologia industriale non sempre è riqualificata o riqualificabile e perché troppo spesso l’immaginario contemporaneo delle favole omette la sua discendenza dall’incubo e dalla paura.

In linea sia con la ribellione vandalica – ma anche un po’ poetica – sia con il freak show si colloca l’attacco non banale e rivolto alla guerra infinita tra Israele e Palestina. A partire dal 2005, infatti, lungo l’orrenda West Bank Barrier in Cisgiordania iniziano a comparire delle crepe immaginarie. A differenza di chi ha rinunciato, non solo a protestare contro un conflitto complesso ma pur sempre infame, ma anche a pensare alla possibilità di un mondo oltre il muro, Banksy risponde aprendo una via oltre il muro. E la affida ai bambini – forse perché è dai bambini che riparte la vita – che si aggrappano al gioco e all’ironia per andare oltre quel colossale confine. Agli adulti, invece, alcuni anni dopo, offre la possibilità di un soggiorno da sogno e di lusso nel Walled Off Hotel, l’albergo con vista sul muro!

A Palestinian boy walks past a drawing by British graffiti artist Banksy near the Kalandia checkpoint in the West Bank August 10, 2005. REUTERS/Ammar Awad – RTRK3ET

Le incursioni nei musei, così come il sabotaggio della Evening Sale di Sotheby’s, mi sembrano azioni trasversali a quelle già descritte, eppure ancora più significative. Allo stesso modo in cui Banksy, indisturbato nonostante l’aspetto sicuramente vistoso, è riuscito ad appendere i suoi lavori nelle sale di alcuni tra i più importanti e sorvegliati musei del mondo – la Tate di Londra e il MET di New York – così ha probabilmente azionato il tritadocumenti che ha trasformato Girl with balloon in Girl in the bin. In questi due casi l’azione di détournement messa in opera dall’artista è sottilissima, talmente tanto da rischiare, per un pelo, di passare inosservata. Fino al momento eclatante in cui essa si palesa,  smascherandosi da sé.

Quale che sia l’azione – sempre effimera, o piuttosto sempre mutevole, sebbene seriale – messa in opera da Banksy, essa si rivela sempre altamente insidiosa per chi ha voglia di perdere qualche minuto a ragionarci sopra. Nell’autunno del 2013, per le strade di New York, si è aggirato un camion dal quale sporgevano molti peluches di animali. La carovana piangente – significativamente chiamata Siren of the Lambs – offriva un racconto non richiesto ai cittadini newyorkesi: quello dell’ultimo viaggio degli animali prima della macellazione negli allevamenti intensivi.

La ribellione al sistema – che sia il sistema-mondo o il sistema-arte – guidata da Banksy e di cui, ahimè!, egli pare essere anche il solo cavaliere non è certo un lamento, ma neppure un grido. A me pare somigli alla bellezza sussurrante della lanterna magica, quella meravigliosa creazione sospesa tra vana illusione e reale trasformazione.

È tempo di chiudere, ma mi permetto di segnalare la mostra che il MUDEC di Milano sta attualmente dedicando a Banksy, intitolata A Visual Protest. The Art of Banksy. Si tratta di un progetto espositivo che raccoglie dipinti, edizioni limitate di stampe, fotografie, video, copertine di dischi, oggetti e memorabilia realizzati dall’artista, con l’obiettivo di raccontare – attraverso uno sguardo retrospettivo – l’opera e il pensiero di Banksy. Non avendo ancora visitato la mostra, sono piuttosto reticente a parlarne; tuttavia, scandagliando la cartella stampa, mi sembra in linea la poetica del MUDEC, ovvero quella di fornire al visitatore gli strumenti – e il necessario approccio multidisciplinare – atti a comprendere e apprezzare i fatti contemporanei delle culture del mondo.

Giorgia TERRINONI    Roma dicembre 2018