Autografo o copia ? L’enigma dell’Incredulità di Caravaggio a Bologna nel saggio di Nicosetta ROIO

di Nicosetta ROIO

Uno dei quesiti che da tempo hanno attirato l’attenzione degli studiosi riguarda il tema affrontato in questo intervento inedito da parte di Nicosetta Roio – che ringraziamo sentitamente per averci concesso la pubblicazione in anteprima- riguardante un noto capolavoro di Caravaggio apparso a Bologna e sulle prime ritenuto autografo. La studiosa ha ricostruto la vicenda con grande accuratezza filologica, traendo le sue conclusioni.

Caravaggio inviò davvero un’Incredulità di S.Tommaso a Bologna?

È risaputo dai ricordi del principale “cronista” dell’arte bolognese, il conte, canonico e pittore dilettante Carlo Cesare Malvasia, che un quadro raffigurante l’Incredulità di S.Tommaso di Michelangelo da Caravaggio avesse sollevato nella città felsinea grande clamore tra i pittori locali, principalmente quelli di cultura carraccesca: un simile dipinto è infatti ricordato più volte nella Felsina pittrice con una descrizione che rievoca lo schema iconografico dell’Incredulità di S.Tommaso che era in origine di proprietà del marchese Vincenzo Giustiniani e ora è conservata nella Bildergalerie di Sanssouci a Potsdam. La tela, che fu individuata da Luigi Salerno, è ormai ritenuta -tra le tante redazioni esistenti- l’unica versione autografa del Merisi (nota 1).

La prima occasione in cui Malvasia ricorda una simile composizione a Bologna è nella biografia di Leonello Spada che, non si sarebbe accontentato di prendere “l’imitazione da un S.Tomaso toccante il Santissimo Costato dello stesso [Caravaggio]”, ma desiderò pure di praticare l’artista lombardo di persona (nota 2); la stessa invenzione del Merisi fu copiata dal figlio di Alessandro Tiarini: quest’ultimo era molto attratto dalle “cose del Caravaggio per una certa purità, verità e forza del colorito…maravigliandosi come tanto si sentisse da esse svegliare e rapire, quando nulla poi di decoro, di maestà e d’erudizione vi trovava” e volle che “il figlio da una copia di quel San Tomaso che tocca il costato al Signore, posseduta da’ Signori Legnani, una ne ricavasse, che gran tempo presso di se ritenne, asserendo cavarne gran beneficio, per sentire dall’osservarla rimoversi da quel colorire languido, nel quale sul principio cadea” (nota 3).

Caravaggio Incredulità di San Tommaso Bildegalerie Sanssouci Postdam

L’invenzione di Caravaggio interessò anche il tenebroso ludovichiano Lorenzo Garbieri, che fu un protetto del cardinale Benedetto Giustiniani all’epoca della legazione bolognese di quest’ultimo (1606-1611): il pittore, “invaghito della fierezza” e del “colorire del Caravaggio”, aveva visto infatti “il famoso quadro di quel valentuomo per via di una squisita copia che venne a Bologna”, di cui “lodò in estremo il colorito e la forza così ebbe animo di riprendere il disegno e non di soddisfare di una certa grazia che desiderava aggionta a quel buon naturale come che l’atto di prendere Nostro Signore la mano di Tomaso ed accostarla al costato fosse rozza invenzione che perciò si pose a farne uno su quel gusto e lo tirò in maniera che piacque quanto quello del Caravaggio e vi fu chi assai più lo lodò: i Carrazzi…”: così riporta il Malvasia negli appunti rimasti manoscritti e destinati alla biografia del Garbieri nella Felsina pittrice (nota 4), dove pare fare riferimento a quella stessa Incredulità di S.Tommaso di proprietà Legnani, ovvero la copia da Caravaggio che a sua volta era stata copiata da Francesco Tiarini. Tuttavia nella versione definitiva della “vita” dell’artista, lo storiografo bolognese citò il “S.Tomaso toccante nel Santissimo Costato la stessa fede”, ma non in riferimento alla copia Legnani, quanto piuttosto all’“originale di quell’autore [Caravaggio] presso allora i Signori Lambertini”, opera dalla quale Garbieri aveva ricavato una riproduzione che conservava gelosamente nella “sua più riposta, e dimestica stanza” (nota 5).

