Arte e Architettura nel cuore antico di Napoli, il Gesù Nuovo e il chiostro di Santa Chiara

di Francesco MONTUORI

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 M.Martini e F. Montuori

Lungo  Spaccanapoli

IL GESU’  NUOVO  E  IL  CHIOSTRO  DI  SANTA  CHIARA  

Nella piazza napoletana del Gesù Nuovo si affacciano due rilevanti monumenti religiosi: la chiesa del Gesù Nuovo e, di fianco,  la chiesa e il chiostro di Santa Chiara (fig.1).

Fig.1 Napoli. Mappa del centro storico

La chiesa del Gesù Nuovo fu in origine il palazzo Sanseverino, principi di Salerno, la cui corte fu un punto di riferimento per la vita letteraria della città. La chiesa nasce dunque dalla trasformazione di uno dei più importanti palazzi aragonesi della città; il palazzo fu venduto dalla famiglia Sanseverino alla Compagnia di Gesù e venne trasformato nella Chiesa del Gesù alla fine del XVI secolo grazie all’opera dell’architetto gesuita Giuseppe Valeriano. La facciata presenta il caratteristico bugnato in pietra di piperno a punta di diamante, tipico dell’architettura rinascimentale (fig.2).

Fig.2 Chiesa del Gesù Nuovo

L’interno ha la pianta a croce greca; affreschi e dipinti testimoniano il passaggio nel cantiere e le opere di Luca Giordano, Massimo Stanzione, Jusepe de Ribera. Nella controfacciata è l’affresco della “Cacciata di Eliodoro dal tempio” di Francesco Solimena, detto l’“l’abate Ciccio”, maestro di tutte le arti. Nella Cacciata di Eliodoro del 1735, il Solimena rappresenta, con dinamicità teatrale, la scena della tentata profanazione del Tempio di Salomone a Gerusalemme (fig.3).

Fig.3 Francesco Solimena, Cacciata di Eliodoro dal Tempio, Chiesa del Gesù Nuovo. 

L’originaria cupola della chiesa crollò nel 1688 per un terremoto e fu sostituita nel 1786 con una cupola ribassata cosidetta “a scodella”. Marmorai, scultori e pittori contribuirono al sontuoso rivestimento interno, in marmi, stucchi, e affreschi di gusto naturalistico (fig.4).

Fig.4 Gesù Nuovo, interno della chiesa

Nel vicino liceo Genovesi si possono ammirare gli affreschi restaurati del Lanfranco e di Battistello Caracciolo che ornavano gli oratori dei Nobili e delle Dame, un tempo parte del Gesù Nuovo. Così grazie alla presenza del Solimena, di Battistello Caracciolo e di Caravaggio la città di Napoli divenne la capitale europea della pittura.

Fulcro della piazza è la Guglia dell’Immacolata, in trionfale stile tardo barocco, voluto dai Gesuiti là dove, in origine, era il monumento equestre di Filippo V, abbattuto nel 1707 dalla rivolta popolare. La Guglia, una delle tre della città antica, alta trenta metri e riccamente decorata, fu costruita da Giuseppe di Fiore tra il 1747 e il 1750; santi gesuiti, medaglioni con storie mariane, festoni ed angeli affollano l’obelisco su cui trionfa, in cima, la statua in rame della Vergine Immacolata (fig.5).

Fig.5 Piazza del Gesù Nuovo. La Guglia dell’Immacolata

Nel tessuto edilizio napoletano, costituito da edifici di modeste proporzioni, le fabbriche religiose giganteggiarono; accanto a Santa Chiara, a San Domenico Maggiore, a San Lorenzo Maggiore sorsero numerose chiese ed edifici monastici. Nella sua veste di vicario del pontefice, Carlo II fu sostenitore e protettore di tutte le comunità monastiche alle quali concesse sovvenzioni per la costruzione di monasteri o chiese; così nella zona più alta della città gravitante sul decumano maggiore si concentrarono edifici destinati agli ordini religiosi. Grazie alla sua opera, Napoli sarà completamente rinnovata nella sua struttura urbana.

La piazza del Gesù Nuovo è attraversata dal primo dei tre decumani della città greca, comunemente chiamato dai napoletani Spaccanapoli che collega l’attuale via Toledo con via Duomo (fig.6).