Da queste testimonianze di Malvasia risulterebbe dunque che a Bologna erano presenti un’Incredulità di S.Tommaso di Caravaggio presso la famiglia Lambertini e una sua copia in casa Legnani: Leonello Spada, Francesco Tiarini e Lorenzo Garbieri trassero copie – non è del tutto chiaro se dal presunto originale o dalla copia Legnani -, pertanto in città sarebbero state presenti almeno cinque versioni diverse di questo tema caravaggesco.

A Roma sono due le principali testimonianze che rievocano un quadro del Merisi con questo soggetto: Giovanni Baglione sostiene che l’artista lombardo dipinse un “S.Tommaso che toccò con il dito il costato del Signore per Ciriaco Mattei”, mentre Giovan Pietro Bellori ricorda che quel dipinto fu realizzato per Vincenzo Giustiniani (nota 6).

Si è detto che la tela ora a Potsdam -acquistata dal re di Prussia all’inizio del XIX secolo dopo che gli stessi Giustiniani l’avevano messa in vendita -, è ritenuta attualmente l’unico originale del Merisi con quel tema: dunque il quadro bolognese dei Lambertini, non potendo appartenere contemporaneamente anche ai Giustiniani, doveva essere anch’esso una copia: anzi si è immaginato che le redazioni bolognesi Lambertini e Legnani potessero essere state copiate direttamente dalla tela autografa di Caravaggio che il cardinale Benedetto Giustiniani, il fratello del marchese Vincenzo, avrebbe potuto portare con sé da Roma come arredo della dimora bolognese durante la sua legazione (nota 7).

Seppure intrigante, questa supposizione più volte ripresa dagli studi, non è stata mai avvalorata da qualche riscontro o sia pur minimo sostegno documentario: sembra invece che il dipinto di Caravaggio poi finito a Potsdam nulla abbia a che fare con il cardinale Benedetto ma solo col fratello, essendo infatti menzionato nel noto inventario del 9 febbraio 1638 e, ancora prima – seppure indirettamente – nell’agosto del 1606: in quest’ultimo anno fu Bernardo Bizoni -segretario del marchese Giustiniani- ad annotare l’esistenza di “… una copia del S.Tomaso del signor Vincenzo, del Caravaggio” presso il collezionista Orazio del Negro a Genova (nota 8), un personaggio appartenente al ramo familiare paterno della famiglia.

Benedetto Giustiniani
Vincenzo Giustiniani

A tal proposito, è stato precisato che l’ambito di circolazione delle numerose copie dell’“Incredulità”, una delle più copiate tra le opere di Michelangelo Merisi, sarebbe stato, appunto, strettamente legato ai loro congiunti (nota 9), anche se non va tralasciato di menzionare che gli inventari Mattei registrano un pagamento all’amico di Caravaggio, Prospero Orsi, il 26 settembre 1607 per “un quadro di S. Tomasso” (nota 10). Che poi questa redazione sia stata dipinta personalmente da Prosperino delle Grottesche oppure da lui solo “commerciata”, e dunque in questo secondo caso eseguita da altra mano, non è stato ancora appurato. Certamente la versione Mattei fu considerata un originale del Merisi dal Baglione, perciò era verosimilmente di buona qualità, ma è sicuramente una realizzazione posteriore rispetto a quella di Vincenzo Giustiniani che, lo si è detto, era già esistente nel 1606 e dal punto di vista stilistico si pensa debba essere collocata intorno al 1600-1602, in base al confronto con le opere del Caravaggio di quell’epoca (nota 11).