Fig.6 La piazza del Gesù Nuovo e la chiesa di Santa Chiara

La piazza del Gesù Nuovo è chiusa da un lato dal complesso della basilica di Santa Chiara, con annessa struttura conventuale. A volerne la costruzione fu il re Roberto d’Angiò insieme alla moglie Sancha di Maiorca, sepolta all’interno del monastero il 28 luglio 1345. Fu una regina illuminata che dotò il monastero di fondi cospicui; si deve alla regina il supporto e l’assistenza alle donne maltrattate; per sua volontà i conventi vennero aperti alle donne che avevano subito violenze o che fossero particolarmente bisognose di aiuto.

La Chiesa di Santa Chiara fu consacrata alla santa nel 1340. E’ a navata unica di forma rettangolare con cappelle laterali aperte da archi; voluta da Roberto d’Angiò, la chiesa fu edificata dall’architetto Gagliardo Primario che avviò i lavori nel 1310 della più grande basilica gotico-angioina della città. Il monastero racchiude quattro chioschi monumentali  e il Museo dell’Opera che comprende il coro delle monache – con i resti degli affreschi di Giotto, andati perduti dopo il bombardamento del 4 agosto del1943 – un grande refettorio, la sacrestia, una biblioteca, diverse sale conventuali e la chiesa delle clarisse (fig.7).

Fig.7 La Certosa di Santa Chiara nel tessuto della città

La fabbrica sarà il tempio prediletto della dinastia angioina; nel tessuto edilizio napoletano, costituito da edifici di modeste proporzioni, le fabbriche religiose sorsero numerose così che alla morte di Carlo II Napoli apparve completamente rinnovata nella sua struttura urbana.

Fig.8 Giotto di Bondone. Affreschi nel coro delle monache
Fig.9 Bottega di Giotto di Bondone. Crocifissione

Il cantiere di Santa Chiara fu il primo ad essere aperto a Napoli dalla bottega di Giotto il quale aveva già terminato gli affreschi nelle più importanti basiliche francescane: di San Francesco ad Assisi e di Santa Croce a Firenze; le fonti ci raccontano dei vasti cicli di affreschi con l’Apocalisse e le storie del Vecchio e Nuovo Testamento, andate distrutte alla metà del XVI secolo quando un reggente spagnolo, per dar più luce alla chiesa, ordinò di dare la calce a tutte le pareti. Rimangono alcune testimonianze figurative nel coro delle monache (fig.8) mentre sono della bottega di Giotto i frammenti di un Compianto su Cristo Morto (fig.9).

La testimonianza della presenza del maestro in città sono confermati dal Vasari, che visse per molti anni a Napoli, e scrive nelle Vite dei più celebri Pittori, Scultori e Architetti di averli visti ed ammirati:

“Essendo Giotto ritornato a Firenze, Roberto re di Napoli scrisse a Carlo re di Calabria, suo primogenito, il quale si trovava in Firenze, che per ogni modo gli mandasse Giotto a Napoli; perciocché, avendo finito di fabbricare Santa Chiara, monasterio di donne e chiesa reale, voleva che di lui fosse di nobile pittura adornata. Giotto, adunque, sentendosi da un re tanto lodato e famoso chiamare, andò più che volentieri a servirlo; e giunto, dipinse in alcune cappelle del detto monasterio molte storie del vecchio testamento e nuovo. E le storie dell’ Apocalisse, che fece in una delle dette cappelle, furono (per quanto si dice) invenzione di Dante Alighieri, coetaneo ed amico suo grandissimo. ”

Come dice il Pane nella sua monografie sull’ Architettura dell’età Barocca altri artisti cambiarono il volto della chiesa e del monastero; fra questi gli architetti Ferdinando Sanfelice e Domenico Vaccaro. Nel corso del Seicento il volto della basilica mutò radicalmente per gli adeguamenti barocchi in stucchi, intagli lignei dorati, tele: decori preziosi andati irrimediabilmente distrutti durante l’ultima guerra. Il restauro terminato nel 1953 restituisce all’edificio l’aspetto gotico provenzale, con le arche tombali dei reali angioini poste sulla parete rettilinea dell’abside. Le scelte di un restauro così complesso, suscitarono inevitabilmente accesi dibattiti e profonde divergenze culturali; i restauratori scelsero di concentrarsi sulle parti dell’architettura medioevale sopravvissute al bombardamento nel tentativo di riportare la basilica al suo aspetto trecentesco.