Pertanto, come il quadro di Orazio del Negro a Genova e quello Mattei a Roma, anche le “Incredulità” bolognesi Lambertini e Legnani furono quasi sicuramente delle copie da Caravaggio, anche se non è facile stabilire attraverso quali vie esse giunsero nella città felsinea: si è detto estremamente improbabile il nesso col cardinale Benedetto Giustiniani, mentre è più ragionevole pensare ad un aggancio con Prospero Orsi, il noto “turcimanno” (nota 12) che propagandava attivamente la maniera del suo intimo amico Merisi duplicandone (?) o più probabilmente facendo duplicare da altri copisti più o meno abili composizioni che poi vendeva un po’ ovunque: avevano delle Incredulità di S.Tommaso anche  il mecenate per eccellenza di Caravaggio, il cardinal Francesco Maria del Monte e gli Altemps (nota 13).

Ad ogni modo l’innovativa espressività di Michelangelo da Caravaggio colse ben presto nel segno anche a Bologna: l’eco, anzi il “fracasso” del suo “gran chiaroscuro”, la violenza del suo lume, la facilità del suo naturale -tutte caratteristiche comprensibili anche per il pensiero più “mediocre”, per usare le sensazioni di Malvasia-, giunsero nella seconda sede pontificia forse proprio grazie alla comparsa delle tele Legnani e Lambertini, destando immediatamente un grande interesse su differenti livelli di attenzione: la dirompente novità figurativa, l’emulazione tra pittori e non ultimo, se fin da subito era così ampia la diffusione delle copie, anche il commercio dei dipinti.

di Nicosetta ROIO

Note
(1) Per le numerose copie di questo dipinto del Caravaggio si rimanda a B. SAVINA, Caravaggio tra originali e copie, Foligno 2013, pp. 124-130. Per l’argomento qui trattato si rimanda a E. NEGRO – N. ROIO, Caravaggio e la pittura caravaggesca in Emilia, Modena 2013, pp. 119 sgg.
(2) C. C. MALVASIA, Felsina pittrice, Bologna 1678, ed.1841, II, p. 75.
(3) MALVASIA, cit., 1678, II, p. 138.
(4) C. C. MALVASIA, Appunti per la Felsina pittrice, Bologna, Biblioteca Comunale, Ms B 16, sec.XVII, c. 312 r.
(5) MALVASIA, cit., 1678, II, p. 217.
(6) G. BAGLIONE, Le vite de’pittori scultori et architetti…, Roma, 1642, p. 137; G. P. BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, 1672, ed. a cura di E.Borea, Torino 1976, p.222.
(7) A. MOIR, Caravaggio and his Copyist, New York 1976, pp. 90, 127.
(8) B. BIZONI, Diario di viaggio di Vincenzo Giustiniani, 1606, ed. a cura di B. AGOSTI, Sasso Marconi 1995, p.141.
(9) S. DANESI SQUARZINA, “Caravaggio e i Giustiniani”, in Michelangelo Merisi da Caravaggio, la vita e le opere attraverso i documenti, atti del convegno, 1995, a cura di S.Macioce-M.Gallo-M.Pupillo, Roma 1996, pp.98, 108, n.30;  S. DANESI SQUARZINA, La collezione Giustiniani, Inventari I e II, Milano 2003, pp.79, 397-399.
(10) F. CAPPELLETTI – L. TESTA, Il trattenimento di virtuosi. Le collezioni secentesche di quadri nei palazzi Mattei di Roma, Roma 1994, pp. 41, 142.
(11) M. MARINI, Caravaggio “pictor praestantissimum”, Roma, 2005, pp. 460-463, scheda 50.
(12) BAGLIONE, cit., 1642, p.300.
(13) C. L. FROMMEL, Caravaggios Frühwerk und der Kardinal Francesco Maria del Monte, in “Storia dell’arte”, 9-10, 1971, pp. 9, 30; L. SPEZZAFERRO, “Caravaggio accettato. Dal rifiuto al mercato”, in Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli, atti del convegno, a cura di C.Volpi, Città di Castello, 2002.