La basilica è lunga 130 metri, compreso il coro delle monache posto dietro l’altare maggiore; è larga 40 metri ed alta 45; l’interno è formato da un’unica navata rettangolare, senza transetto, con dieci cappelle sormontate da una tribuna continua, bifore sulla parete sinistra e trifore su quella destra (fig.10).

Fig.10 Interno della basilica di Santa Chiara

Sulla controfacciata è il sepolcro delle duchesse Agnese e Clemenza d’Angiò Durazzo; l’opera si inserisce nella tradizione della scultura funeraria napoletana avviata dal senese Tino da Camaino che creò a Napoli una vera e propria scuola di cui è esemplare insuperabile il monumento funebre a re Ladislao di Durazzo in san Giovanni a Carbonara (fig.11).

Fig.11 Chiesa di Santa Chiara. Sepolcro di Agnese e Clemenza d’Angiò Durazzo

Il campanile si erge su robuste fondamenta di pietre quadrate sovrapposte; la potente base si innalza su un gran toro di marmo; segue un secondo toro più piccolo con quattro iscrizioni che ricordano la data del 1310 in cui la chiesa fu eretta da re Roberto e dalla regina Sancia. La costruzione del campanile fu iniziata nel 1328 ma alla morte di Roberto d’Angiò si interruppero i lavori: della primitiva torre campanaria resta solo il dado inferiore. Al primo piano in stile toscano, il campanile è arricchito da quattro immensi finestroni, uno per lato. Il secondo ordine è in stile dorico, il terzo in stile ionico.

Dal cortile sul fianco sinistro della chiesa si accede al chiostro delle Clarisse le cui pareti  sono interamente coperti da affreschi seicenteschi raffiguranti santi, allegorie, scene dell’Antico Testamento; qui come dice la famosa canzone

“rinchiuse dint’a quattro mura, quante femmene sincere, si perdevano n’ammore se spusavano a Gesù….”. (fig.12).
Fig.12 Monastero Santa Chiara, chiostro delle Clarisse

Il chiostro del monastero ha subito nel corso dei secoli varie trasformazioni di cui la più rilevante è stata quella settecentesca dell’architetto Domenico Antonio Vaccaro. Il Vaccaro ha realizzato due viali che incrociandosi hanno diviso il giardino in quattro settori; fiancheggiano i viali pilastri a pianta ottagonale rivestiti di maioliche con festoni vegetali, 30.000 riggiole – termine napoletano che deriva dal catalano rajola, piastrella – maioliche policrome decorate sempre su progetto del Vaccaro, e realizzate da Giuseppe e Donato Massa detti riggiolari, maestri dell’arte della maiolica napoletana settecentesca (fig.13).

Fig.13 Chiostro di Santa Chiara, il giardino

I pilastri maiolicati sono collegati fra loro da sedili sui quali sono rappresentate scene della vita quotidiana dell’epoca; i colori – giallo, verde, azzurro – sono gli stessi del cielo, della vite, dei limoni che crescono tra i pilastri su cui poggiano i pergolati (fig.14).

Fig.14 Chiostro di Santa Chiara

Sugli schienali delle sedute dall’andamento curvilineo le scene di vita popolare e i paesaggi fantastici alludono alle rinunce della vita claustrale; i tralci di vite dipinti a spirale sui pilastri a fondo azzurro e il vero vigneto che funge da volta rende l’effetto conclusivo di un pergolato: una fusione di natura e architettura, una conquista moderna per i Settecento (fig.15).

Fig.15 Chiostro di Santa Chiara

La chiesa ed il campanile di Santa Chiara sono stati testimoni della storia della città: in Santa Chiara Giovanna I d’Angiò, ancora bambina, andò i sposa ad Andrea d’Ungheria; qui fu esposto per tre giorni il corpo di re Roberto; qui Giovanna regina prestò giuramento di fedeltà al papa; qui Luigi d’Angiò, sbarcato vittoriosamente a Napoli il 14 agosto 1390, fu ricevuto fastosamente dall’Arcivescovo del monastero.

Francesco MONTUORI  Roma 9 Gennaio 2022